
Jim Kripps e Tessa Berens, marito e moglie, sono in volo verso New York. Il programma della serata è guardare il Super Bowl con Max, Diane e Martin. Niente di più normale, nel giorno dell’evento sportivo dell’anno. Al momento la loro principale preoccupazione è di giungere in tempo a casa dei loro amici. Il match inizia alle sei e mezzo e loro atterreranno a Newark, quindi bisogna calcolare bene i tempi. Le rigide procedure che si vedono sugli aerei ricordano a Jim antichi rituali formulari, sempre perfettamente identici a se stessi e immutabili. Procedure d’imbarco, esibizione del biglietto e del documento, comportamenti da tenere a bordo, partenza, annunci sonori, intrattenimento audiovisivo, somministrazione di cibo, ancora annunci sonori, atterraggio. Niente di più semplice, sono azioni e situazioni ormai interiorizzate che nemmeno la recente pandemia è riuscita a cancellare. Mentre Jim è intento a rimuginare su queste cose, Tessa si lambicca il cervello per ricordare il nome di Celsius, quello dei gradi centigradi. Dal nulla le viene in mente che si chiama Anders e, soddisfatta, lo comunica a Jim. Poco dopo, lo schermo di fronte al loro sedile si spegne improvvisamente, una frase in francese comunicata dagli altoparlanti sfugge alle orecchie della coppia, già paralizzata dal panico mentre l’aereo inizia pericolosamente a perdere quota. Nel frattempo, nella loro casa di New York, Diane Lucas e Max Stenner, in compagnia di Martin – ex studente di Diane, brillante ed eccentrico – affrettano i preparativi in attesa della partita e dei loro amici...
Quattro anni dopo l’intrigante Zero K, Don DeLillo torna in libreria con Il silenzio, libro che rientra nella sua produzione più breve, dato che supera a stento le cento pagine ed è quindi in linea con altre schegge impazzite del DeLillo-pensiero quali Punto Omega e Body Art, fulminee e dense al punto giusto. Il maestro del postmodernismo, senza dubbio ispirato dalla situazione globale attuale, rivolge ancora lo sguardo alle meraviglie di una tecnologia soggiogante e a un’umanità impigrita e sempre meno abituata a pensare. La scelta iniziale di un blackout totale della tecnologia nel giorno esatto della finale del Super Bowl – l’evento sportivo per eccellenza negli USA – è chirurgica nella sua astuta crudeltà ma è, come spesso accade nella letteratura postmodernista, solo un pretesto per parlare d’altro. Ne Il silenzio ci troviamo nel futuro prossimo (2022), un futuro in cui l’umanità si è appena riappropriata della normalità dopo la devastante pandemia e che rivendica il diritto di viaggiare (Jim e Tessa) e di guardare in santa pace la partita di football (Max) con gli amici. La normalità però non dura perché sin dalle primissime pagine essa viene fagocitata da un buio denso e inspiegabile – attacco terroristico? macchie solari? – portando a una reazione a catena di riflessioni sull’imprescindibilità della tecnologia e sulla paradossale regressione del pensiero umano. Tanto più si espande tale sviluppo, tanto più si comprime e si riduce lo spettro delle capacità umane. Per l’autore la linea dello sviluppo ormai non è più parallela: l’uomo non si serve più della tecnologia per migliorare la propria vita, ma egli vi dipende e, vistosi improvvisamente spogliato da essa, prende coscienza di un cammino contro-evolutivo. Il personaggio di Max, annichilito davanti allo schermo spento e impossibilitato a proferire parole che non siano la fotocopia di una ipotetica diretta di un match di football, rappresenta il nodo di questa sostituzione: non è più lo sviluppo tecnico ad evolversi con l’uomo, bensì il contrario. La pervasività tecnologica ha creato un mondo parallelo, dove a breve la macchina avrà il predominio sull’intelletto e gli esseri umani si ridurranno, citando Einstein, a combattere la quarta guerra mondiale con pietre e bastoni, annacquando la proprie individualità in un calderone di rigido funzionalismo tecnico globalizzato. Martin, l’ex studente brillante divenuto megafono delle riflessioni di DeLillo, fende le pagine con un vento di parole gelide e dal profumo oracolare, disegnando scenari di guerre fra droni senzienti, pestilenze a orologeria e attacchi di matrice cyber, il tutto unicamente diretto a uno scenario di psychic-warfare totale e totalizzante in grado di prostrare sia le menti che i corpi. Come in Rumore bianco e Cosmopolis l’autore newyorchese prosegue la sua analisi della modernità e delle umane paranoie senza fare prigionieri, anche se Il silenzio non sembra possederne la medesima forza innovativa e dirompente. Il romanzo rappresenta quindi senz’altro un valido tassello nella superba produzione di DeLillo, ma sembra destinato a mantenersi in posizione ancillare rispetto ad altre sue fatiche.