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Intervista a Cinzia Zungolo

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Giugno, per ragioni ignote, è il mese in cui più le piace scrivere, attività che - grazie al tasto Cancella - preferisce di gran lunga al parlare. Lucana di origini e veneta d’adozione, Cinzia Zungolo è una delle voci più originali e brillanti dell’ambiente letterario italiano. L’abbiamo intervistata per voi.



La cosa che già alla prima pagina colpisce del tuo romanzo Sotto questa cenere è il linguaggio, una originale ed efficacissima alternanza di immagini nude e crude e di frasi morbide come riccioli, riprese quasi sempre nei titoli dei singoli capitoli. L’impressione di un approccio stilistico molto ragionato e limato con cura rispecchia la realtà? O si tratta di qualcosa di molto più istintivo?
Scrivo di getto ma rileggo e manipolo in modo ossessivo. Scrivo senza premeditazione, perché è il modo che ho di capire le cose, di conoscerle attraverso la parola. Poi dimentico. Anche delle storie più famose, dei film appena visti, mi sfuggono dettagli importanti, a volte i finali. Nel leggere è uno svantaggio, hai sempre poco da dire sull’argomento. Ma è un vantaggio, al momento di scrivere. Riprendi le tue pagine e puoi giudicare come se fossero quelle di un altro, cioè con la stessa cattiveria. Si ottengono effetti a sorpresa, emozioni fortissime. Oppure si scopre che quello che credevi geniale è opaco, insulso. È avventurosa la linea della scrittura. Quando leggo un libro mi chiedo spesso “e adesso come continuerà la frase?”. Ci sarà una ripetizione, un crescendo, uno spiazzamento? Nello scrivere mi faccio portare dal ritmo, dai suoni. Il lavoro sulla scrittura è per me almeno tanto indispensabile quanto, per uno scultore, quello sui materiali.

Anche se non viene mai esplicitato, si ha da subito la certezza che la vicenda sia ambientata nel sud. Una questione di colori, di odori, di luce, di personaggi. Ecco, cos’è il sud per te che ci sei nata e vivi invece nel profondo nord?
È il sud, certo, e si sente anche nella lingua. La musica del luogo da cui provieni rimane dentro e, se fai lo scrittore, cerchi di ricostruirla, la insegui anche quando non ne sei consapevole. Il sud è innanzitutto questo, la lingua madre. Fino a pochissimi anni fa vivevo a Potenza. Non mi trovo al nord per necessità, anche se spesso, (come Troisi in Ricomincio da tre, che doveva giurare di non essere emigrante) mi capita di spiegare che avevo un lavoro stabile sotto casa, e che non è il nordest a permettermi di campare. A Verona ci sono andata per un indistinto bisogno di cambiamenti, perfino la destinazione è stata casuale. Non so, di certo sono partita con lo spirito giusto (quello della curiosità), di certo ho avuto la fortuna di meravigliosi incontri. Ogni giorno imparo un po’ di più sulle differenze. Stile di vita, tempi, espressività. E sui pregiudizi (sempre reciproci). Non censuro il mio accento. Al sud siamo molto meno orgogliosi che al nord del nostro dialetto. Perché siamo anche ispanici, nel sangue, cresciamo all’insegna del “pare brutto”, del fare bella figura, nonostante tutto. Ci vergogniamo della povertà. Ma dei sentimenti siamo orgogliosi, li spieghiamo come lenzuoli. Sappiamo che sono un privilegio.

La vicenda esplora anche la reazione alla malattia, ad una promessa di morte. Un’esperienza così drammatica fa emergere la vera personalità di un uomo o viceversa la altera profondamente?
Chi può saperlo con certezza? Se anche lo avessi vissuto direttamente o indirettamente, la mia sarebbe una visione parziale. So solo quel che accade ai personaggi, in una storia completamente inventata. L’impiegato crede di stare morendo e scappa perché non ha abbastanza coraggio, perché è sfinito dalla vita, perché vittima di circostanze fortuite e crudeli. Non lo biasimo, probabilmente farei lo stesso. Quello che conta è che nella storia abbia un comportamento conseguente, logico, credibile. Ciò può garantirlo solo il modo di narrare. Mi preoccupo molto di spiegare le azioni dei personaggi. Voglio che siano chiare le premesse e le conseguenze. Non amo la reticenza. Per come la vedo io, un personaggio non cambia idea o comportamento come cambierebbe un vestito. E mi occorrono buone pagine per mettere in mano a qualcuno un’arma e permettergli di usarla.

È già da qualche anno che come scrittrice e poetessa ti muovi nel panorama editoriale italiano: che esperienza hai maturato? Come navigare in questo mare così affollato ed insidioso?
Non scrivo più poesie, da molti anni, forse non mi interesserà più farlo. Preferisco i romanzi ai racconti (la ragione è probabilmente contenuta nella risposta precedente). Quando ho cominciato a pubblicare narrativa avevo più di trent’anni e nessuna esperienza del mondo editoriale. Ho fatto progressi, ma resto sempre una spanna dietro. E dovrei tenere meglio i contatti, informarmi. Il fatto è che vorrei anche leggere un buon libro, uscire con gli amici, cucinare quella paella che rimando da mesi… Nell’ambiente editoriale ho conosciuto persone sensibili e intelligenti, che si sono battute per me. Ho avuto qualche brutto incidente di percorso. Capita. A volte pubblichi per una casualità. A volte ti cestinano per un puntiglio, per un fraintendimento. A volte è solo colpa del budget: a conti fatti, c’è sempre meno posto nel teatrino, si sta stretti e chiunque può piazzarti un bel calcio. Ma i calci ti aiutano a rimetterti in piedi, non credo che abbiano altri permanenti effetti.

Che tipo di lettrice è Cinzia Zungolo? Quali sono gli ultimi bei libri che hai letto?
Denis de Rougemont, L’amore e l’Occidente. Franzen, Le correzioni. Shakespeare, I Sonetti. Amo i romanzi a immersione, lunghi come traversate, gli affreschi di Philip Roth, che colano intelligenza e passione, ma anche le pagine segaligne della Kristof o gli esperimenti dall’apparenza asettica della Nothomb. Durante i viaggi in treno, mi piaceva trangugiare Stephen King, ultimamente mi chiedo se ho esaurito i migliori titoli o se gli orrori riescono meglio a Trenitalia. Non amo i gialli e tutti i libri che difficilmente inducono nella tentazione di riprenderli in mano. Anche se poi non è che rilegga. Se lo faccio, è per frasi, quelle appuntate con la matita e vari segnacci. Li manipolo molto i libri, mi piace sporcarli.

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