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Il Vecchio della Montagna

Il Vecchio della Montagna

A quei tempi, nella seconda metà dell’anno 1000, nella città persiana di Nishapur, c’era un’importante scuola, un’università dove ogni giovane interessato poteva trovare soddisfazione per la sua mente. Lì si trovano a disputare tre adolescenti, Hasan-i Sabbah, Umar Kayyam e Abu ‘Alì: trascorrono le giornate ascoltando le lezioni mirabolanti del maestro Muwaffiq, note fino a Baghdad, e poi, rintanati nelle biblioteche e nella loro stanza, divorano tutto quello che c’è da sapere della religione, della morale, della filosofia. Discutono, litigano, argomentano: costruiscono le loro speranze. Arrivato il momento di lasciarsi, al termine degli studi, i tre ragazzi si fanno una promessa: condividere fra di loro ogni successo, ogni ricchezza futura. Ma non hanno la stessa indole: mentre Umar decide di rimanere a Nishapur per dedicarsi allo studio dell’astronomia, della matematica, Abu ‘Alì diventa presto visir presso il sultano e inizia ad amministrare terre e popoli con saggezza. Hasan è invece cupo e ambizioso: non può accettare di ritornare nello sfacelo di Rayy, città ormai in decadenza; non gli basta nemmeno entrare nelle grazie del sultano; vuole di più, vuole sovvertire l’ordine e dominare le terre dalla Siria all’India. La vita è destinata a cambiare quando, allontanato da palazzo, ritrova un vecchio amico del padre, Amira Dharrab, che gli parla di una setta conosciuta in Egitto, un gruppo di saggi che predica una dottrina che può soddisfare le sue aspettative. Hasan ha quasi compassione per questo povero vecchio, ma deve ravvedersi dopo una notte insonne: sta quasi per morire, suda ed ha tremori, fino a quando vede la luce, come un lampo che squarcia il buio. Deve parlare con Amira Dharrab, gli è apparso in sogno Ismail, il suo destino è segnato...

Adelphi propone, nella collana L’oceano delle storie, la biografia romanzata di ḤaḤ san-i ṢaṢ bbāḥ,ḥ meglio noto come il “Vecchio della Montagna”, confezionata da Betty Bouthoul nel 1958 (Le Vieux de la Montagne). Scrittrice e artista, animatrice col marito di un salotto culturale a Parigi nella prima metà del ‘900, salotto frequentato fra gli altri da Boris Vian, Pablo Picasso, Jacques Prévert, Betty Bouthoul rimane folgorata dall’animo irrequieto del giovane Hasan, seguendone le gesta che dal piccolo centro persiano di Rayy, hanno spinto il fondatore della Setta degli Assassini fino in Egitto ed in Siria: proprio ad Alamut il Vecchio Maestro ha istruito i suoi fedelissimi, i fedayyin o assassini, che poi furono protagonisti, in nome della setta degli Islamiti, di innumerevoli omicidi, a partire da quello del gran visir Nizam al-Muluk. La setta degli assassini era un’organizzazione segreta spietata che agiva per spazzare via i Selgiuchidi e affermare, o riaffermare, la primazia dei Fatimidi. La loro fede, irreprensibile, sapientemente mescolata con la cultura greca e cristiana, prevedeva come normale l’omicidio politico al fine di destabilizzare un regno. La loro spietatezza era ben nota, tanto che se ne favoleggia sia ne Il Milione di Marco Polo, che descrisse la loro fortezza a Alamut come un palazzo ricco e bellissimo, ma anche nelle chanson de geste medievali (nella fattispecie la Chanson d’Antioche). L’opera di Betty Bouthoul, che vuole assurgere anche a saggio scientifico, è ricca e intrigante, anche se non sempre rigorosa e ordinata, nonostante le diverse appendici. La lettura risulta difficile.