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Intervista a Alberto Calligaris

Alberto Calligaris
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Come diceva la mamma di Forrest Gump a proposito della vita, anche fare qualche domanda ad Alberto Calligaris è un po’ come con una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita. E in effetti dove prevedevo exploit si è curiosamente moderato, e dove non me l’aspettavo ha saputo sorprendere. Insomma, come suo solito. Ho inseguito Alberto Calligaris in Cornovaglia per fargli qualche domanda sul suo nuovo romanzo, fresco di stampa, a ben sei anni dall’ultima pubblicazione.




Ho letto in un’intervista che tu hai tutte le idee chiare prima di cominciare a scrivere e che così dovrebbe essere per ogni scrittore. Cioè non credi nell’idea che può svilupparsi mentre si sta scrivendo? E dunque la teoria di Calvino: ”Parti dal poco, basta una piccola idea, ma netta e precisa, che s’accampi sulla pagina. Su quella bava di ragno potrai sviluppare le ragnatele delle parole” non è poi così vera?
I consigli su come scrivere sono come i consigli su come fare l’amore. Puoi ascoltare i consigli di chiunque ma poi ti trovi da solo su quel letto o davanti a quella macchina da scrivere e tutto scompare e devi inventare te stesso. Ogni scrittore sviluppa la propria tecnica di seduzione delle parole. Soprattutto io non faccio l’amore come Calvino.

È stato così anche per Ogni cosa che tocco è un’astronave? C’è qualcosa che ti ha offerto uno spunto? Che tempi di “gestazione” ha avuto? Io lo immagino scritto di getto …
Un tempo avevo una Musa. Veniva a trovarmi di notte, in sogno. Poi io ho cominciato a non dormire e lei ha cominciato ad andare a letto con altri scrittori. Allora una notte mi sono deciso ho bevuto metà bottiglia di qualcosa che tenevo sotto il lavandino e sono andato a cercarla in sogno. Stava facendo sesso con Calvino. Le ho detto ma cazzo non vedi che è morto? Vieni qui. La mattina dopo quando mi sono svegliato avevo ogni idea al proprio posto, e il romanzo solo da scrivere.

Ma se ti si presentasse un tizio a proporti di comprare un oggetto magico con i poteri del reggiseno di Sylvia Plath, tu che faresti?
Qui bisogna affrontare il problema di petto. La vestaglia di Proust come il reggiseno di Sylvia Plath hanno in comune la stessa circonferenza toracica. Proust passava tutto il tempo a letto, Sylvia Plath era sufficientemente esile da entrare in un forno, la mia circonferenza toracica è 130. L’unica possibilità che contemplo è qualcuno che venga a bussare alla mia porta per vendermi qualcosa della mia taglia. Probabilmente le mutande di Balzac. Se mi portate le mutande di Balzac fate di me un uomo felice, non uno scrittore migliore.

In questo oggetto protagonista del racconto ci ho visto un po’ una presa in giro della smania di scrivere per diventare famosi che anima molti sedicenti scrittori. Di quanto mi sono sbagliata? Quanti secondo te sarebbero disposti alla qualunque, anche a rubare un oggetto magico magari e a crederci, pur di scrivere il libro dell’anno?
Questo è il libro dell’anno. Per cui molto probabilmente l’unico colpevole sono io.

Ho letto da qualche parte che sul tuo comodino ci sono sempre Sylvia Plath e Dylan Thomas. Quindi il reggiseno è una specie di omaggio ad uno dei tuoi autori preferiti (anche perché non poteva trattarsi del reggiseno dell’altro)?
Assolutamente sì. Sylvia Plath e Dylan Thomas sono due poeti visionari che non hanno usato il linguaggio per comunicare, ma hanno soppresso la funzione della parola per decifrare la realtà, perché la parola stessa diventi realtà, allo stesso modo in cui la parola è soppressa negli animali, negli alberi, nelle montagne. Il singolo sasso quindi diventa più evoluto della mente umana. Solo sopprimendo la parola in quanto tale appare la mappa dell’universo. Discorso mistico il mio, che ha necessità di essere controbilanciato dal fatto che la moglie di Dylan Thomas dopo qualche bicchiere al pub cominciasse a fare la ruota, e il fatto che non indossasse gli slip garantiva sempre grandi applausi, per cui si sospetta anche una scarsità di reggiseni, cosa che assolutamente non preoccupava il marito dal punto di vista poetico.

