
L’infanzia e l’adolescenza di Nivasio Dolcemare, nell’Atene dei primi anni del Novecento, trascorrono all’interno di una famiglia che si rispecchia in maniera del tutto fedele la vacua condizione della società agiata del periodo. A mano a mano che i ricordi riaffiorano alla mente, compaiono sulla scena la figura materna della signora Trigliona, quella paterna del commendator Visanio e della tata preposta alla sua cura Deolinda Zimbalìst. Quindi quelle di altre persone che frequentano la casa o entrano comunque in contatto con l’ambiente famigliare. Su di loro gli occhi del ragazzino si posano ad osservare per poi descriverceli con pungente ironia e l’acuta sottigliezza di chi ne fa degli antieroi della mitologia adolescenziale. Non a caso i loro nomi sembrano uscire da un’antologia di ridicoli personaggi della mitologia classica: Filopemone, Aristogetone, Aspasia, la giovane Pertilina “lieve come ombra” e “profumata di purezza”, il barone e la baronessa von Ràthibor, il Duca d’A. che la fantasia di Nivasio immagina con due corna immense e ramose “che trasformavano la testa di questo diplomatico in un vivente attaccapanni”, il marchese Raúl detto l’imbecille, il pittore Ermenegildo Bonfiglioli, specializzato in “tondeggiamenti tiepoleschi”, la vedova Vianelli con le due figlie alle quali sono vietati i salotti buoni della città perché le prosperose ragazze – “due splendidi esemplari di femminilità” – fanno risvegliare anche le statue…
Come concepire la fantasiosa rappresentazione di una stagione della propria esistenza, quella che va dalla pubertà alla prima adolescenza che, sia pure transitoria e deperibile, risulterà nondimeno unica e decisiva nel percorso successivo del tempo? A questa domanda intende rispondere Alberto Savinio, nom de plume di Andrea Francesco Alberto de Chirico, scrittore e drammaturgo, pittore e compositore nato ad Atene nel 1891 e morto a Roma nel 1952, ricorrendo alla terza persona e dunque ad un alter ego il cui nome è ricavato dall’anagramma del suo pseudonimo nel racconto che dà il titolo al libro. Savinio, che è stato fratello del “pictor optimus” Giorgio de Chirico, rievoca qui il periodo vissuto nella capitale greca fino all’età di 14 anni. Con tono nostalgico riporta in luce memorie pregne di intima tenerezza, mentre con accento sarcastico addensa ritratti e condotta di vita di membri della società abbiente del tempo, della quale i suoi stessi famigliari erano parte integrante. Ci fornisce in tal modo una galleria di personaggi frivoli e mondani, intenti a crogiolarsi in riti e privilegi di una condizione sociale di cui sembrano ignorare il declino; ma che soprattutto si rivelano estranei e incuranti dell’inclito retaggio culturale della città ove risiedono e che fu centro di irradiazione di quell’antica civiltà greca che Savinio amava invece profondamente. La sua prosa deliziosamente raffinata ci consegna pertanto una singolare autobiografia e insieme una farsa dai toni accesi e istrioneschi della società greca nei primi anni del secolo scorso privi di una scansione cronologica lineare che ci concedono ben più di una risata ancorché amara. Completano il testo i due racconti Luis il maratoneta e Senza donne, che aggiungono al libro un ulteriore ragione per acquistarlo, leggerlo e collezionarlo.