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Il Serpente

Il Serpente

Bill e gli altri soldati sembrano condurre una battaglia più con le temperature afose e l’inerzia piuttosto che con un vero e proprio nemico. Quell’anno “il caldo scendeva dagli alberi e tutti quanti sudavano abbondantemente”, ovunque si trovassero. Sullo scompartimento buio di un treno, su un improbabile campo di battaglia usato per le esercitazioni, tra le pietre basse di una radura in cui non vi è alcuna possibilità di ombra. Bill è da tempo abituato a quella stasi paludosa che attanaglia lui e i suoi commilitoni. La guerra fa a pezzi i paesi e gli abitanti dell’Europa ma al momento non coinvolge la Svezia che è pronta però a difendere la sua pacifica neutralità. Il sergente Bohman impartisce ordini e lezioni di tattica militare ai suoi uomini che indolenti e assonnati fanno ciò che gli viene chiesto lontano dalle pericolose linee nemiche. Nell’aria si percepisce l’aspettativa per una festa di compleanno imminente, dove forse ci saranno anche delle ragazze, graziose come quelle che li salutano sorridenti dai treni in passaggio, belle come Irene che ama offrirsi allo sguardo ostinato del suo innamorato. Bill scorge improvvisamente un serpente e decide di catturarlo, nascondendolo nel suo zaino: suo padre ha una collezione di serpenti in bottiglia a casa e l’animale non gli fa paura. Quel piccolo essere strisciante gli servirà ad ottenere ore di libertà da un sergente impaurito, ma lentamente si insinuerà, come la guerra, all’interno della sua mente fino a raggiungere gli angoli più nascosti dei suoi sogni…

Stig Dagerman si fa conoscere in patria nel 1945 con questo romanzo, che segna l’esordio sulla scena letteraria internazionale di un giovane anarchico dalle grandi capacità di scrittore e narratore. Come ricorda bene nella postfazione Fulvio Ferrari, che ne ha curato anche la traduzione, non si deve confondere quest’opera di Dagerman come semplice resoconto della sua personale esperienza negli anni del servizio militare prestato per il suo Paese; ciò, infatti, sarebbe riduttivo e non permetterebbe di delineare in maniera corretta il suo spiccato spirito innovativo. Lo stile, così come la sua forma, non sono facilmente classificabili: siamo di fronte ad un romanzo o ad un romanzo breve seguito da una raccolta di racconti? Cosa unisce la prima e seconda parte? Dove vanno a finire i personaggi presenti nei primi capitoli? Ferrari parla giustamente di “gioco di scatole cinesi”, in cui occorre stare attenti a piccoli indizi per ritrovare un senso. Se lo si vuole in realtà, perché altrimenti si può farsi trascinare dal linguaggio pieno zeppo di metafore dell’autore e dalla sua estrema maestria nel raccontare la paura, un sentimento che si deve imparare ad accettare e con cui ognuno di noi deve fare i conti; una condizione dell’animo che si insinua, come un piccolo serpente, in ogni essere umano.