
Una strenua colluttazione contro l’ineluttabile dispersione del tempo, che pare scorrere via secondo modalità che ci consentono di trattenere nulla che valga a mettere in salvo la possibilità di un riscatto: “Talvolta,/ lo ammetto,/ non mi va bene./ La città in fiamme, ma:/ il futuro mi viene incontro, di certo previsto,/ eppure il tempo cui siamo sfuggiti/ piange.” Ad esso il poeta contrappone l’esperienza di tutto un mondo trascorso, che immerge le proprie note di rassegnato dolore nel cuore stesso delle parole: “Leggère come bestie le montagne scivolano accanto al fiume”. Accompagnandoci negli universi profondi di una memoria sofferta e indelebile: “Io/ fui risparmiato, ma/ sono marchiato a fuoco:/ il mio viso di bimbo barbuto/ rinnega la saggezza/ dei generi defunti” e di un’infanzia segnata dagli orrori dei bombardamenti: “Tra le curve del terreno di morte, lì/ fui concepito, dove un impiegato morì/ e una donna ancora lavava di notte/ il bucato, quello era il suo impiego.// Già la città consacrata a vampe di fuoco”…
Heinz Czechowski – nato a Dresda nel 1935 e morto a Francoforte nel 2009 - è stato uno scrittore straordinariamente prolifico, autore di testi che hanno spaziato ad ampio spettro dalla prosa alla poesia, dalla drammaturgia teatrale alla saggistica letteraria. Ma è la produzione poetica che ha maggiormente decretato la sua celebrità artistica, fino a farne un punto di riferimento fondamentale della lirica tedesca della seconda metà del secolo scorso. E non deve sorprendere, dunque, se in questo genere non pochi sono gli autori che mostrano debiti evidenti verso la sua poesia, da Adolf Endler a Karl Mickel, da Sarah Kirsch a Volker Braun. Composti tra il 1958 e il 1999, i testi poetici di Czechowski rivelano ovunque una visione della vita come incessante processo di rivisitazione e di presa di coscienza. E nonostante il registro si presenti in apparenza minimalista e controllato, le poesie - qui tradotte e raccolte con testo tedesco a fronte da Paola Del Zoppo - ci appaiono come una delle prove espressive più radicali nate dalle ceneri fumanti della Germania post bellica e dall’esperienza altrettanto fallimentare della DDR. Lungo quel confine sottile che corre tra la fine di un incubo e il dispiegarsi di una nuova stagione di ideali traditi, proprio come l’epopea di una catastrofe irrimediabile che si rinnova, verso dopo verso, attraverso la voce esperienziale del poeta.
Heinz Czechowski – nato a Dresda nel 1935 e morto a Francoforte nel 2009 - è stato uno scrittore straordinariamente prolifico, autore di testi che hanno spaziato ad ampio spettro dalla prosa alla poesia, dalla drammaturgia teatrale alla saggistica letteraria. Ma è la produzione poetica che ha maggiormente decretato la sua celebrità artistica, fino a farne un punto di riferimento fondamentale della lirica tedesca della seconda metà del secolo scorso. E non deve sorprendere, dunque, se in questo genere non pochi sono gli autori che mostrano debiti evidenti verso la sua poesia, da Adolf Endler a Karl Mickel, da Sarah Kirsch a Volker Braun. Composti tra il 1958 e il 1999, i testi poetici di Czechowski rivelano ovunque una visione della vita come incessante processo di rivisitazione e di presa di coscienza. E nonostante il registro si presenti in apparenza minimalista e controllato, le poesie - qui tradotte e raccolte con testo tedesco a fronte da Paola Del Zoppo - ci appaiono come una delle prove espressive più radicali nate dalle ceneri fumanti della Germania post bellica e dall’esperienza altrettanto fallimentare della DDR. Lungo quel confine sottile che corre tra la fine di un incubo e il dispiegarsi di una nuova stagione di ideali traditi, proprio come l’epopea di una catastrofe irrimediabile che si rinnova, verso dopo verso, attraverso la voce esperienziale del poeta.