
Negli ultimi due secoli le azioni violente dei gruppi estremistici hanno decisamente influenzato il corso degli eventi, basti pensare agli attacchi dell’11 settembre 2001 oppure all’assassinio dell’arciduca Ferdinando d’Asburgo e di sua moglie che fu il casus belli della Prima Guerra Mondiale. Questi e tanti altri esempi potrebbero essere fatti per determinare la capacità di sparigliare le carte delle azioni terroristiche, ma, allo stesso tempo, non si può negare che l’esito di tali avvenimenti dipende soprattutto dalla reazione che il sistema adotta nei loro confronti. Ne consegue che non è necessario che gli estremisti siano ben armati, razionali o numerosi, ma è sufficiente la loro disponibilità a correre rischi estremi al pari delle idee da essi propugnate. Tali comportamenti hanno alimentato, sin dalle loro prime manifestazioni, una nutrita bibliografia in cui si analizzano ora le componenti psicologiche, ora quelle sociali, ora le ragioni politiche, ma ciò che più incuriosisce gli studiosi è la continua intenzione e volontà di creare gruppi terroristici nonostante le difficoltà, le privazioni e i pericoli che tali adesioni comportano. Inoltre, un altro dato che balza all’occhio, riguarda la presenza degli ingegneri tra gli estremisti violenti di matrice islamista, i quali sono decisamente sovra-rappresentati…
Decisamente originale e di taglio accademico, il saggio scritto a quattro mani da Diego Gambetta e Steffen Hertog si prefigge l’obiettivo di mostrare che il jihad (in italiano quasi sempre declinato al femminile, sbagliando) non è combattuto da ignoranti o analfabeti, ma da persone che spesso hanno un livello di istruzione universitaria e, in particolare, un’istruzione universitaria afferente al campo ingegneristico, che si segnala come il percorso di studi preferito dall’estremismo islamista. Istruzione ed estremismo infatti, non sono due concetti antitetici, ma tendono sempre più spesso ad andare di pari passo, con conseguente incremento delle capacità organizzative e intimidatorie dei nuclei terroristici. I capitoli in cui è divisa quest’opera agile ed esaustiva affrontano vari e spesso nuovi aspetti della minaccia terroristica, servendosi di una bibliografia sterminata e di statistiche opportunamente documentate, offrendo al lettore una panoramica completa e di assoluto valore. Utilizzando principalmente lo strumento della comparazione, gli autori mostrano i punti di contatto e di differenza fra l’estremismo islamista e le altre forme di terrorismo che hanno insanguinato il mondo, rivelando come vi siano più punti di contatto con il terrorismo estremista di destra che con quello di sinistra, soprattutto per la forte componente reazionaria che anima ideologicamente queste manifestazioni violente. Un punto di vista decisamente interessante e fuori dal coro, soprattutto se paragonato alle centinaia di pubblicazioni che non fanno altro che ripetere all’infinito i soliti luoghi comuni sul terrorismo, il jihad e la geopolitica mondiale.