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Il sole bacia i belli

Il sole bacia i belli

1963. Una camera ammobiliata armadio-letto, nel cuore di Hollywood. Di fronte al giornalista Arnold Kaye si palesa in vestaglia di seta e sguardo stanco proprio lui, Charles Bukowski, lo scrittore maledetto e inafferrabile che leggenda metropolitana vuole addirittura non sia mai esistito, le cui poesie si vocifera siano frutto in realtà della penna di una vecchia scorbutica dall’ascella cespugliosa. Ma Bukowski esiste davvero ed è proprio come uno se lo immaginerebbe nel suo incedere da vecchio barbone in pensione. Charles ha accolto Kaye anche con gentilezza, seppur velata dalla sua atavica diffidenza e ritrosia nel concedersi e alla fine tra uno scotch e una sigaretta si è immolato al volere del suo interlocutore concedendo la sua prima intervista. E come al solito tra dissertazioni su poesia, arte, alcool, scrittori, donne, omosessualità, cavalli, sesso, umanità, molta birra e parecchie sigarette il vecchio Buk si concede gettando la maschera e raccontandosi quasi con infantile genuinità. Da lì in poi si susseguiranno numerose altre interviste, interventi, richieste: Bukowski è il poeta maledetto che oramai va oltre la scena underground americana e tutti vogliono intervistarlo, conoscerlo, torturarlo facendolo intervenire su qualsiasi questione... Nel 1967 è John Thomas a chiedergli per esempio cosa ne pensi dell’omicidio di Kennedy. Bukowski non la beve, il sensazionalismo di un presidente assassinato rende la storia di portata enorme ma di morti assassinati lui ne vede ogni giorno, nelle stanze attorno a lui, nelle strade, su marciapiedi di città piene di morti senza voce. Come può preoccuparlo la morte di un singolo uomo quando centinaia di uomini e donne quotidianamente vengono presi dalla culla e gettati nel tritacarne? Sono passati una decina d’anni e quello che odiava di più al mondo sta succedendo davvero. Bukowski è quasi diventata una star, i suoi reading sempre più spinti e punk sono diventati raduni di fan in delirio per ogni sua parola, gesto, imprevedibilità. E lui non li delude... Glenn Esterly nel 1976 lo cerca per intervistarlo prima di un reading e inevitabilmente lo trova nel parcheggio a vomitare. Lo fa sempre prima di incominciare, la folla lo innervosisce, figurarsi quattrocento studenti stipati nell’auditorium della Californa State University di Long Beach. Tutti vogliono vedere il vecchio ubriacone dare in escandescenze come è successo al precedente reading dove erano finiti a scambiarsi insulti. Esterly poco dopo lo vede dietro le quinte stravolto dire all’organizzatore dell’evento di fare in fretta, così può prendere l’assegno e levarsi dai piedi, sotto gli occhi dolci e rassicuranti della sua ragazza Linda Lee... Siamo oramai nel 1993. Agosto. Bukowski ha settantatré anni ed è a bordo piscina della sua villa a bere un bicchiere d’acqua. Il suo interlocutore, il giornalista Gundolf S. Freyermuth, è lì per intervistarlo. Bukowski fa un resoconto finale della sua esistenza, è vecchio, dice di essere vicino alla fine, anche la sua scrittura oramai è diversa, non si può scrivere e riscrivere sempre la stessa roba. Freyermuth gli chiede di Hemingway, Bukowski si aggiusta il cappello di paglia sulla testa, poi si alza a fatica e gli dice: “Credo che lo lasceremo per un’altra volta. Adesso è meglio uscire a mangiare un boccone”. Sette mesi dopo il vecchio sporcaccione esalerà l’ultimo alcoolico respiro...

Trent’anni di interviste, reading, chiacchierate, bevute con Charles Bukowski raccolte tutte insieme in questo fantastico viaggio dentro e fuori lo scrittore più sporcaccione e dissacratore d’America. Dalle prime, raccolte nelle sue case/bettole passando per gli incontri con Sean Penn a cui fu chiesto di incontrarlo in concomitanza con l’uscita al cinema del suo Barfly con Mickey Rourke e Faye Dunaway dove conversa amabilmente di bar, di bere, di fumo, di botte, gatti e ovviamente di donne, sesso, scrittura e poesia ma anche di fama e solitudine, fino alla sua ultima intervista nella sua villa a San Pedro sette mesi prima di morire. In questo lasso di tempo c’è tutta la vita, l’arte, il genio e le sregolatezze, il personaggio Cinaski certo, ma anche il vero Bukowski, insofferente alle regole, alle banalità della vita, ai trucchetti letterari di scrittori e critici, alla retorica, alla gente, ma infinitamente innamorato della bellezza delle parole, della poesia, dell’arte. Insomma l’intero universo bukowskiano oramai sviscerato in tutte le sue sfumature e riproposto in tutte le salse. Ma qui c’è di buono che sentiamo solo la sua voce. Lo sentiamo parlare, parlarci, insultarci, raccontarci in viva voce il suo mondo fetido, che tanto ha fatto discutere, indignare,scandalizzare e appassionare generazioni di lettori, critici e no.