
Quando incontrai la poesia di Claudio Sottocornola, anni fa, qualcosa in lui mi convinse, mi colpì: le sue parole erano semplici e vive. Recentemente ho assistito ad una sua presentazione a Campobasso e ho potuto conoscerlo di persona. Riesce a mettere a proprio agio lo spettatore; i suoi gesti sono calmi e misurati, la sua voce pacata mentre declama i suoi versi. Ho approfittato dell'occasione per fargli alcune domande.
Ordinario di filosofia, insegnante e “filosofo del pop” come fai ad unire queste tue tre vite?
In realtà il senso della mia attività è molto unitario, e parte da uno sguardo di tipo filosofico sulle cose: mi interrogo sul senso, sul valore, sul significato, usando mezzi espressivi e comunicativi diversi. La mia vita attualmente si articola intorno a tre ambiti: ricerca, didattica e musica. Insegnando da anni, avverto da un lato tutte le esigenze connesse alla didattica e alla divulgazione, dall’altro mi accorgo di quanto l’urgenza del quotidiano tenda a sottrarre libertà e pensiero alle coscienze, e reagisco inanellando sintesi fra le due esigenze. Così, mi sento un po’ “socratico”, perché avverto di aver seminato nel tempo, attraverso gli allievi e il pubblico che ho incontrato, il tarlo della domanda, della ricerca, lo stimolo a trasformare la routine in processo creativo (o almeno ci ho provato), e dall’altro un po’ homo faber, perché ho cercato di materializzare le mie intuizioni in “opere” tra musica, filosofia e immagine, che codificano, definiscono, enunciano in modo in qualche misura diretto e irreversibile le mie intuizioni. E così, oggi è la musica il mezzo che, accanto alla scrittura e alle immagini, utilizzo in maniera preferenziale, e che penso mi caratterizzi rispetto, per esempio, ad altri “filosofi del pop”, come Ferraris e Regazzoni, che si concentrano sull’analisi dei contenuti pop, ma certamente non si contaminano nella gestione delle medesime modalità espressive, come nei miei cicli di lezioni-concerto, ove reinterpreto brani della canzone pop, rock e d’autore e li faccio interagire con la storia sociale e del costume. Detto questo, è però vero che quelle che tu chiami le mie “tre vite” hanno un costo in termini di superlavoro e gestione del tempo.
Cultura popolare: fai di questo la tua forza, una filosofia che aderisce al contesto quotidiano. Ho visto che hai organizzato diverse presentazioni e mi chiedevo se la gente è interessata, se hai un buon riscontro, raccontami magari un episodio che ti è accaduto durante una di queste serate...
La mie presentazioni in effetti rappresentano un modo di vivere e lavorare on the road, che mi permette un contatto diretto e trasversale con ogni tipo di pubblico, e questo è una fatica e un privilegio insieme. Trovo infatti molto stimolante vedere alle mie lezioni-concerto o ai miei reading studenti di 17-20 anni, magari coi loro professori, insieme a un pubblico adulto ed anche maturo, che spesso mi arriva dai corsi che tengo presso Terza Università. Coinvolgere generazioni e competenze così diverse non è facile, ma alla fine mi obbliga a trovare un linguaggio comune, a cercare sintesi e semplificazione, e tutto ciò si riflette in me come maggiore chiarezza acquisita, come necessità di risolvere ogni ambiguità teoretica che potesse annidarsi in una presunta, ma ingannevole, complessità. Ho imparato , specialmente dagli interventi, dalle riflessioni del pubblico che chiede, esprime, valuta, a riformulare, rielaborare, trasferire conoscenze, e questo mi aiuta a pensare in modo flessibile e dinamico. Il pubblico ricambia i miei sforzi, apprezza il nesso tra filosofia e vita che provo a stabilire e le soddisfazioni sono tante: al termine di un recente incontro presso la Sala Axa di Campobasso, dove peraltro eri presente anche tu, una ragazza si è avvicinata, dichiarandomi che il mio intervento l’aveva motivata a riprendere gli studi di filosofia interrotti; qualche anno fa, dopo un ciclo di lezioni-concerto a Bergamo, uno studente che aveva registrato e annotato tutto, mi dichiarò la sua intenzione di farne l’oggetto della sua tesina di maturità; una signora mi ha confessato invece, dopo alcuni miei interventi presso la Camera del Lavoro, di essersi procurata i miei cd e dvd sulla Storia della canzone, e di avere ritrovato motivazioni ed energia ascoltandoli quotidianamente. Più in generale mi stupisco ogni volta che mi accorgo, anche attraverso minimi dettagli, di contribuire a incrementare consapevolezza o qualità nella vita di qualcuno.
