
Quanto oro c’è in queste colline è il tuo primo romanzo ed è anche un romanzo in cui la linea tra ciò che è concreto e ciò che non lo è risulta sfumata nonostante il luogo e il periodo storico sembrino richiamare gli Stati Uniti della corsa all’oro. Tutto però resta comunque molto vago e l’ambientazione pare essere allo stesso tempo reale e fantastica. Con quali presupposti hai scelto di costruire la dimensione del romanzo?
Nonostante il libro sia classificato come un romanzo storico, un western, ho lavorato più con il presupposto di creare un’ambientazione fiabesca. Nel libro non vengono usati nomi propri per i luoghi e, allo stesso modo, anche le date non vengono presentate nei modi in cui solitamente vediamo le date. Volevo raccontare qualcosa che fosse vero per quel determinato Paese solo emozionalmente, come funziona per la mitologia, ma allo stesso tempo distinguerlo abbastanza su un piano reale da consentire al lettore di riconoscere, portare avanti le proprie ipotesi e, di conseguenza, la propria vita attraverso le pagine.
La finzione sembra essere un elemento molto importante della tua narrazione e ognuno dei personaggi la vive in modo differente: c’è qualcosa, soprattutto riguardo l’identità stessa dei personaggi, che si possa definire come vero e sincero?
Per i personaggi del romanzo il confine tra realtà, finzione o addirittura “mitologia” è sempre sfocato, ma questa è una cosa che possiamo ritrovare anche nelle vite di tutti noi e per questo nemmeno io come autrice posso avere una risposta definitiva. Il concetto di verità non ha molto peso. Nel caso di Sam, per esempio, non sono stata tanto interessata a quale fosse la parola corretta per determinare la sua identità di genere, quanto piuttosto ad ascoltare la risposta del lettore. Mi incuriosiva molto di più ciò che il lettore riuscisse a ricavare dal personaggio. Nell’epoca e nel mondo in cui è ambientato il romanzo infatti non esiste alcuna parola né per definire l’essere transgender né per il non binarismo. Alcuni personaggi etichettano Sam come una lei, altri come un lui, altri ancora non sanno cosa fare e penso che sia stato molto più stimolante per il lettore formulare delle ipotesi in relazione all’ambiguità stessa della situazione rispetto al trovare una risposta già pronta tra le pagine.
Con quali presupposti e secondo quali modalità ti sei approcciata ad una questione complessa come l’identità di genere in contesto storico comunque lontano da quello attuale?
Credo sia sempre pericoloso parlare di comunità o d’identità come se fossero compartimenti stagni riguardo ai quali ogni individuo concorda. Direi che ho trattato questo tipo di problemi tenendo presenti le differenti sensibilità dei lettori rispetto al tema dell’identità di genere. Tutti amiamo pensare a noi stessi come individui a sé, non scalfiti dalla società, ma semplicemente questo non può verificarsi. Tutti siamo natura e la natura di contro lavora su ognuno di noi, per questo motivo credo che una delle cose affascinanti di Sam sia il suo essere una persona che si è sempre identificata secondo i suoi modi, scegliendo quindi di presentarsi come un uomo, ma facendo allo stesso tempo tesoro di un’intelligenza e una sincerità tale da rendersi conto di come il suo istinto naturale potesse anche rappresentare un vantaggio nella società a cui appartiene. Gli uomini infatti venivano pagati di più. Sam è quel tipo di persona capace di sommare le due cose, identità e necessità: da una parte vuole presentarsi come un ragazzo e dall’altra riconosce che c’è un valore effettivo nell’essere un ragazzo. Penso che anche noi dovremmo apprezzare di più la complessità di chiunque sia in grado di concentrare in sé entrambe le prospettive. Per quanto riguarda l’aspetto storico siamo abituati a vedere la fluidità e l’identità di genere come una questione appena nata, contemporanea solo perché è adesso che se ne sta cominciando a dibattere, ma in realtà sono cose che esistono da sempre. Le persone queer non sono nate oggi, semplicemente - come nel caso di questo libro o per gran parte della storia - la realtà effettiva dello spettro del genere, con tutta la sua piena complessità e le sue etichette, non ha mai fatto parte del linguaggio. Possiamo infatti vedere come le persone queer siano state per molto tempo praticamente cancellate dalla storia scritta. Mi viene da ridere quando leggo quel tipo di articoli in cui si parla per esempio del rinvenimento di due donne sepolte insieme nella stessa tomba mano nella mano e la maggior parte delle persone continua a parlare di loro come di “due migliori amiche”.
