
“Ispettrice Salazar, il tenente Padua chiede se può raggiungerlo di sotto, nelle celle”. Amaia, ispettrice della Squadra omicidi della Policía Foral de Navarra, è seduta sulle panche in fondo al tribunale di Pamplona in attesa del verdetto a carico di Jasón Medina, reo di avere violentato e ucciso la sua figliastra Johana. La scena che le si presenta davanti una volta arrivata nei sotterranei è terribile: Medina è seduto sul gabinetto con la testa riversa all’indietro, sul collo un profondo taglio da cui sgorga copioso il sangue; è riuscito a tagliarsi la gola con le manette addosso, usando un cutter. Nella tasca della sua giacca, un biglietto bianco indirizzato ad Amaia, con una sola scritta al centro: TARTTALO. È curioso che Medina utilizzi proprio quel riferimento – il tarttalo altri non è che un ciclope della mitologia greco-romana e basca ‒ dato che nove mesi prima Amaia aveva lavorato al caso del basajaun, Signore dei boschi, altra creatura mitologica locale. Si tratta di una maldestra imitazione, o c’è di più? Intanto Amaia è felice di uscire all’aria aperta, liberandosi da quell’atmosfera pesante facendo una passeggiata. Il suo imminente parto occupa tutti i suoi pensieri. È preoccupata, e qualche lieve contrazione l’avverte che è quasi giunto il momento: sarà una bambina, per la gioia di Clarice, la sua invadente suocera che ha tanto insistito per regalare alla piccola una cameretta, un tripudio di agnellini rosa, pizzi e merletti. Immaginate quindi la sorpresa quando – in barba a tutte le ecografie fatte ‒ a venire alla luce è invece un bel maschietto, Ibai (fiume, in basco). Amaia si assenta dal lavoro per tre mesi, ed è dura ricominciare e “abbandonare” il piccolo, seppur tra le braccia amorevoli di suo marito James e di sua zia Engrasi. Ad aspettarla, al suo rientro, c’è la profanazione di una chiesa ad Arizkun; i vandali hanno dato fuoco alle tovaglie di lino che ricoprono l’altare, e ai suoi piedi hanno riposto un osso: è un mairu-beso, il braccio dello scheletro di un bambino morto senza battesimo, sicuramente trafugato da un cimitero. Si sospetta dei discendenti degli agotes, un gruppo di proscritti, lebbrosi o catari in fuga all’epoca feudale, costretti a vivere in un ghetto discriminati dal resto della comunità. Il caso è scomodo e la Santa Sede, nella severa persona di padre Sarasola, preme per una risoluzione veloce; Amaia se ne deve occupare suo malgrado: nessuno conosce meglio di lei la valle del Baztán, la zona in cui i fatti sono accaduti. E sebbene la donna adori tornare dalle sue parti, i fantasmi del passato continuano a darle il tormento: forse vogliono dirle qualcosa. Forse, ci sono segreti che ancora non sono stati rivelati, mentre sente sul viso il respiro pesante di sua madre che si china su di lei, infagottata nel suo lettino a nove anni con gli occhi sbarrati dal terrore: “Dormi troietta. Per oggi l’amá non ti mangia”…