Poesie (come in Nugae, nugellae, lampi e non solo) e riflessioni filosofiche (come nel tuo I trascendentali traditi): sei uno scrittore poliedrico, qual è il tuo processo di creazione letteraria?
Il processo creativo è unitario, anche se utilizzo mezzi espressivi e generi diversi. Di solito è caratterizzato da un’intuizione o tema originari (per esempio l’idea di elaborare un percorso musicale, o di ricordare mia madre attraverso immagini di giardino, o di raccogliere e ordinare i miei scritti a tematica spirituale o le mie poesie…), che cerco poi di tradurre in realtà: a partire dall’intuizione originaria tutti i miei sforzi tendono ad essere coordinati al fine di quella attuazione. Un po’, da filosofo, confesso che il momento più creativo è proprio l’ideazione, il resto è traduzione materiale di quanto cogitato, e quindi lavoro, lavoro, lavoro, in cui seguo tutte le fasi, comprese grafica e impaginazione, per gli scritti, riproduzione e allestimento per le mostre o i dvd multimediali, mixaggio ma anche editing per la musica e i cd. Un discorso a parte merita ciò che è specificamente filosofico, ove ho imparato a scrivere di getto, lasciando che la verità emerga quasi in forma di lapsus, in modo divergente e immediato, ma forse a questo ha contribuito la lunga esperienza di insegnamento, abituandomi a un approccio dialogico e colloquiale. E tuttavia le mie produzioni hanno quasi sempre una atipicità: la maggior parte degli scrittori e artisti tende a proporre cose molto recenti, e quindi una immagine di sé perfettamente congrua all’attualità, alla propria percezione di sé hic et nunc. Io al contrario, proprio come diceva Hegel a proposito della filosofia (“la civetta di Minerva che si leva al crepuscolo…”), tendo a testimoniare una esperienza, in certo qual modo, quando è già conclusa. E così, la raccolta che citi, Nugae, nugellae, lampi, ma anche Giovinezza… addio. Diario di fine ‘900 in versi, diventano sillogi che spaziano dal 1974 al 2008, mentre Il pane e i pesci è una ricerca sul sacro e sulla sua crisi, che raccoglie scritti dal 1980 al 2010, la serie “L’appuntamento”, 3 cd e un dvd video, raccoglie studi musicali, reinterpretazioni di canzoni pop, rock e d’autore, realizzati dal 1994 al 2001… E’ quindi giocoforza che, pubblicati, tali lavori rappresentino per me un percorso che si oggettiva proprio perché si chiude, mentre riflette uno sviluppo che come tale va valutato, rispetto al quale la mia immagine attuale è senz’altro già oltre, e a volte addirittura distonica. La creazione, e cioè il ridare vita e senso a un percorso che viene anche da lontano, diventa quindi ri-creazione… ma di qualcosa che esistenzialmente non è più.
I tuoi studenti vengono alle tue presentazioni? Sono interessati a vedere il proprio professore in una veste totalmente diversa? In questo modo dirigi la loro attenzione verso tematiche che altrimenti risulterebbero pesanti?