Il romanzo sembra prestarsi bene ad una sceneggiatura. Secondo te non ne verrebbe fuori un bel film?
- Hai letto Ogni cosa che tocco è un’astronave?
- No ma ho visto il film.
- Non ti sei persa niente. Molto più bello il film.
- Davvero? Io ho sentito dire che il libro fosse un capolavoro.
- Sì, ma era troppo immediato, quasi hollywoodiano. Per produrre il film in Italia lo hanno riscritto politicizzandolo e ambientandolo negli anni di piombo, allora tutti quanti hanno capito che Calligaris parlava di una tipa senza tette.

A proposito. Ho letto che una tua raccolta poetica è stata rappresentata a teatro. È una cosa che ti è piaciuta?
Vivendo in Inghilterra non ho mai avuto l’occasione di assistere a una rappresentazione. Ma da quanto ho visto in rete Alessandro Arcodia e Sara Piolanti sono straordinariamente bravi, e io onorato che abbiano scelto me.

Tra le tante, una cosa che mi ha colpito è il tipo di amore che lega Negro Wolfe a Sara, e che in certo modo lega anche lei a lui. Mi è sembrato un amore disperato, senza vie d’uscita ma stranamente molto romantico. Me lo spiegheresti meglio?
Mi chiedi di spiegarti l’amore. Questo è il motivo per cui sono rarissime le presentazioni dei miei romanzi. Tu alzi la mano per fare una domanda, io dico non occorre alzare la mano, tu dici scusami è una cosa che mi viene spontanea come toccare l’acqua delle fontane, io dico non ho capito, chi è dei due quello che scrive? Tu sorridi e mi chiedi di spiegarti l’amore. Ecco. Questo è quello che significa un amore disperato, senza vie d’uscita ma stranamente molto romantico.

La prima cosa tua che ho letto è stata una poesia in cui parli anche di Alessandro Magno. È molto bella e mi ha colpito moltissimo (forse perché ho un debole per lui). Parla di ambizione, di delusione, di frustrazione. Vero è che una  poesia non si spiega, ma mi piacerebbe moltissimo che me ne parlassi e che mi dicessi perché con tante figure di riferimento possibili hai scelto proprio lui…
Non ho scelto Alessandro Magno, ho scelto Aristotele come suo maestro. Il punto è proprio questo, che chiunque diventa Alessandro Magno se ha Aristotele come maestro. È come vincere i mondiali se ti allena Bearzot. Stessa cosa. Bisogna incendiare le menti, invece spesso l’istruzione è lasciata ad insegnanti che distribuiscono fiammiferi senza sapere a cosa servono. Poi accadono dei casi di autocombustione e subito si parla di genio.

A proposito di poesia. Ne scrivi ancora? E, se sì, usi sempre l’Olivetti 32 solo per le poesie?
Poesia ne scrivo sempre, ma in Italia non vende, per cui ho cambiato mercato e scrivo in inglese. L’Olivetti 32 ormai la uso solo per lettere d’amore.

Ancora a proposito di poesia. Ti si paragona spesso a Bukowski. Di recente ho letto di una delle varie autrici di poesie che si lamentava di questo paragone che le si riconosceva in una recensione, per altro positiva. La pensi allo stesso modo?
Personalmente non ho alcun tipo di problema se il secondo termine di paragone è morto, come Bukowski appunto. Se invece dovesse essere vivo sono costretto ad ucciderlo, chiaro.

Per l’ultimo tuo libro avevi scelto la Rete. Cosa ti ha fatto cambiare idea e decidere di pubblicare in cartaceo, con una casa editrice e in Italia?
‘round midnight edizioni mi ha offerto la pubblicazione di un libro e io ho accettato. Molto semplice.

Passeranno altri sei anni prima di rileggerti ancora?
Non dipende da me. Offrimi un contratto, io ho già un nuovo romanzo pronto.

I libri di Alberto Calligaris