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Intervista a Alicia Giménez-Bartlett

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La regina del giallo europeo è una signora di mezza età minuta dal caschetto castano e dal sorriso affabile che illumina un tailleur un po' severo. Una professoressa di Lettere di quelle che ti fanno amare la loro materia e che è un piacere ascoltare mentre spiegano ma che alle interrogazioni non ti regalano niente, se avete presente il tipo (e infatti mi racconta poi che per molti anni ha insegnato Letteratura all'Università). Vedi le apparenze quanto contano? Alicia ama dire - e scrivere - a tal proposito che la vita nasconde misteri dietro le semplici apparenze. Scopriamo i suoi misteri, allora.




Come nasce in te la passione per la scrittura che abbastanza evidentemente ti divora?
Direi che scrivo da sempre, che scrivevo già quando ancora non sapevo scrivere: può anche darsi che non sappia ancora farlo, eh. Quando ero piccola chiedevo a mio padre di scrivere le storie che io mi inventavo e gli raccontavo. Ma malgrado scrivere mi sia sempre venuto naturale, è più difficile di quanto si creda, è duro perché sei sempre sotto esame e sperimenti una profonda solitudine.


Che somiglianze ci sono tra il pubblico spagnolo e quello italiano – chi sono insomma i tuoi lettori?
Quella della vicinanza culturale di spagnoli e italiani è un po' una favola. Il lettore spagnolo, il lettore europeo in genere è riservato, timido: quando è in fila per farti firmare il libro devi essere tu a domandargli "Cosa le è sembrato?". Gli italiani no, loro dicono tutti di aver letto i tuoi libri in un momento particolare della loro vita, per esempio quando il marito o la moglie li hanno lasciati! All'inizio per me questo ha rappresentato uno shock, poi è diventato molto piacevole.


Ti capita mai di vivere il giallo, il noir come un limite?
Dopo tanti anni di lavoro come scrittrice ha smesso di importarmi che etichetta mi affibbiano. Scrivo noir ma anche no, faccio quello che voglio: poi se i miei libri vengono etichettati così o cosà per me non è un problema.


Quanto è importante l’ironia nelle tue storie?
L'ironia è sempre importante e sempre difficile da accettare, è un modo di relazionarsi al mondo e alle persone con le quali c'è empatia. L'ironia migliore poi è l'autoironia, e bisogna applicarla non solo quando si parla, ma anche quando si pensa.


Il fatto che Petra e Fermìn si diano ostinatamente del lei mi ha sempre incuriosito: perché questa scelta?

Quando è stata realizzata la versione televisiva della saga io ho detto sì a qualsiasi cambiamento - per esempio l'hanno ambientata a Madrid e non a Barcellona - ma non a questo. Perché ritengo sia giusto ci sia una distanza tra i due personaggi, e del resto spesso accade così in Polizia. Anche nella vita cerca di dare del lei a mio marito ma lui mi risponde sempre dandomi del tu: dare del lei invece è una distanza formale e gentile che mi piace molto.


Nel tuo romanzo Il silenzio dei chiostri si indaga nel e sull’ambiente religioso. Da dove nasce questa tua curiosità?
Non è una novità la presenza della Chiesa e di questioni religiose nei miei romanzi. Mi interessa la Chiesa perché è pittorica, teatrale, letteraria e suscita in me ammirazione questo mondo così diverso, così chiuso che convive con noi, accanto a noi nelle grandi città. Io per dire abito di fronte a un convento di suore, ma non ne ho mai vista una. Conosco il giornalaio, il fornaio, i negozianti, i fornitori del convento che ogni giorno consegnano alle religiose la loro merce - ma non ho mai visto una suora nei paraggi.


Che rapporto hai con la protagonista della maggior parte dei tuoi romanzi? C’è più amore o più odio tra di voi?
Con Petra ho un buon rapporto. Sono dei Gemelli, ho due modi di approcciarmi alla vita che convivono in me uno accanto all’altro. Il lato pessimista – che riservo agli altri miei libri, e quello positivo che metto nei libri della saga di Petra Delicado. Quando mi alzo la mattina sapendo che sto lavorando a un romanzo su Petra provo sollievo, lo confesso. Lei è una buona amica… vediamo quanto durerà questa amicizia!


C’è chi ti accusa di troppo disimpegno, di aver in qualche modo tradito la tradizionale impostazione ‘politica’ dei giallisti spagnoli à la Montalbán. Cosa rispondi a chi ti fa questa critica?
Manuel Vázquez Montalbán è stato il padre del giallo spagnolo: io l’ho conosciuto, era una gran persona che aveva una missione. Una missione difficile, ti ricordo che in Spagna erano i tempi di Franco. Io vivo in una situazione diversa, in una democrazia che può essere criticabile ma non è certo una dittatura che imponeva di scrivere libri in un certo senso ‘militanti’. Io non ne ho bisogno.

 

I LIBRI DI ALICIA GIMÉNEZ-BARTLETT