Sono profondamente convinto del carattere sapienziale e personale – ermeneutico – della conoscenza, e pertanto della sua trasmissione nella scuola e nella società. I miei studenti diventano spesso i primi destinatari o, meglio, i destinatari privilegiati delle mie ricerche (“The gift”, per esempio, è una breve raccolta di saggi su conoscenza, cura e dono, che ho dedicato ai maturandi), e quindi spesso li ritrovo alle mie presentazioni, ai reading, alle lezioni-concerto. Ma al di là di questo dato, l’interattività è diventata parte del mio metodo di lavoro, non solo in classe, dove nascono molteplici occasioni di dibattito critico-problematico, ma anche nelle mie performance sul territorio, ove i ragazzi partecipano attivamente leggendo le mie o le loro poesie, suonando strumenti musicali, duettando con me nella interpretazione delle canzoni, o realizzando splendide coreografie di danza moderna, classica e hip hop. Alla fine avverto che la consapevolezza acquisita nel loro diventare protagonisti di situazioni performative e pubbliche ha ricadute immense in termini di autostima e motivazione, al punto che qualcuno di loro, dopo tale esperienza, vede anche incrementare profitto e sicurezza personale nell’apprendimento. Un esempio è il ciclo di lezioni-concerto “Una notte in Italia”, tenuto nel 2011 in occasione dell’anniversario dell’unificazione nazionale presso l’Auditorium della Provincia di Bergamo, ove si è parlato di identità nazionale a partire dal repertorio della canzone popolare dagli anni ’50 ad oggi, come veicolo di unità linguistica e culturale nelle masse. I ragazzi, studenti universitari e liceali, hanno partecipato duettando, suonando, danzando, e alla fine hanno anche realizzato splendide relazioni critiche, pubblicate poi dalla prestigiosa rivista della scuola “Ecole”. Tengo poi a sottolineare che il radicamento nell’attualità della cultura popular mi sembra oggettivamente ineludibile, a meno di glissare sul contemporaneo, cosa che non hanno fatto Dante, Galilei o Mozart, e cioè la grande cultura viva di tutti i tempi, che è sempre stata pop, a differenza di pedanti e accademie, che sono sempre stati istituzionali o grettamente di tendenza. E quindi il discorso sull’attualità è per me alveo, contesto, ma anche punto d’arrivo, di un discorso che parte dai fondamentali, si chiamino essi Platone, Confucio o Heidegger.
Ho visto sul tuo sito che crei anche collage, con articoli di cronaca e foto di attualità e risultano molti duri a volte cruenti. Come mai rappresenti il mondo in questo modo?
I collage a cui ti riferisci sono quelli di “80’s/Eighties (laudes creaturarum ’81)”, che, con una piccola appendice successiva, sono stati realizzati nell’estate del 1981, quando ero un giovane studente universitario, e rappresentano un momento particolare della mia ricerca, una specie di estasi post-moderna in cui associo alto e basso, sacro e profano, accademico e popolare, in una sorta di abbraccio cosmico solare, caldo, avvolgente. Ricordo la loro gestazione: ero reduce da un doloroso periodo di contrazione interiore, quando avvertii una specie di nodo interiore sciogliersi, e mi ritrovai sommerso, sovrastato, travolto dal senso impellente della bellezza e del sublime… Incominciai spasmodicamente a raccogliere giornali, riviste, rotocalchi, e a ritagliare di tutto, dalle immagini dei divi dell’epoca a quelle della pubblicità, dalle foto di viaggi a quelle di cronaca, insieme a immagini di arte sacra e spiritualità, da Botticelli a Michelangelo, da Parmigianino a Picasso, incollando il tutto su grandi cartoni colorati. A distanza di anni, mi sono accorto che quei cartoni che andavano progressivamente deteriorandosi, oltre che riflettere un momento di grazia della mia esperienza di vita, esprimevano molto bene una specie di sintesi di quei favolosi ed effimeri anni ’80, filtrati da un’anima giovanile che, al di là di riflusso e consumo, si sforzava di vedere anche nei feticci della moda e della pubblicità, barlumi di luce, e così li ho riproposti facendone un discorso sul decennio in una mostra itinerante accompagnata da un dvd multimediale, recentemente approdata alla Mondadori di Siderno e alla Luidig di Benevento. Ma quel che voglio dirti è che da sempre, sin da quando, bambino, leggevo le fiabe di Andersen, Grimm, Wilde o Perrault apprezzandone tanto i testi quanto le immagini a commento, le immagini hanno accompagnato le mie ricerche, la mia evoluzione e le posizioni esistenziali o teoretiche raggiunte, in certo qual modo contrassegnandole simbolicamente. Sì, credo che, come avvertivano potentemente i medievali, cui è dedicato il mio ultimo libro, “I trascendentali traditi”, il simbolo, in quanto mix di razionalità e sensibilità, spirito e materia, astratto e concreto, sia il mezzo più idoneo ad esprimere consapevolezza e amore, per questo faccio filosofia con la musica, le immagini, la poesia.
I libri di Claudio Sottocornola