Salta al contenuto principale

Il viaggiatore insolito

Il viaggiatore insolito
L’esistenza quotidiana che lo conduce in India, così selvaggia, nuova, diversa dalla sua natia Irlanda, esotica, insolita, strana e sconosciuta, spesso ricca di risvolti completamente inimmaginabili, soprattutto di primo acchito, piace in modo a dir poco immenso ad Arthur, che non si risparmia affatto, in nessuna occasione, numerose fatiche, persino improbe e massacranti, al limite, a voler essere sinceri, dell’assurdo, per cogliere, avido com’è di emozioni, tutte le possibilità che questo inatteso regalo della sorte gli offre in abbondanza. Basta che un ufficiale che alloggia presso un bungalow che si trova vicino al suo gridi che è stata avvistata in giro una tigre, anche solo a una decina di chilometri di distanza, metro più metro meno, e lui è già legato di tutto punto alla sella del suo cavallo, pronto a seguirlo seduta stante sulle ripide salite dei Ghat, e non soltanto lì…

“Nil – o nihil – difficile volenti”, per dirla in latino. Insomma, volere è potere. Questo proverbio sembra essere stato inventato per Arthur Kavanagh, il rampollo di un’agiata famiglia irlandese del diciannovesimo secolo che è stato dappertutto, persino in Egitto, in Persia e in Mesopotamia, pur essendo privo di braccia e di gambe. Certo i mezzi lo hanno aiutato, e viene da pensare a tutte quelle persone che nella medesima situazione non potendosi permettere gli ingegnosi congegni che lui aveva a disposizione, soprattutto in un tempo così diverso da quello attuale per quel che riguarda lo sviluppo tecnologico, non hanno potuto realizzare il sogno, ammesso che lo avessero, di viaggiare, ma la sua storia (si è sposato, ha avuto un figlio, è stato eletto in parlamento, probabilmente è stato anche una spia), che Claudia Berton racconta con dovizia di particolari, stile limpido e romanzesco e potenza documentaria, è importante dal punto di vista etico, civile, morale. Perché racconta di un uomo di indubbio spessore e grande dignità. E fa riflettere su quanto ci si lamenti a volte, così, tanto per parlare, di problemi che invece non sono vere disgrazie: anzi.