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Il veleno perfetto

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Vyrin ormai è un altro uomo: l’uomo che è stato un tempo non esiste più. Le lenti a contatto alterano il colore dei suoi occhi e i lineamenti sono cambiati, grazie all’abilità di un chirurgo plastico che ha anche cancellato ogni traccia di nei e cicatrici. È davvero “un mutaforma con una biografia creata da maestri della menzogna e delle trasformazioni”. Gli acciacchi della vecchiaia lo assillano, in particolare d’estate; come se volessero celebrare la ricorrenza della sua fuga, del suo tradimento. È al corrente del dossier che lo riguarda, contenuto in un incartamento col timbro “top secret”; ne ha visti tanti identici durante gli anni di servizio: cambiavano solo i nomi dei soggetti da punire. “Aveva servito l’agenzia con maggiore dedizione degli altri, e più degli altri si era spaventato allorché il Paese aveva cominciato a crollare e sembrava che il sistema sarebbe franato appresso a esso”. Adesso che la sua vita si svolge in un Paese libero, ha la sensazione di aver vissuto in precedenza all’interno di un romanzo paranoico: “un romanzo che aspirava, nei limiti, ad abbracciare una vita nella sua totalità, a crearne una copia poliziesca”. Lo sguardo dello Stato, però, è sempre riduttivo; concentrato sulle filigrane della fedeltà e infedeltà. Sotto questo punto di vista, un dossier è un gemello particolare di una vita: “oscuro, tronco, plasmato da denunce, parole orecchiate, rubate, scene osservate di nascosto”. Ne ha creati di dossier, lui stesso; molto prima di diventare lui l’obiettivo della caccia…

Un chimico geniale sintetizza il “veleno perfetto” e dopo il crollo del sistema politico per cui ha sempre lavorato si dà alla fuga. La morte, a distanza di anni, di un altro transfuga - piccolo spoiler: il nostro Vyrin non ha tutti i torti a considerarsi una preda -, probabilmente ucciso proprio col “veleno perfetto”, solletica i nuovi poteri oscuri della sua vecchia patria che decidono di farlo fuori. Un agente speciale è inviato nel Paese libero che ospita il geniale chimico per ucciderlo, allo scopo di impedire che il “debuttante” (così è chiamato il veleno) venga scoperto. Il plot in definitiva è questo: il nuovo regime (che conserva vizi simili al vecchio) dice a Šeršnev (è il nome dell’agente speciale) di trovare Kalitin (il geniale chimico) e di eliminarlo. Tutto il resto del romanzo è occupato dalla narrazione dei ricordi della preda e del cacciatore, attraverso i quali Lebedev ricostruisce la storia distopica di un regime spietato che è facile identificare con l’URRS. Il romanzo, che dovrebbe essere “un superbo thriller letterario” (come recita la copertina), è molto letterario, poco superbo, e per nulla thriller. Per nulla thriller perché una narrazione concentrata sul racconto di ciò che è stato non crea né l’effetto sorpresa - che dipende dal non conoscere cosa accadrà - né suspense che (secondo la nota definizione di Hitchcock) dipende dal conoscere cosa accadrà ma dal non sapere quando ci sarà mostrato. Molto letterario perché per la gran parte del romanzo la voce narrante ci racconta le esperienze di vita dei protagonisti, con dovizia di particolari e con una grande attenzione al contesto (pseudo)storico in cui si svolge la narrazione. Raramente i personaggi ci sono mostrati mentre agiscono; ne conosciamo, però, ogni pensiero, proprio come se lo scopo principale dell’autore fosse l’elaborazione del profilo psicologico di chi ha operato (e opera) nelle viscere maligne degli apparati istituzionali. Poco superbo perché, da un canto, la struttura e il registro allentano la tensione che ci si aspetterebbe da un romanzo dichiaratamente di genere; dall’altro, personaggi e ambientazione non sono delineati con un livello di approfondimento e di originalità tali da regalare al lettore figure, contesti e scene davvero memorabili.