
Yechiel Berkowitz, trent’anni, è il segretario del rabbino Nissim Shoshani, un cinquantenne arguto e attento a tutto ciò che lo circonda. I due sono nell’ufficio del rabbino e il segretario suggerisce di andare in caffetteria, prima che chiuda, a fare scorta di capsule per la macchinetta del caffè. Stanno per finire e il rabbino, secondo Yechiel, ha la necessità di essere ben sveglio, dal momento che sta per aver luogo, in quell’ufficio, un incontro per il quale è necessaria tutta la sua attenzione. Il rabbino Nissim si lamenta: ultimamente, se si avvicina alla bevanda degli dèi dal pomeriggio in poi, finisce che durante la notte non riesce a chiudere occhio. E no, non serve neppure bere decaffeinato, come gli suggerisce il segretario. Dev’essere una questione psicologica: è l’idea stessa del caffè ad agitarlo. Dicono che anche il tè contenga caffeina, ma quest’ultima bevanda, a dire il vero, lo rilassa. Evidentemente, o lui si è indebolito o la bevanda è diventata più forte. In ogni caso, insiste Yechiel, è necessario che il rabbino faccia una buona riserva d’energia, in quanto sta per avere un incontro lungo e tutt’altro che facile, per il quale sarà necessario un lungo approfondimento. Quando Nissim chiede di cosa si tratti, il segretario gli spiega che tra un po’ entrerà in quell’ufficio una donna, la stessa di cui già nelle settimane scorse aveva promesso al maràn di occuparsi, anche se poi ha finito per rimandare. Ora, invece, la signora è seduta da un pezzo fuori dalla porta e attende impaziente di essere ricevuta. Il segretario fa presente che non esiste alcun fascicolo che riguardi la donna. Le notizie che gli può fornire al momento sono poche: si chiama Esther Azoulay, ha ventotto anni, l’ebraico non è la sua lingua madre ma ha uno stile ben preciso quando parla; conosce molto bene la Halachà – l’insieme delle norme giuridiche ebraiche – e recita i salmi; non è una agunà – una di quelle donne che non riesce a ottenere il divorzio dal marito – anche se si sente tale; ed è una convertita…
Esther Azoulay è stata ingannata. E ora – sulla base delle leggi ebraiche – vive un’unione illecita e proibita a causa della quale i figli non sono ammessi al servizio sacerdotale nel Terzo tempio. E allora perché non costruire il Tempio, anziché sulle rovine del precedente, come la tradizione impone, fuori dalle mura della vecchia città, in un luogo umile, che non corrisponda ad alcun altro luogo sacro? Si tratta di una proposta rivoluzionaria, arrivata per di più da una donna, che potrebbe in questo modo salvare il proprio matrimonio, ma non solo. La proposta ha in sé le radici per trasformarsi in un potente e fragoroso messaggio di pace, quella pace di cui Abraham B. Yehoshua – uno dei maggiori scrittori israeliani, venuto a mancare nel 2022 – permea ogni suo scritto. In una realtà devastata da violenza e guerra, Yehoshua sogna il cambiamento. Attraverso la figura del rabbino Nissim Shoshani, che si pone in ascolto del garbuglio religioso raccontato dalla giovane Esther – convertita – unita a un giovane iraniano, Yehoshua mostra un fascio di luce, augurandosi che possa essere seguito per allontanarsi da un buio fatto di odio, distruzione e morte. Questa, d’altronde, è sempre stata la speranza di uno scrittore che, lungo tutto il percorso umano e narrativo condotto, ha mostrato doti di levatura morale e artistica elevatissime. Questa breve storia, che reca in sé tutte le caratteristiche di una novella, è una specie di testamento di un uomo che è stato un autore eccelso e ha sognato e ricercato, ogni giorno della sua vita, una possibile soluzione all’annoso e difficilissimo problema del popolo ebraico e di quello arabo, che altro non è che il riflesso dell’inquietudine di tutte le popolazioni che hanno attraversato la Storia. Yehoshua ha sempre ricercato una Pace universale e, in questo breve capolavoro, la riversa nelle parole e nel progetto – ambizioso e innovativo insieme – di una donna che si fa specchio dell’intero popolo di Israele e che non si arrende, desiderosa di inseguirlo, quel fascio di luce che cancella le ombre.