
Il treno che lento ha attraversato la notte arrancando sulle rotaie ora è fermo alla frontiera fra l’Austria e la Cecoslovacchia. I militari si sono impossessati dei passaporti e hanno lasciato i passaggeri ad attendere, chiusi a chiave dentro i vagoni. Siamo nel 1956, l’Europa è divisa in due blocchi, rigidamente separati: è l’Europa della “guerra fredda”. Il trauma della guerra “vera” è ancora vivo, così come sono vive le ferite nelle pietre delle città e nel cuore degli esseri umani. Amara Sironi è su quel treno. Giovane giornalista fiorentina, viene inviata dal suo giornale a osservare come si vive nell’Europa dell’Est, con la raccomandazione di guardarsi attorno, di parlare con la gente, di osservare riti e abitudini del quotidiano. Amara, però, si è risolta ad affrontare quel viaggio anche e soprattutto per un altro motivo, profondo e vitale. Vuole ritrovare Emanuele Orenstein, suo amico d’infanzia, un bambino allegro e creativo, dolce e spericolato insieme, con il quale ha trascorso innumerevoli ore felici. Dopo i giorni chiari di Firenze, Emanuele, ebreo, si era trasferito con la famiglia a Vienna, già sotto il tallone nazista. Era stata una scelta assurda, controcorrente, ma la madre del ragazzo era convinta che una famiglia facoltosa e importante come la sua, e per di più di simpatie nazionalsocialiste, non avrebbe avuto nulla da temere, nemmeno dal Führer. Le cose però non erano andate secondo le sue aspettative: il prestigio e l’ideologia non erano bastati a difendere dalla persecuzione razziale e la famiglia era stata internata, prima nel ghetto di Lodz poi ad Auschwitz. Amara tuttavia è convinta che Emanuele sia vivo, lo vuole trovare, vuole rivivere la complicità fanciulla che li univa e che ricerca leggendo e rileggendo un mazzetto di lettere del ragazzino, che porta con sé nel lungo viaggio…
Tenace e convinta della concretezza delle sue intuizioni, Amara è aiutata da Hans, ex giornalista “mezzo ebreo”, bizzarro compagno di viaggio sul treno e poi amico fidato nella ricerca. I due attraversano Vienna e poi, sempre sulle tracce degli Orenstein, arrivano in Ungheria, a Budapest, proprio nei giorni della rivolta. Amara assiste alla rivendicazione di libertà di tutto un popolo, ascolta il respiro della città, condivide la speranza e lo spirito di fratellanza dei protagonisti della sollevazione e infine, nel momento dell’entrata in città dei carri armati sovietici, ne constata tristemente il fallimento. La storia entra così nella vicenda privata della giovane donna, e vi entra per la seconda volta in modo duro e spietato. La vicenda del piccolo Emanuele, l’amico d’infanzia, forse il primo amore, di nuovo si intreccia con la grande storia e ne subisce la cieca violenza. Eppure Amara non demorde: deve portare a termine la sua ricerca, deve conoscere la verità su Emanuele, toccarla con mano questa verità, leggerla negli occhi di lui ormai uomo. Qualcosa sarà rimasto uguale a un tempo nel suo cuore di scampato all’inferno? Ritroverà il sorriso di quel bambino ribelle e vivace? Ritroverà in lui l’amore per la libertà, la leggerezza dei giorni? Amara se lo chiede, con la forza della speranza ma anche con il timore dell’illusione, mentre lentamente viaggia “su quel treno che tenta di sgusciare, più che da un paese all’altro, da una civiltà all’altra, da una mentalità all’altra. Un vecchio treno con pochi passeggeri, una catena di logori vagoni che vogliono forzare le maglie della divisione del mondo”.