
Che fosse un tipo strano lo avevo capito, ma non fino a questo punto… Mentre in coda i suoi fan si fanno firmare libri e si fanno fotografare nelle pose più bizzarre, lui risponde alle mie domande quando con una corona di fiori in testa, quando con un berretto colorato, quando scattando lui stesso le foto ai suoi lettori. Incredibile ma vero, intervista riuscita. Grande Chuck!
Tu descrivi in Rabbia - e non solo - un’America che non è quella delle metropoli, ma quella delle smallville. Una scelta poetica?La smallville di Rabbia è la mia cittadina di origine, una città sperduta, sporca, dimenticata. In America generalmente gli scrittori sono di due tipi: alcuni escono dal college ed hanno una scrittura splendida, senza sbavature né imperfezioni, ma descrivono storie poco interessanti, mentre gli altri provengono dal mondo del giornalismo e hanno un linguaggio più sonoro, che ha maturato più esperienze. Il mio intento era scrivere di cose banali, che possono accadere a chiunque, utilizzare oggetti di uso comune, reinventare gli oggetti, Come le saponette (ride, ndr).
Com'è la questione delle risate registrate nelle sit-com americane che sono state registrate oltre cinquanta anni fa e che con tutta probabilità appartengono a persone morte, e della storia dei manichini per la respirazione bocca a bocca che sono state creati su modello di una ragazza affogata nella Senna? Perché ti piacciono tanto queste storie così?
Sono storie che mi hanno raccontato. Per me è importante conservare le storie, ricordare e trasmettere quelle poco conosciute; per esempio una volta durante una trasmissione radiofonica conobbi un signore che mi svelò l’esistenza dei “sacchetti da eroe”, cioè speciali sacchetti per le patatine che ne impediscono la rottura, che non si stropicciano e che non sono lucidi. Sacchetti speciali utilizzati nelle pubblicità e che costano cifre inimmaginabili, fino a cinquecento dollari. Oppure la storia incredibile della ricerca del ‘crok’ perfetto della patatina quando viene messa in bocca e masticata… quell’uomo ne aveva masticate un numero spaventoso e non riusciva neppure più a inghiottirne una...
C'è chi ha rinvenuto nella tua scrittura una predilezione per i linguaggi tecnici e specialistici. C'è? E se sì, che senso ha per te?
Quando una persona lavora in un campo specifico, per un po’ di tempo sviluppa una terminologia perfetta per indicare particolari situazioni o cose. Ricordo di aver sentito da un giornalista una volta la storia dell’ultimo circo europeo, un circo dove venivano messi in mostra gli ultimi fenomeni da baraccone, i freak, e tra le aberranti attrazioni c’erano anche i così detti “Picolt Punks”: una definizione strana, ma che suona bene… beh, dietro questa definizione si nascondevano in realtà trecento feti deformati che, conservati in barattoli di vetro, erano la vera e propria attrazione. In questo caso una terminologia in un certo senso tecnica nascondeva una realtà veramente angosciante. Ed è così spesso...
Nel tuo libro non ci sono mai scene di violenza diretta a carico degli animali, perché?
Mah. Forse perché in questo mondo gli animali rappresentano le ultime vere vittime innocenti. Persino i bambini vengono spesso colpevolizzati degli orrori che subiscono, almeno negli Usa, mentre se accade qualcosa di grave a un animale viene visto e considerato da chiunque come un oltraggio. Agli animali si riserva sempre l'affetto e compassione spesso negato agli esseri umani.
I libri di Chuck Palahniuk