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Insonnia

Insonnia

La sua prima lunga insonnia risale al 10 dicembre 1987. Sua moglie se ne era andata senza avvertirlo, senza dare sue notizie. Nessuno sapeva dove fosse. Andare a dormire era impossibile, era divorato dalla preoccupazione. Quando sua moglie tornò a casa era raggiante, aveva un sacchetto con dei croissant e disse con nonchalance di essere stata “in un locale”. Da quella notte l’insonnia è diventata la sua compagna fedele e la sua aguzzina. L’insonnia ha rovinato il suo matrimonio, è per colpa dell’insonnia che hanno iniziato a dormire in camere separate, che hanno smesso di fare l’amore. E anche adesso, non importa quanto lui si attrezzi in modo da non ostacolare il sonno, non importano la posizione, il materasso, le lenzuola morbide o i tripli vetri. Per quanto la sua ex moglie possa sostenere che per dormire è sufficiente volerlo, la volontà non c’entra proprio nulla. Lui un rimedio l’ha trovato, è bastato mettere un cuscino sul viso della madre, è bastato aspettare che spirasse. Lei se n’è andata serenamente, nel sonno, e lui ha dormito come un bambino. Ora è fresco e riposato, non prova il minimo rimorso, non prova vergogna o pudore; ora ha capito che gli basta uccidere per ricaricare i suoi crediti sogno e dopo un po’ i morti vengono a trovarlo, gli annunciano che il tempo sta per scadere, deve uccidere ancora. Perché non alzare la posta? Perché non passare dai vecchi moribondi in ospedale a un pedofilo, o meglio un torturatore del regime di Hassan II? Non può certo restare impunito; d’altronde lui ha scritto spesso storie di omicidi ben congegnati, è uno sceneggiatore. Il suo lavoro gli ha fornito gli strumenti per provocare l’istante finale senza lasciare tracce, adesso non inventa più storie, è passato dalla scrittura alla vita...

L’ultimo romanzo del famoso scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun è stato definito dalla critica un giallo; tuttavia a Insonnia mancano gli elementi caratteristici del genere: non c’è un investigatore, non c’è un caso né un’indagine, bensì il racconto in prima persona di un uomo che ha capito che il prezzo del sonno è il sangue, in un’escalation che lo porta da “acceleratore di morte”, come lui stesso si definisce, a giustiziere. Il protagonista entra sulla scena con un incipit potente, incisivo, che richiama alla mente due testi e due autori molto differenti, da un lato lo straniamento del grande capolavoro di Camus, L'Étranger, dall’altro la schiettezza dissacrante di Woobinda di Aldo Nove. “Ho ucciso mia madre. Un cuscino sul viso. Ho fatto un po’ di pressione. Non si è nemmeno mossa. Ha smesso di respirare. Tutto qui. Poi ho dormito, a lungo, profondamente”. Già dalle prime righe emerge il nucleo e l’idea di fondo del romanzo, che ribalta il luogo comune per cui la coscienza sporca porta a non dormire o ad avere sonni inquieti, perché il nostro anonimo sceneggiatore, tormentato dal demone dell’insonnia, non sente rimorso per i suoi omicidi, non prova rimpianto; anzi, ogni morte è un “credito sonno” che gli concede lunghe notti ristoratrici, costellate da sogni sereni. Perché la notte è il territorio dell’inconscio che ha bisogno di spazio per esprimersi, per espandersi e l’insonnia è il suo nemico. Il ritmo della scrittura è incalzante e impietoso, capitoli brevi e periodi ancora più brevi che raccontano senza veli il delirio lucido dell’uomo. Il problema, tuttavia, è proprio questo: il romanzo è condotto come un puro resoconto di fatti e la volontà dell’autore di non porsi in maniera giudicante nei confronti del suo personaggio sembra rivoltarglisi contro. Il patto con il lettore risulta arduo da mantenere perché la sospensione dell’incredulità viene messa a dura prova. Il protagonista è essenzialmente un drogato, disposto a qualsiasi cosa pur di procurarsi la prossima dose di sonno e man mano che la storia procede cerca sempre più di ammantare di moralità le sue azioni. Chi legge non può fare a meno di interrogarsi: può un uomo che non riesce a chiudere occhio per mesi architettare con lucidità estrema e puntigliosa cura dei dettagli un omicidio dopo l’altro? Può rimanere insospettabile ai più? Purtroppo, sapere che è uno sceneggiatore di film gialli e thriller sembra insufficiente. L’autore, inoltre, non ci mostra i colori e i sapori del Marocco, che pure tanta parte hanno nei suoi libri precedenti. Anche gli eventi storici legati al regime di Hassan II in questo caso sono di puro contorno e lo stesso vale per la complessità dei rapporti sociali, razziali e religiosi; insomma lo scrittore forte dei suoi 70 anni ha deciso di allontanarsi, almeno in parte, da ciò che ha caratterizzato la sua lunga carriera e di sperimentare nuovi terreni; purtroppo il risultato non è il suo miglior libro e alla fine della lettura è difficile scrollarsi di dosso l’idea che il nucleo narrativo c’è, ma sarebbe stato il materiale ideale per un racconto mozzafiato, non per un romanzo.