
È trascorso un anno esatto dal giorno in cui ci siamo conosciuti. Allora Antonella Beccaria era scesa ad Ancona per presentare la sua ricostruzione della dolorosa vicenda della Uno Bianca. Oggi compie lo stesso percorso per quella relativa al sequestro Saronio. La sua straordinaria capacità di addentrasi nelle trame più fitte della storia del nostro Paese fanno di lei un inesauribile pozzo di informazioni da cui non ti stancheresti mai di attingere. Il suo sguardo intenso, i suoi occhi profondamente liquidi mettono voglia di chiedere, di fare domande…
Dopo Uno bianca e trame nere ora Pentiti di niente. Quali motivazioni ti spingono a far luce sui casi più oscuri della nostra storia della nostra Repubblica?
Più che far luce e sempre che sia possibile farla, questi casi vorrei conoscerli, approfondirli, ripercorrerli in base alla documentazione disponibile e infine raccontarli ad altri. La spinta deriva dal fatto che arrivare a comprendere bene (o meglio) determinate storie degli ultimi decenni aiuta poi a cogliere in modo più ampio e articolato la realtà attuale.
Perché tra i tanti misteri irrisolti hai scelto di occuparti di una vicenda se vuoi meno conosciuta rispetto ad altri casi più altisonanti?
Per una serie di ragioni. Posso partire con l'intenzione di voler restituire a Carlo Saronio, la vittima di questa storia, una prospettiva tridimensionale: negli anni che seguiranno il suo sequestro e il suo omicidio, man mano che i processi si apriranno e si evolveranno, il nome del giovane ingegnere milanese diventa sempre più una sigla che indica in delitto lontano e che si ricorda sempre meno. Inoltre le vicende giudiziarie conseguenti al rapimento Saronio daranno luogo al “pentimento” di Carlo Fioroni, una delle persone che verrà condannata per questo crimine. Un “pentimento” scritto tra virgolette non a caso: se in un primo momento infatti sembra utile agli inquirenti, alla fine si rivelerà una bolla di sapone. Intanto però sono trascorsi molti anni e si è svolto il processo 7 aprile, con persone che hanno “preventivamente” scontato anni di galera sotto forma di custodia cautelare e in molti casi non commisero i fatti di cui erano stati accusati.
Studiando il comportamento di Fioroni e di Casirati emergono menzogne e depistaggi comuni a molte altre deposizioni di pentiti degli anni di piombo. Che idea ti sei fatta del pentitismo? Fu più un fenomeno strumentale o un comodo escamotage?
La sua genesi fu un fenomeno complesso e drammatico. Innanzitutto sul finire degli Anni Settanta le prime leggi che premiavano la dissociazione dalla lotta armata erano una novità per gli inquirenti. Inoltre, dopo il rapimento Moro, c'erano state indicazioni specifiche affinché all'emergenza terrorismo si ponesse fine e per farlo andavano usati tutti gli strumenti disponibili. Infine chi parlò rivelando il falso lo fece sostanzialmente per due ragioni: sottrarsi alle pesanti pressioni investigative e/o esercitare la propria furbizia per vedersi riconoscere i benefici di legge. Nel caso Saronio, funzionò in pieno perché i responsabili della sua morte alla fine scontarono più o meno sette anni di carcere a fronte di pene che si prospettavano molto più lunghe.
Qual è la tua posizione in merito al recente dibattito revisionista sulle Brigate Rosse e il terrorismo di sinistra?
Il dibattito purtroppo è più ampio e rimette in discussione a cicli sempre più rapidi moltissimi eventi, come la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Lo si fa riprendendo false piste, voci già colte nei giorni immediatamente successivi e riproponendo il tutto oggi come se fosse una novità. Poi c'è il processo in corso a Brescia per l'attentato a piazza della Loggia, per il quale si nutre la speranza che si arrivi a qualche punto fermo, malgrado siano molti i disillusi.
Tra le figure più avvincenti di Pentiti di niente emerge a mio avviso quella di Toni Negri. Sembra quasi che questo libro voglia restituirgli lo spessore intellettuale che non gli fu ingiustamente riconosciuto...
