Come mai al centro del romanzo hai posto un lavoro tanto inusuale, un mondo particolare come quello dei giostrai?
Non si può parlare di bambini a Pescara senza parlare di giostre. Io almeno non avrei potuto, perchè i ricordi più forti degli anni delle scuole elementari sono legati alle feste dei santi e ai luna park dell'estate. Dalle nostre parti, almeno negli anni ottanta, primi novanta, le giostre erano molto popolari. I miei mi ci portavano spesso e io le adoravo. Ma a parte questo l'immagine della giostra riflette il peccato capitale di tutti i personaggi del libro: girare in tondo, piuttosto che andare avanti.
La figura di Chicco è, probabilmente, quella che più degli altri crea empatia con il lettore, fino a fargli provare una vera pena: ti sei affezionata a lui, strada facendo? In che modo sei riuscita ad immedesimarti tanto bene nei panni di un bimbo solo, triste, grasso?
Tutti che si affezionano a Chicco, ma io voglio bene solo a Leonardo. E in quanto all'immedesimazione mi tocca rispondere da scrittrice depressa: sola e triste un pò ci sono. Grassa no, almeno non a guardarmi. Ma il grasso è uno stato dell'anima.
Il tuo è uno stile molto particolare: ruvido, scarno, quasi “fastidioso”. Chi sono, o sono stati, i tuoi punti di riferimento nella letteratura?
Sul mio stile ha lavorato molto il mio editor, insegnandomi che troppe parole tolgono peso e sostanza a quelle veramente importanti. Non so se sia il caso di parlare di punti di riferimento, mentre lavoravo non avevo in mente nessun altro autore. comunque i miei preferiti al momento sono Atwood, Simak, Ishiguro, Grass, Buzzati, Dick, Dickens, Cunningham, Houllebecq e altri che non mi vengono in mente adesso. Mi piace pure molto la letteratura popolare americana degli anni 60-70-80. La riscopro nei mercatini, quando resto senza soldi per comprare i libri nuovi. Romanzi tipo I cercatori di conchiglie della Pilcher, Uccelli di rovo di Mc Collough, Paloverde della Briskin, La rabbia degli angeli di Sidney Sheldon: sono divertenti, svuotano il cervello, e spesso hanno molto da insegnare in fatto di regia e piccoli trucchi sporchi.
Dai racconti, al romanzo: quali sono stati gli ostacoli principali, le difficoltà più grandi nel passaggio da una forma narrativa all'altra?
Nelle storie – per come la vedo io – dev'esserci un senso profondo che dia forma e forza a ogni singolo elemento. Un mio amico, studente della holden, sostiene che questo sia vero soltanto per i racconti. Io penso valga anche per i romanzi: anche se naturalmente sono opere più complesse e far ruotare tutto intorno a un unico perno è veramente difficile. Difficile senza ripetersi e senza annoiare: difficile, soprattutto, senza incastrare personaggi e fatti in una struttura troppo complicata che costringa alla fine a una soluzione narrativa forzata.
I libri di Barbara Di Gregorio