
Firenze, seconda metà dell’Ottocento. Theodore Colville osserva le acque dell’Arno gonfiarsi a causa della pioggia. Ha tutto il tempo per soffermarsi a pensare e recriminare. Tempo per ignorare la città e i dettagli dell’architettura che lo circonda, per lasciarsi andare al disgusto. Riflette sulla vita che è stato costretto ad abbandonare, sul giornale che ha reso importante e a cui ha dato la sua impronta, ma che ora, non più suo, va avanti comunque. Rimugina sull’umiliazione pubblica a cui è stato sottoposto. L’orgoglio lo ha spronato a cambiare aria, a partire dall’America e arrivare in Italia. Lui, Colville, un tempo tenuto in così alta considerazione, con i suoi studi da architetto sulle spalle aveva accettato anni prima di trasferirsi a Des Vaches su insistenza del fratello, una richiesta giunta proprio mentre si trovava a Firenze, come ora. All’epoca (ben diciassette anni prima) aveva quasi finito i soldi e aveva il cuore spezzato da un amore finito male. E adesso? Di nuovo a indugiare su Ponte Vecchio, pronto a ricominciare dal principio, indifferente di fronte ai monumenti che non suscitano in lui emozioni. È intento a riflettere quando due figure femminili avanzano per ammirare il panorama: la più matura insegna alla più giovane le bellezze della città ed è lei ad esclamare un sorpreso “Mr Colville!”. Lo scambio di sguardi è intenso, amichevole, un sondarsi reciproco per valutare quanto sia stato inclemente il tempo nei confronti di entrambi. È proprio lei, Mrs Bowen, che dopo avergli posto numerose domande, lo informa (ma lui ne è già al corrente) di essere vedova e che la giovane al suo fianco è la figlia, Effie. La distinta signora (amica e confidente della donna che aveva lasciato Colville) risiede a Firenze da due anni e lo invita a casa, presso Palazzo Pinti sul Lungarno della Zecca, dove riceve visite ogni giovedì pomeriggio…
L’amareggiato Mr Colville si è rifugiato a Firenze coi suoi quarantuno anni e novanta chili (elementi non trascurabili dal suo punto di vista) e si domanda se questo faccia di lui un uomo romantico oppure patetico agli occhi della gentile Mrs Bowen. Conoscere Imogene Graham, una ventenne ospite della Bowen, mette ancora di più in subbuglio il suo spirito. Le attenzioni delle donne lo fanno sentire interessante, ma si scontrano con l’amarezza nel percepire la giovinezza perduta. Colville non sa come riempire le giornate, è troppo vecchio per seguire interessi giovanili, troppo vecchio per inventarne di nuovi. Passa molto tempo in visita a Palazzo Pinti, perché sa di non essere più giovane, ma sente ugualmente di non avere vissuto abbastanza e queste emozioni contrastanti lo logorano e accrescono il suo cinismo. Un cinismo che affascina Imogene, specialmente quando viene interrotto da sprazzi di dolcezza. Tempo perduto e rimpianto sono la costante del romanzo. Colville è un uomo che annaspa nell’imparare a vivere di nuovo e darsi uno scopo. Ama le donne che ha intorno, si nutre delle loro lusinghe, vive riflesso nel loro relazionarsi con lui. Pubblicato nel 1886, il libro è nato in seguito a un viaggio compiuto in Italia dall’autore, William Dean Howells (1837 – 1920), romanziere, drammaturgo, saggista, poeta, traduttore e editore. Amico di Henry James e di Mark Twain, Howells porta avanti una brillante carriera politica e nel 1862 sposa Elinor Mead (la giovane fa parte di una prestigiosa famiglia di architetti, sarà lei a progettare la loro casa a Cambridge). A consacrarlo come autore di successo sono i titoli: A modern Instance e The rise of Silas Lapham. I suoi scritti hanno una forte impronta realista, sia nel descrivere la natura dell’uomo comune (relazioni sentimentali, matrimonio, debolezze), sia nell’analisi sociale ed è noto l’impegno di Howells nelle questioni sociali e politiche dei suoi tempi. Nel romanzo Indian Summer è attraverso l’indeciso Theodore che misura il dissidio tra rimpianto e rinascita. Eppure, contrariamente alle premesse, il lieto fine è dietro l’angolo.