
La sovranità politica non è più appannaggio degli Stati Sovrani. Una nuova entità si è lentamente ed inesorabilmente impadronita del potere negli anni successivi alla caduta dell'URSS: l'Impero, che pervade tutto il pianeta, senza confini né limiti. L'Impero affonda le sue radici giuridiche e filosofiche in Hobbes (il concetto di "Dio in terra"), in Kelsen (la "Comunità universale superiore"), in Locke ( la "Società civile globale"), nel concetto tipicamente Illuminista di uno Stato Mondiale Giusto. Ma, abbeverato alla fonte del Capitalismo selvaggio, questo sembra aver imboccato ben altra strada. Multinazionali, Stati Uniti, G8, Fondo Monetario e Banca Mondiale sono aspetti e agenti dell'Impero, che espropria della loro libertà di autodeterminazione e della loro vita gli uomini del mondo. Ma alle "moltitudini" di Polibiana memoria rimane lo spazio, politico, creativo e tecnologico, per sovvertire l'ordine mondiale e riappropriarsi del proprio futuro...
Reduce da un successo travolgente negli Usa, dove è diventato un must del giro dei campus universitari e degli studiosi new-left, arriva in Italia questo dotto saggio marxista. Descrive la fine dello stato-nazione non semplicemente auspicandola, ma dandola già per avvenuta e analizzando il processo che ha portato alla nascita di un sovra-potere globale, di natura militare ed economica, definito appunto Impero. Impero ubiquo, che preme con le sue lobbies post-nazionali sugli organismi multilaterali della politica mondiale. Un affresco, quello di Negri e Hardt che è una metafora ipermoderna dell'Impero romano, con le sue aristocrazie e plebi, ovvero "moltitudini che premono dentro e fuori dai confini". Moltitudini è un concetto di classe, in una nuova versione, allargata alle forme del lavoro immateriale, autonomo e tecnologico. Infatti l’Impero costituisce un potere e un ordine biopolitico perché la produzione stessa è diventata biopolitica. Il luogo della produzione non è più la fabbrica ma l’umanità stessa, intelletto, corpo e sentimenti insieme. Il biopotere è l'assorbimento della società e della vita umana intera dentro il capitale. Ma la teoria della costituzione dell’Impero è anche quella del suo declino. Sta alle moltitudini riappropriarsi del proprio ruolo creativo e politico e sfruttare il nomadismo che l'Impero al tempo stesso impone loro e combatte, per rimodellare (anche con mezzi insurrezionali) il destino del mondo.
Reduce da un successo travolgente negli Usa, dove è diventato un must del giro dei campus universitari e degli studiosi new-left, arriva in Italia questo dotto saggio marxista. Descrive la fine dello stato-nazione non semplicemente auspicandola, ma dandola già per avvenuta e analizzando il processo che ha portato alla nascita di un sovra-potere globale, di natura militare ed economica, definito appunto Impero. Impero ubiquo, che preme con le sue lobbies post-nazionali sugli organismi multilaterali della politica mondiale. Un affresco, quello di Negri e Hardt che è una metafora ipermoderna dell'Impero romano, con le sue aristocrazie e plebi, ovvero "moltitudini che premono dentro e fuori dai confini". Moltitudini è un concetto di classe, in una nuova versione, allargata alle forme del lavoro immateriale, autonomo e tecnologico. Infatti l’Impero costituisce un potere e un ordine biopolitico perché la produzione stessa è diventata biopolitica. Il luogo della produzione non è più la fabbrica ma l’umanità stessa, intelletto, corpo e sentimenti insieme. Il biopotere è l'assorbimento della società e della vita umana intera dentro il capitale. Ma la teoria della costituzione dell’Impero è anche quella del suo declino. Sta alle moltitudini riappropriarsi del proprio ruolo creativo e politico e sfruttare il nomadismo che l'Impero al tempo stesso impone loro e combatte, per rimodellare (anche con mezzi insurrezionali) il destino del mondo.