Credo che in questi anni Toni Negri il suo valore se lo sia restituito da solo e abbia dimostrato di essere un lucido intellettuale molto attento a ciò che accade. È riuscito insomma a riprendersi quello spessore che negli anni delle indagini sul 7 aprile, come hai correttamente sottolineato, gli si era voluto togliere, colpendo lui e il suo entourage anche dal punto di vista culturale.
Da dove nasce la tua passione per la cronaca giudiziaria e per gli eventi legati al terrorismo?
Una società la si può studiare usando molteplici chiavi: l'economia, il costume, lo sviluppo tecnologico. A me risulta più congeniale questa chiave perché laddove la pacifica (o civile) convivenza e la dialettica politica si inabissano, allora può emergere un lato di quella stessa società che sarebbe difficilmente intercettabile con altri strumenti.
Ci puoi anticipare qualche informazione sul tuo ultimissimo Il programma di Licio Gelli?
È una ricostruzione che si pone a cavallo del 1981, l'anno in cui si scoprì l'esistenza di una loggia occulta, la P2, che si era infiltrata e aveva contaminato molti settori dello Stato e dell'iniziativa imprenditoriale privata. Quella scoperta fu seguita da indagini, processi, commissioni parlamentari e leggi che avevano come scopo ultimo evitare che un fenomeno del genere si ripetesse. Ma la P2 un'eredità l'ha lasciata: un'eredità che si compone di persone, di pratiche politiche e di modifica della cosa pubblica a cui oggi ci troviamo quotidianamente di fronte. La riforma della magistratura tra separazione delle carriere e assoggettamento al potere politico, il bipolarismo, le spinte presidenzialiste, lo svuotamento di senso del parlamento e del presidente della Repubblica, lo smembramento dell'unità sindacale erano punti del piano di rinascita democratica di Gelli e sono oggi oggetto di dibattito legislativo in sede istituzionale.
Di quale caso ti vorresti occupare prossimamente?
La storia su cui sto lavorando ora è quella di Pasquale Iuliano, un commissario di polizia che fino al luglio '69 era a capo della squadra mobile di Padova. Dopo gli attentati al rettorato, aveva avviato un'indagine che l'aveva portato a individuare la cellula neofascista veneta e a intuire la preparazione di un “attentato imminente”. Quell'attentato sarà la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, ma Iuliano, quando la bomba esploderà sarà già stato fatto fuori professionalmente, accusato di aver costruito le prove a carico dei suoi sospettati, sospeso dal servizio e dallo stipendio dopo essere stato trasferito in Puglia e costretto a difendersi. Dieci anni più tardi la giustizia gli darà ragione, ma intanto ciò che forse poteva essere evitato è accaduto e nessuno gli ha mai chiesto scusa. E ora sarebbe troppo tardi, dato che è scomparso qualche anno fa.
Che cosa fai quando non scrivi?
Generalmente leggo e trascorro molto tempo alla ricerca di informazioni e documentazione in rete. Diciamo che il tempo dedicato alla lettura e alla raccolta di materiale poi è molto più abbondante di quello dedicato alla scrittura, che diventa relativamente facile una volta che la storia ormai è ben presente in testa. Oppure nel tempo libero faccio fotografie, mia grande passione.
Quali altri generi di lettura catturano la tua attenzione? In particolare che cosa stai leggendo attualmente?
Mi piace molto la letteratura di genere, come il noir, la fantascienza e l'horror, soprattutto quando hanno una valenza sociale. Dunque cerco di non trascurare queste letture, anche se non sempre ci riesco. Poi molta saggistica storica, politica e giornalistica. In questo momento sto leggendo due libri: “Emanuela Orlandi. La verità. Dai lupi grigi alla banda della Magliana” di Pino Nicotri e “Il Paese di Saimir” di Valerio Varesi sullo sfruttamento dell'immigrazione clandestina raccontato in chiave di romanzo.
I libri di Antonella Beccaria