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Il serpente piumato

Il serpente piumato

Anni Venti, Città del Messico. In un caldo e nuvoloso primo pomeriggio domenicale, subito dopo Pasqua, un tassì Ford sta portando Kate, Owen e Villiers all’arena per vedere una corrida. Quattro tori di razza sono stati fatti venire per l’occasione dalla Spagna e i tre hanno comprato i biglietti malgrado a loro la corrida tutto sommato faccia orrore. Kate è irlandese, ma Owen americano e come lui Villiers – molto più giovane della coppia – e quindi “per definizione” i due uomini non possono resistere senza vedere, provare, assaggiare una cosa che non conoscono: per loro questa “è la vita”. Una logica americana, non irlandese, ma Kate controvoglia si è piegata ad accettarla. All’ingresso dell’arena un bigliettaio si pianta davanti a Owen e gli mette le mani sul petto, frugandolo in cerca di armi da fuoco. Lui trasalisce e accetta la perquisizione, mentre Kate rimane letteralmente impietrita, percorsa da un brivido di orrore – ma anche sotto sotto di eccitazione – all’idea che quell’individuo voglia mettere le mani addosso anche a lei. Entrati, i tre siedono a poche file dall’arena cosparsa di sabbia e circondata da cartelli pubblicitari. Gli spettatori sono già tanti, una moltitudine “di cittadini grassocci dagli stretti vestiti neri e dai piccoli cappelli di paglia e, qua e là, di operai dalla faccia scura in cappello a larghe falde”. Poche donne, qualche famiglia con bambini. Malgrado si dichiari sempre orgogliosamente socialista, Owen non riesce a celare il suo disprezzo per quel fracasso e quella gente volgare. A un certo punto, un’arancia lanciata dagli spalti lo colpisce sulla spalla: lui si gira inferocito e cerca di individuare il colpevole attraverso i suoi costosi occhiali di tartaruga, ma invano…

Ritenuto da David Herbert Lawrence la sua opera migliore e anzi un vero e proprio romanzo-manifesto, Il serpente piumato sin dal titolo – che fa riferimento alla divinità azteca, tolteca e maya Quetzalcoatl, inventore dei libri e del calendario, custode della morte e della resurrezione, sorgente dello spirito vitale – dichiara le sue intenzioni: cantare il Messico come simbolo del naturale, del caotico, dell’arcaico, del libero da sovrastrutture. L’America pre-colombiana come “contro-America”, cioè come alternativa genuina e vitale alla cultura colonialista, imperialista degli Stati Uniti, a quella che Lawrence stesso definiva “volontà egoista” in un sua lettera risalente al primo soggiorno statunitense, nel 1922: “L’America sussiste grazie a una sorta di volontà egoista. Spingere ed essere spinti! Ebbene: io non voglio spingere né essere spinto. Voglio essere io”. Come già nel racconto La donna che fuggì a cavallo al centro della vicenda c’è una donna moderna, sofisticata, “civilizzata” che prova repulsione per l’atmosfera “primitiva” che la circonda – in questo caso Kate nei confronti della mascolinità messicana prima e del redivivo culto arcaico di Quetzalcoatl poi – ma ne è anche attratta irresistibilmente perché ne avverte la potenza, la forza sincera e brutale. Scritto tra 1923 e 1925 sul lago di Chapala e a Oaxaca, Il serpente piumato, come scrisse Harry T. Moore, “dona al lettore (…) tutti i colori vibranti del Messico, il suo denso calore, le sue piogge rovinose, la sua gente alla deriva come in un sogno”.