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Intervista a Antonio Tabucchi

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Libreria piena di persone, posti in piedi già un’ora prima dell’inizio della presentazione. Giro sconsolata tra la gente maledicendo il traffico sulla Firenze-Pisa-Livorno, poi avvisto una sedia libera e senza pietà la conquisto. C’è molta attesa, la respiro intorno a me, stasera Tabucchi gioca in casa: siamo nella sua terra. Arriva accompagnato da due docenti universitari - amici di lunga data, ci tiene a dirlo. Inizia la presentazione e che si tratta di menti raffinate lo si intuisce subito, si passa con naturalezza dalla Fisica quantistica alla Filosofia e a tutte le materie dello scibile umano senza difficoltà (per loro) e con qualche difficoltà (per noi). Ma Tabucchi è un uomo di spirito, per dirla à la Malaparte un ‘maledetto toscano’, e a chi gli chiede la definizione di Male dopo un preambolo di un quarto d’ora risponde "Non mi obbligate ad essere troppo intelligente". Ci riesci benissimo da solo, Antonio.




Un bel titolo e un’insolita copertina per il tuo Il tempo invecchia in fretta...
È un libro che cercherebbe di parlare del tempo, il titolo mi è stato regalato per caso leggendo un’antologia di autori presocratici. Mi è caduto l’occhio su questo frammento di Crizia che recitava più o meno "Inseguendo l’ombra, il tempo invecchia in fretta" di cui io ho preso la seconda parte. Mi ha colpito, la parola invecchiare. La copertina del libro invece l’ho trovata io, l’uomo sui trampoli è un francese, un giovane artista che ha inventato questi speciali trampoli che porta sempre con sé. Si auto-fotografa dopo averli indossati e pigiato un pulsante che li fa alzare di cinquanta centimetri. Mi ha colpito il suo ‘eroismo inutile’, sì, mi ha colpito ed ho deciso di mettere proprio lui.

 


Quando nasce l’idea di questo libro?
Questo libro è una sottrazione, Tristano è uscito cinque anni fa e nel frattempo mi sono messo a scrivere delle storie. Il libro Bartleby e compagnia di Enrique Vila-Matas è un libro molto interessante sul mistero di quelli che smettono di scrivere, un problema difficile da capire. Vila-Matas l’ha scritto riferendosi a Juan Rulfo, cioè all’autore di Pedro Páramo a cui tutti chiedevano costantemente in ogni occasione quando sarebbe ritornato alla scrittura dopo un libro tanto bello. Juan veniva spesso invitato in occasioni mondane come ospite e durante una di queste all’ennesima domanda sul perché non avesse più scritto, rispose che gli era morto lo zio Zefirino… credo che nella vita di molti scrittori ci sia spesso uno zio Zefirino, e anche nella mia: almeno avevo creduto che fosse morto, poi però mi ha richiamato.

 


Con quali criteri hai scelto i racconti da pubblicare? C'è un filo conduttore comune, un criterio condiviso?
Ho scelto diversi racconti che nell’insieme facessero un affresco, una stagione, un tempo della nostra vita, un po’ come quando di fronte ad un quadro di Arcimboldo uno si deve allontanare un po’ per vedere un volto… io con le mie zucchine, le mie carote volevo raccontare il tempo che viviamo.


E com’è il tempo in cui viviamo?
Siamo in un’epoca di complicazione del tempo, il tempo è una dimensione inafferrabile, oggi triplicata. Einstein dice di sapere cos’è il tempo, Bergson parla del tempo della coscienza, ma poi arriva la modernità, la post-modernità e il tempo reale grazie alla tecnologia. E il tempo reale porta con sé un turbamento. Un giorno ero in Portogallo, nel salotto di casa, stavo mangiando e guardando la televisione e in tempo reale grazie al satellite vedevo l’esecuzione di una donna in una pubblica piazza di un paese lontano. Io mangiavo e in tempo reale mi arrivava una cosa che mi portava in un altro tempo. La mia generazione è stata abituata a portare in banca qualcosa di visibile, banconote, assegni. Oggi via mail il valore di quel denaro non ha bisogno di essere espresso, questa è una ‘perturbazione del tempo’. Fino a poco tempo fa avevamo un tempo storico che era un patto sociale. Sapevamo quali tragedie sono successe. Poi qualcosa si è cominciato a sfaldare, sono arrivate persone che hanno cominciato a negare che certi fatti siano successi. Il negazionismo non nega solo il fatto ,ma anche il tempo. L’ideale non è una forza nobile solo perché è un ideale, attenzione. Nel nostro tempo, il cosiddetto secolo breve, che sembra passato da un attimo e invecchiato male, questi ideali hanno preso grandi spazi, per contrapposizione la mancanza di questi e il loro crollo ha fatto credere che il nulla potesse sostituirlo. Crolla il muro di Berlino e non finisce lì, si capisce molto bene che il secolo breve continua in questo perché la natura umana è una costruttrice di muri, il muro ci è consustanziale e se non si fa di mattoni ce lo costruiamo dentro ed è sì una difesa, ma anche una prigione.

 


Solo un caso che le storie de Il tempo invecchia in fretta siano ambientate tutte nell’Est dell’Europa?
Alcune storie mi sono state raccontate da amici che le hanno vissute, sono storie vere ambientate nei paesi dell’Europa dell’Est, fatti realmente  accaduti. Parlarne è per uno scrittore un dovere, altrimenti morirebbero con chi le ha raccontate. Io ho sentito l’urgenza di raccontare il nostro occidente attuale. L’occidente di questo blocco dell’est che era rimasto ‘congelato’, un occidente che portava con sé un altro calendario come un emissario che porta nuove acque nel fiume che l’accoglie.

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