Più volte viene ripetuto che Sam è semplicemente Sam, ma c’è un paradosso in questa trasparenza. Sam è semplicemente Sam eppure non fa altro che omettere, nascondere, manipolare la realtà. In che modo questo ha un peso nel rapporto tra Sam e Lucy?
Penso che la manipolazione della realtà da parte di Sam nasca da una posizione di necessità che vede Sam, più di ogni altro personaggio nella maggior parte del romanzo, essere molto onesto con la sua persona in relazione alla disfunzionalità del sistema sociale nel quale vive. Sam arriva ad avere proprio attraverso questo tipo di consapevolezza una sorta di influenza secondo cui riesce a manipolare solo la realtà immediatamente circostante. Ma non la ritengo essere una cosa negativa, credo sia anzi una delle possibili opzioni per quando ci si trova con le spalle al muro. Lucy invece ha molte difficoltà rispetto al comportamento di Sam. Quello, secondo la visione particolareggiata di Lucy, non è il modo sicuro di comportarsi. Le cose non dovrebbero andare così e crede sia meno pericoloso seguire una linea prestabilita e non toccare mai l’autorità. Un comportamento del genere la mantiene fisicamente al sicuro, ma il lettore alla fine si rende conto che, per quanto fisicamente al sicuro possa essere, si tratta di incongruenze in qualche modo psicologiche capaci di mangiarla dentro. La sua strada è la migliore? Non credo.
Da subito Sam e Lucy abbandonano la propria casa e spesso si chiedono appunto cos’è che fa di una casa una casa. Questa domanda viene posta più volte e alla fine una risposta effettiva non viene data. Per Sam e Lucy quindi, cos’è casa?
Penso che il concetto di casa per Sam e Lucy abbia significati differenti. Sam possiede una testardaggine e ostinatezza alle quali consegue il perseverare nella ricerca di un posto dove alla fine potranno adattarsi. La risposta per Lucy invece può essere trovata in un concetto di casa che abbia meno a che fare con i legami umani e più con il rapporto con la terra, con il percepire una profonda connessione emotiva con il mondo naturale che la circonda. Con questo intendo dire che entrambi i personaggi non trovano completamente le proprie risposte entro la fine del libro, questa è anzi una domanda che continueranno a porsi.
Certe storie fanno giri immensi e poi ritornano. Nel romanzo si parte da un punto ben preciso, la morte di Ba, e per il resto la struttura prosegue in modo inusuale andando anche ad indagare ciò che è successo prima. In che modo la struttura è funzionale al racconto di Sam e Lucy?
La struttura del romanzo è stata decisa dall’inizio e non è cambiata in corso d’opera. Ho pensato fosse davvero importante e interessante iniziare il romanzo con questo tipo di narrativa della ricerca, letteralmente con un “Bang!”: una pistola spara e loro cominciano a scappare. Ma prima ancora di definire come le cose potessero procedere è stato ugualmente importante per me il tentativo di avvicinarmi al punto di vista infantile. L’idea è di approfondire come i bambini abbiano una visione molto limitata dei loro genitori e spesso non riescano a distinguerne la pienezza e la complessità. La struttura nasce infatti dalla volontà di fare un paio di passi indietro nel passato per riuscire così ad inquadrare il presente sotto una luce diversa.