Salta al contenuto principale

Intervista a Daniela Farnese

Articolo di

Conosciuta come Dottoressa Dania , la partenopeissima blogger/scrittrice/opinionista Daniela Farnese ha il merito di aver fondato (anzi, co-fondato) la Stiletto Academy per aiutare le donne a camminare sui tacchi salvandole dalla ridicolaggine. Ha girato un bel poʼ, si è fatta sfrantumare il cuore più di una volta e ha imparato un mucchio di lingue. Poi è approdata a Milano e alla scrittura. E ha sfondato.




Come sei passata dallo studio delle lingue orientali alla scrittura di romanzi?
È stato un percorso non lineare e non voluto. Ho studiato l’arabo e l’ebraico con quella smania da ventenne di voler cambiare il mondo, anche se non sapevo ancora cosa avrei desiderato diventare da grande. Nel frattempo coltivavo l’altra mia grande passione, il teatro, che a un certo punto ho abbandonato del tutto, come un vecchio amore folle con cui non sei più in grado di convivere. Ho sempre amato scrivere, ma non ho mai avuto un libro nel cassetto. Scrivevo lettere, quelle di carta (che vi danno l’idea della mia veneranda età) e diari, appunti, note. Dopo la laurea, ho iniziato a collaborare con l’Università di Venezia e in quel periodo, nel lontano 2003, ho aperto il blog Malafemmena, che è ancora attivo. Mi sono firmata “Dottoressa Dania” per sdrammatizzare la mia condizione di collaboratore precario nel mondo accademico, che tiene ancora moltissimo ai titoli. La fortuna dei miei post ha modificato la mia carriera e le mie ambizioni, ma ci sono voluti anni per trovare la mia strada. Ho fatto mille lavori, scritto per riviste, collaborato produzioni cinematografiche e teatrali e organizzato eventi, fino a quando, nel 2010, ho ricevuto un’email dalla editor di una casa editrice che mi chiedeva se avessi voglia di proporre un titolo per una loro collana...

Perché una napoletana sceglie di vivere a Milano?
Sono sempre stata una nomade. Da piccolina, prima che i miei genitori si separassero, abitavo in Olanda con la mia famiglia. A 14 anni, per lavoro, mia madre ci ha portati via da Napoli, a Padova, e da allora sono sempre stata alla ricerca del mio “angolo di mondo”. Ho cambiato moltissime città, ho vissuto a Parigi, a Venezia, al Cairo, a Udine e in tanti altri posti dove magari riuscivo a fermarmi soltanto un paio di mesi. Milano è arrivata in un periodo di grande difficoltà, in cui mi sembrava di aver perso tutto quello che amavo e di avere bisogno di ricostruirmi una vita. Sono arrivata poco più di cinque anni fa, quando la città era un immenso cantiere per Expo. Forse, i lavori in corso sono stati una metafora del mio stato d’animo: avevo bisogno di piantare radici, costruirmi una tana. Non ci avrei mai creduto: Milano è il posto perfetto in cui una napoletana errante può vivere.

Una cosa che ti manca di Napoli e una piacevole scoperta a Milano?
Di Napoli mi manca il vento che arriva dal mare, anche tra i vicoli stretti dei Quartieri, il caffè servito già zuccherato, la gente che passa ancora a trovarti a casa senza paura di disturbare e l’umorismo noir, capace di ridere di tutto. Di Milano amo la vitalità, le librerie dove puoi bere il caffè, le coppie di anziani che camminano mano nella mano (ce ne sono tantissime!), i cortili nascosti che nascondono capolavori. Ah, e i mezzi pubblici che funzionano davvero.

La tua scrittura è intessuta di “sud”. È difficile creare il giusto equilibrio tra regionalismi e italianismi?
La scelta della lingua di Donnissima è stata difficile. Volevo che all’orecchio del lettore suonasse la cadenza delle mie origini, ma che il linguaggio fosse comprensibile a tutti, anche a quelli che masticano poco o per niente il napoletano. Ho fatto molti tentativi prima di trovare la formula giusta, di cui ritenermi soddisfatta. In questo, mi ha aiutato molto la lettura e rilettura di autori come Starnone e la Ferrante, i cui testi hanno la potenza e la musicalità del Sud, senza essere ostici. Ho avuto, poi, la conferma che stavo andando nella giusta direzione quando il mio editor Stefano Izzo, toscano doc, mi ha assicurato che la voce di Enza funzionava.

Enza sembra una Bridget Jones nostrana. È lʼintenzione che avevi?
In realtà non ci avevo mai pensato. Ho sempre considerato Bridget Jones una donna molto inscura e goffa, mentre Enza è estremamente consapevole, della sua femminilità, del suo lavoro, del suo aspetto fisico. Anzi, lei si considera “un femminone”. Forse le accumuna l’ironia e la capacità di sdrammatizzare anche le situazioni più imbarazzanti. E aggiungo che, a differenza delle mie protagoniste dei libri precedenti, Enza Caruso non è affatto alla ricerca di un uomo. Evviva!

Perché la scelta di tre amiche straniere e così “particolari”?
Mi piaceva l’idea che i personaggi secondari raccontassero una realtà variegata e multietnica che ormai fa già parte delle nostre vite, anche se spesso continuiamo a trincerarci dietro il bisogno di ristabilire confini ed etichette. Le amiche di Enza sono il mondo in cui viviamo e che non ci sembra nemmeno più esotico: estetiste cinesi, transessuali cubane dalla bellezza dirompente, brillanti donne delle pulizie dell’Est. Ognuna di loro ha, poi, delle caratteristiche peculiari, eccentriche: ma quale delle nostre amiche è “normale” davvero?

Quanta Daniela cʼè in Enza?
Donnissima non è un libro autobiografico, ma a differenza dei miei romanzi precedenti è molto “mio”. Ci sono dentro suggestioni della mia infanzia, particolari della mia memoria che ho mescolato, pensieri che ho maturato nel tempo. Enza ha in comune con me il fatto di essere cresciuta in un grande gineceo, una famiglia in cui le donne ‒ forti e accoglienti al tempo stesso ‒ reggevano le redini. Per il resto, purtroppo, siamo molto diverse. Anche se mi piacerebbe amare fare le pulizie quanto lei.

I LIBRI DI DANIELA FARNESE