
Alan Friedman è un giornalista e conduttore televisivo americano molto noto al pubblico italiano. Lo incontriamo a Fano, dove ha presentato sul palco del Festival della Saggistica Passaggi il suo ultimo libro sull’economia italiana.
All’inizio degli anni 90 hai scritto due libri sul capitalismo italiano (Tutto in famiglia e Ce la farà il capitalismo italiano?) che sono stati oggetto di molte critiche: uno sulla famiglia Agnelli, l’altro che tentava di immaginare i destini di questo capitalismo. Pensi che il fatto che quello italiano fosse un capitalismo essenzialmente legato a capitali familiari e spesso carente di una visione strategica di politica industriale abbia rappresentato una delle sue debolezze? Se sì, quali sono state le altre?
Il modello del capitalismo familiare, molto comune nel Belpaese, non è cambiato in questi ultimi tre o quattro decenni. La stragrande maggioranza delle piccole imprese rimangono familiari. Quello che cambia è che il mondo globalizzato, la concorrenza sleale della Cina e altri, creano una situazione in cui è necessario agglomerare le forze, fare sistema e anche fondere di più queste imprese in modo che ottengano la massa critica per affrontare la vera sfida del futuro, per creare crescita e lavoro: l’internazionalizzazione, in altre parole, considerare il mercato globale come mercato domestico. Chi si affida principalmente al mercato italiano sarà perdente, perché non c’è abbastanza domanda interna per generare introiti.
Negli ultimi 20 anni hai sostenuto che una delle ragioni della lenta o inesistente crescita economica italiana fosse la carenza o l’insufficienza di riforme. Alla luce di quello che sta succedendo nei Paesi che queste dolorose riforme le hanno intraprese, non pensi che queste misure siano state in definitiva responsabili del progressivo impoverimento delle classi basse, indebolite dalla privazione di diritti fondamentali quali quello a un lavoro stabile, una pensione, cure mediche gratuite o tariffe a costi accessibili?
No!
Il tuo nuovo libro si intitola Dieci cose da sapere sull’economia italiana prima che sia troppo tardi. Quando è troppo tardi?
Il mio libro è un tentativo di spiegare in modo facile facile come funziona l’economia per dare potere ai cittadini e per dare loro il modo di capire le promesse elettorali dei politici perché il 60% degli italiani non conosce bene l’economia. Il libro è mirato ad aiutare il cittadino, il consumatore a capire meglio questi temi. Il primo capitolo si apre con un incubo italiano: la crisi del debito, lo spread che schizza a livelli stratosferici, proprio a causa dei politici che non sono competenti e non portano avanti la ripresa. Abbiamo avuto un assaggio di questo nelle ultime settimane con lo spread che ha superato 300 quando nella bozza di programma del Governo è comparsa l’ipotesi di cancellare 250 miliardi di debito italiano. Questo è demente, irresponsabile! Non si può cancellare il debito perché se si cancellasse si fregherebbero gli italiani che possiedono i BTP (che sono il 65% dei possessori di BTP). Sarebbe una fregatura non solo per gli stranieri ma anche per gli italiani e metterebbe l’Italia in crisi. La sfida più grande per questo governo è di non fare sciocchezze. Bisogna essere seri, tagliare imposte dove si può, ma non promettere fuffa, caramelle e cose irrealizzabili. Purtroppo in questo momento non ci sono le condizioni sufficienti per portare avanti un programma serio nell’economia, ma aspettiamo la legge finanziaria e poi giudicheremo.
Hai vissuto in Italia per molti anni e hai assistito a tutto il processo che ha portato a quelli che molti definiscono il Governo più populista dagli anni Cinquanta. Molti sostengono che questo governo sia più pericoloso di 30 anni di Berlusconismo. Concordi?
Vivo fra America e Italia, passo in Italia cinque mesi l’anno, ma sono residente americano. Riguardo al governo, per ora non mi esprimo. Aspettiamo di vedere di che stoffa sono fatti. Aspettiamo di vedere il programma di governo non nelle parole ma nelle azioni. Soltanto con i fatti potremo giudicare. In questo momento c’è molta retorica. Finché non vedremo la sostanza non avremo gli elementi per giudicare.