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Intervista a Beatrice Masini

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Beatrice Masini è nata, vive e lavora a Milano. È una valida traduttrice e a sua volta è stata spesso tradotta, essendo pure un’autrice, e prolifica: nella maggior parte dei casi, il suo sguardo attento  e sensibile è rivolto verso i più giovani, i bambini, gli adolescenti, i ragazzi, quelli insomma che lei stessa definisce come il futuro della società. Per questo non si tira indietro di fronte a nessun tema, che affronta con uno stile originale e chiaro. E non si tira indietro nemmeno quando le propongo un’intervista via mail.




Partiamo dal tuo romanzo La fine del cerchio: la Terra si sta risollevando da una catastrofe e ai bambini è affidato il compito della ricostruzione e della salvezza. Perché?
Perché sono i bambini a reinventare il mondo tutte le volte, a guardarlo con occhi nuovi. Perché l’uomo nuovo è un bambino nuovo.

Quali sono i problemi sociali che più ti preoccupano? E cosa ti dà fiducia nelle prossime generazioni?
L’egocentrismo e la cronica mancanza di attenzione all’altro, agli altri, alle cose degli altri che vedo prosperare, sia nelle vite individuali che nel lavoro – ma sto parlando di mondo adulto. Per contro, nelle scuole vedo e ascolto bambini e ragazzini sempre più consapevoli del fatto che il pianeta va salvaguardato e capaci di una naturale, istintiva integrazione di diversità.

“La televisione, per esempio, fu un enorme successo, tale da dover essere subito misurato, dosato”, scrivi. Qual è per te il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa in generale nella società e in particolare nella formazione di un individuo?
I media sono utili se sono strumenti, il che vuol dire che bisogna imparare a usarli, che qualcuno ci deve spiegare come si fa, come non abusarne, come non crederli capaci di immenso potere. Ho la sensazione che troppo spesso i bambini siano lasciati soli con i media, che sono molto utili come forme d’intrattenimento, per riempire il tempo. È che spesso danno una visione distorta della realtà, perché sono facili da manipolare. E manipolando quelli si manipolano anche le persone.

“Bisognava tornare a scuola, quella vera, non quella del mare”: altra citazione da La fine del cerchio: cosa insegnano i libri in più rispetto all’esperienza diretta?
Quello del libro è un tempo lento di solitudine. Quello dell’esperienza è un tempo condiviso, di contatto e scambio con gli altri. Una cosa non si dà senza l’altra. Poi ciascuno per indole è più portato a privilegiare uno di questi due tempi, nella sua vita. Ma si accendono e si alimentano e si compensano a vicenda.

Quali sono le analogie e le differenze che noti tra la tua infanzia e quella dei bimbi di oggi?
L’infanzia è un momento difficile, sempre. Si ha paura di non venire capiti, di non essere ascoltati. E spesso si è soli davanti a fatti che non si riescono a interpretare. Ma si cresce anche tentando le proprie interpretazioni, e questo non è cambiato. Oggi i bambini possono sapere più cose; hanno una miriade di storie, figure e libri a disposizione; i videogiochi creano mondi prodigiosi. In via teorica dovremmo veder crescere generazioni più immaginative anche davanti alla realtà.

Cos’è per te scrivere?
È entrare in uno spazio solitario in cui il senso del tempo è sospeso, perché conta solo il tempo della storia. È fatica, ricerca di nuove forme, nuovi modi di espressione. È un tempo che basta a se stesso e non ha bisogno di altro.

C’è una storia che sogni di raccontare? Perché non l’hai ancora fatto?
Molte, ma sono tutte lì, in forma di appunti, poche righe buttate giù senza troppo pensare. Se varrà la pena di raccontarle lo decideranno loro: una storia vuole essere raccontata, te lo chiede e basta, al momento giusto.

Se non fossi diventata una scrittrice cosa avresti voluto essere?
Forse avrei cercato di continuare a fare la giornalista, per raccontare le storie degli altri.

Dove si può trovare secondo te il senso a un lutto, una perdita? Tu ne parli, per esempio, in Si può. E come spiegare tutto questo a un bambino?
Francamente non lo so. Ho cercato di scrivere una storia che parla di quello che succede dopo. Il prima proprio non avrei potuto affrontarlo.

Che valore hanno per te la natura e gli animali?
Mi interessano, mi circondano, mi incuriosiscono, mi stupiscono. Non ne sono mai sazia.

Io non mi separo: famiglie “tradizionali” e “allargate”. Che consigli ti senti di dare?
Nessuno, per carità. Le famiglie allargate sono strani animali, tutti diversi, inclassificabili. Come le famiglie tradizionali, del resto. A volte assumono bizzarri equilibri che hanno un che di straordinario.

Che errori fanno gli adulti nei confronti dei bambini?
Li sottovalutano, sempre. Anche quando li mettono al centro del mondo come piccoli re li stanno sottovalutando.

Che percentuale di te è rimasta ancora bambina? Quale caratteristica, se c’è, hai perso, e vorresti ritrovare?
Credo di ricordarmi molto bene di me da bambina, e che molti dei moti di allora siano ancora vivi: lo sdegno puro davanti all’ingiustizia, il desiderio di riuscire ad aggiustare il mondo. Spero che mi sia rimasta e resti con me a lungo la voglia di credere che c’è sempre un meglio possibile.

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