
Ogni volta che entro al Circolo del Lettori, nel cuore di Torino, sono sempre avvolta dalla medesima sensazione: di trovarmi catapultata in un salottino francese della Belle Époque. Questa volta sto aspettando Anna Folli, giornalista, direttrice di riviste di settore, autrice di programmi tv sulla Rai e promotrice del festival di letteratura e musica Le Corde dell’Anima, in occasione della presentazione del suo nuovo libro, edito da Neri Pozza. La chiacchierata è un’indiscutibile opportunità per trattare non soltanto della tormentata storia d’amor tra Romain Gary e Jean Seberg, ma soprattutto per approfondire l’epoca storica nella quale queste due personalità hanno vissuto.
Da dove nasce l’ispirazione per la scrittura e, nello specifico, per le tue opere?
Nel caso del mio libro MoranteMoravia nasce per passione: da ragazzina avevo letto i libri di Elsa Morante, poi li avevo ripresi e, soprattutto, Menzogna e sortilegio mi aveva fatto così tanto effetto e lo avevo amato così tanto da instillarmi la volontà di scrivere su di lei. Poi, solo documentandomi, ho incontrato Moravia: nel senso che lo conoscevo come scrittore, ma sotto il profilo umano non mi era parso particolarmente simpatico, lo reputavo un po’ burbero. Invece, quando mi sono trovata a parlare con varie persone che lo avevano conosciuto, tutti dicevano che era una persona estremamente generosa e con una grande disponibilità a darsi, a raccontarsi, non solo con giornalisti importanti, ma anche con studenti, ragazzi che andavano a suonare alla sua porta. Allora, partendo dall’amore per Elsa, sono arrivata ad amare entrambi. Nel caso di Ardore è avvenuto il contrario: conoscevo Gary, avevo già letto alcuni dei suoi libri, poi una sera mi imbattei al Salone del Libro in Silvio Orlando che leggeva i suoi brani ed è stata come una folgorazione sulla via di Damasco. Quindi, mi sono documentata e sono venuta a sapere di questa storia d’amore tra i due che non era semplicemente amore, ma l’incontro tra due personalità eccezionali. Difatti, anche Jean Seberg che spesso ci limitiamo a giudicare come un’attrice bionda e bella, in realtà era molto di più. Non è stata solo un’icona della Nouvelle Vague francese, ma è stata una donna di una generosità straordinaria, pronta a spendersi, anche rischiando moltissimo, come di essere ostracizzata da Hollywood che infatti non l’ha più chiamata a lavorare. Era come se dovesse aiutare gli ultimi della Terra e dovesse restituire le fortune della sua vita: era nata bella, a diciassette anni era già famosa. E poi, la storia di Romain Gary è già un romanzo di per sé: a partire da dove è nato, poi la fuga in Polonia, poi la famiglia ebraica sterminata, ma lui aveva fatto in tempo a fuggire in Francia, diventa eroe insignito da De Gaulle, diventa ambasciatore, perciò una vita talmente ricca e straordinaria che valeva davvero la pena scriverne.
Come è il rapporto tra Romain e Jean?
All’inizio è molto passionale, hanno un figlio (che tra l’altro ha una libreria in Spagna e ha scritto un libro tristissimo sui genitori, nel quale assume dei toni molto dolci verso la madre ma toni duri nei confronti del padre). Poi, interviene il divorzio e la fine dell’amore, ma nonostante ciò rimangono molto uniti, anzi Romain da marito che era diventa quasi un padre per Jean. Lui scrive che il loro legame è troppo forte per rompersi con il divorzio, tanto che continuano a vivere nella stessa casa o al più lei si sposta dall’altra parte del cortile con le finestre degli appartamenti che si trovano l’uno di fronte all’altra. È un amore che ha superato persino la fine dell’amore. Questo è il tratto in comune con il libro che tratta di Elsa Morante e Alberto Moravia: ad esempio, quando la Morante si ammala, Moravia va a trovarla tutti i giorni in ospedale e, quando non lo fanno entrare, mette una sedia fuori, aspettando che si senta meglio. Insomma, un legame forte che va oltre la rottura.
Quali sono i tratti in comune di Ardore con i libri precedenti?
Come detto, con MoranteMoravia sicuramente il tratto in comune è questa storia d’amore che va oltre la fine. Mentre il mio secondo libro, La casa dalle finestre sempre accese, è più la storia di una famiglia, o meglio di un periodo della cultura italiana che è assolutamente irripetibile, in cui tutti si incontravano senza bisogno di darsi appuntamento. C’era veramente una comunità di scrittori, poeti, artisti, di un mondo che purtroppo non c’è più e che ho voluto raccontare attraverso la storia della famiglia De Benedetti.
Secondo Romain Gary il romanzo perfetto era quello totale, dove c’è identificazione tra lo scrittore e il personaggio. Trovi condivisibile questa idea di scrittura?
A lui non bastava la sua vita, si sentiva stretto e usava la scrittura per poter diventare tanti uomini diversi, per poter essere il personaggio di cui stava scrivendo. Credo che sia un qualcosa di estremamente personale per poter dire se sia condivisibile o no. Dipende dagli scrittori.
In un’intervista rilasciata a seguito della pubblicazione de La casa dalle finestre sempre accese avevi affermato che la vita di Giacomo e Renata Debenedetti aveva molto da insegnarci in quanto, pur passando attraverso le peggiori tragedie del Novecento, l’arte e la cultura sono sempre state al centro della loro esistenza come un bene da difendere ad ogni costo. Invece, Romain Gary e Jean Seberg cosa possono insegnarci?
Io ho iniziato a scrivere questo romanzo quando non si parlava di guerra. Poi, però, ora si può dire che è un libro estremamente attuale perché la storia di Romain Gary è la storia di un uomo che ha sempre lottato per costruire gli Stati Uniti d’Europa perché lui con la sua vita ed esperienza era diventato per primo un cittadino di tutta Europa e aveva capito che non ci poteva essere futuro se non ci fosse stata la pace e, soprattutto, un’unione degli Stati europei. Per quanto riguarda Jean, credo che ciò che possa insegnarci sia questa generosa sensibilità verso gli ultimi. Se fosse vissuta adesso, sarebbe andata a recuperare in prima persona chi scappava dall’Africa. Infine, c’è una grande storia d’amore e io credo che le storie d’amore non siano mai datate. Questo bisogno di darsi, ma anche quando è finita la storia, questo bisogno di essere fedeli e di esserci l’uno per l’altro fino alla fine.