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Il vizio di parlare a me stessa - Taccuini 1976-1989

Il vizio di parlare a me stessa - Taccuini 1976-1989

Agosto 1976. “Ho un quadernetto per scrivere sciocchezze e no, regalato da Angelo. Forse per superare la paura che mi farà il ritorno là dove non vorrei (e vorrei) tornare: Mozart o la musica del dubbio, in questa Roma di Ferragosto appiccicosa di certezze mielate. A Ferragosto a Roma tutti i pazzi si fanno vivi. L’odore del verde dopo la pioggia di Ferragosto è amaro come la seta del papavero stropicciata fra le dita”. Comincia in questo modo la raccolta dei pensieri di Goliarda Sapienza. I suoi taccuini comprendono più di ottomila pagine di appunti, riflessioni, sogni. La curatrice, Gaia Rispoli, è riuscita a condensarli in un più agile volumetto. Dal 1976 al 1989 ripercorriamo le fasi più importanti della scrittrice. I suoi amori, i suoi viaggi – memorabile per lei sarà la visita in Cina dopo aver visto la Russia – i suoi pensieri più intimi, le liriche improvvisate, le letture che l’hanno accompagnata e da cui ha tratto ispirazione. La politica. La dicotomia tra essere una donna militante e vedere sempre più lontani i suoi desideri, i propri sogni, constatare che tra lei e il ceto dirigente – che Goliarda conosce di persona – si stia aprendo un baratro insanabile. Sempre più lontana dalle idee socialiste, l’autrice approda ad una propria e personale visione della politica. È donna fieramente di sinistra, ma non ama Pietro Nenni ed è distante dalla visione politica e sociale dei comunisti di Enrico Berlinguer…

Goliarda Sapienza ha conosciuto da pochi anni il successo del pubblico, si pensi al suo L’arte della gioia, divenendo probabilmente una delle scrittrici italiane più rappresentative del nostro Novecento. Questa raccolta dei suoi appunti personali ci svelano la donna e le sue contraddizioni, l’umore incostante, il suo essere maniacale nella scrittura e nella lettura, la sua tormentata relazione con il regista Citto Maselli, i suoi amori e le sue passioni, il carcere e i dolori: non essere mai stata madre è, di certo, uno dei fardelli più pesanti che l’autrice ha dovuto portare nella sua vita. C’è anche la Goliarda allegra, spensierata, quella che si perde nel mondo, che viaggia con il naso in su e si guarda attorno. C’è la fine delle utopie politiche e il lento sgretolarsi – davanti ai suoi occhi – del Partito Socialista Italiano e di un sistema in cui la Sapienza ha creduto fortemente. La scrittura è frammentaria, lirica, incantevole. Ci si perde nei meandri, nel labirinto dei pensieri dell’autrice. Probabilmente, dopo aver letto Il vizio di parlare a me stessa potremmo approcciare in modo differente tutti gli altri lavori di Goliarda Sapienza, intravvedendo – come in filigrana – alcuni lampi della sua vita privata nella trama dei suoi romanzi. Tramite i suoi taccuini abbiamo un altro punto di vista, privilegiato e molto utile, per provare a decodificare e a metabolizzare il lungo Novecento italiano e gli uomini e le donne che ne hanno segnato il panorama politico e culturale. “Questo librettino sta finendo e forse è un bene. Non credo che ne vorrò un altro. Questo scrivere per se stessi finisce sempre con l’ammorbidire troppo i propri sentimenti e portarti all’autocompiacimento”.