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Intervista a Daniele Coluzzi

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Daniele Coluzzi non è solo un giovane e preparatissimo professore di liceo linguistico, uno scrittore eccellente o un divulgatore di cultura sui social media. È anche un grande appassionato delle sue materie, un insegnante che prende il suo lavoro come una vera e propria missione di diffondere le emozioni che la scoperta di un’opera letteraria o di un mito classico possono donare. Chiacchierando con lui ho provato una fortissima voglia di tornare nuovamente tra i banchi di scuola per avere la possibilità di ascoltarlo mentre spiega con passione ai suoi studenti la lezione del giorno, o per vederlo emozionarsi mentre sono loro a raccontarsi in prima persona. Perché “è questo il motivo per cui ho scelto questo lavoro e continuo a sceglierlo giorno dopo giorno. Perché è emozionante”. E non c’è dichiarazione d’amore più bella.



Innanzitutto, dal momento che sei un professore, vorrei ribaltare la situazione e chiederti come descriveresti il Daniele studente. E ora, invece, che professore sei? Se potessi metterti al posto dei tuoi alunni, quale voto in pagella ti daresti come insegnante?
Che professore sono… un voto, in realtà, non riesco a darmelo, perché ne do davvero troppi tutti i giorni in classe! Vengo adesso da sei ore di lezione in cui ho dovuto dare tantissime valutazioni ai miei alunni. Però ricordo perfettamente che tipo di alunno ero: uno studente che avrebbe desiderato essere stimolato molto di più dai suoi professori. Invece, purtroppo, avevo un insieme di docenti che, a parte qualche rara eccezione, faceva didattica in maniera molto tradizionale, quasi in stile ottocentesco: lezione frontale e basta con chiacchiere monodirezionali a ripetizione. Soffrivo davvero tanto questo metodo, con il risultato di essere uno studente piuttosto irrequieto. Non andavo a scuola con piacere e non avevo voti altissimi. Possiamo dire che “campavo”. Dopo la scuola media avevo scelto il liceo classico, un indirizzo molto impegnativo, me ne rendo conto, ma in cui personalmente non davo il massimo. Forse solo verso l’ultimo anno, in terza liceo, sono sbocciato un pochino. A essere sinceri, però, credo che parte del problema risiedesse proprio nel metodo di insegnamento. Ed è per questo motivo che oggi, come docente, cerco in tutti i modi di non replicare lo stesso errore. Tento sempre di lavorare con un mio metodo, diversificando il più possibile la classica lezione frontale con attività alternative, come l’utilizzo del digitale o di lavori concreti, operativi. Insomma, tanti strumenti che mi permettono di fare lezione ogni volta in modo diverso… o, almeno, ci provo! Mi piace utilizzare questo metodo per cercare di stimolare un po’ tutti gli aspetti dello studente che, magari, non è propriamente portato per stare seduto ad ascoltare passivamente per tante ore, però al contempo se la cava in altri modi. Credo che utilizzare degli strumenti e delle metodologie diverse sia fondamentale e cerco di farlo proprio perché ricordo cosa significasse per me sedere per cinque o sei ore ad ascoltare e basta. Al momento insegno nel liceo linguistico che è proprio accanto alla mia vecchia scuola, il Foscolo di Ariccia, e sento molto questa vicinanza. Proprio per questo voglio tentare in tutti i modi di non replicare ciò che avevo vissuto da alunno, provando a essere quanto più stimolante possibile per i miei ragazzi. Chiaramente, a volte si ha successo e altre no, ma credo che l’importante sia comunque cercare di dare il meglio ogni singolo giorno.

A questo proposito volevo parlarti del dibattito che ultimamente si è acceso attorno agli studi classici. Sempre meno studenti, infatti, intendono frequentare istituti dove si studiano il greco antico e il latino. Questo perché il liceo classico, nato 100 anni fa con la riforma Gentile del 1923, da allora non sembra sia cambiato più di tanto. In quanto insegnante e amante delle culture classiche, cosa credi si dovrebbe fare per rendere più attrattivo, dinamico e stimolante un percorso di studi che ai ragazzi di oggi appare obsoleto e, per questo, poco attrattivo?
Guarda, mi dispiaccio molto per questa situazione proprio in virtù dei miei studi passati. Il liceo classico, ormai, è davvero in picchiata libera e ogni anno raccoglie sempre meno iscrizioni. Temo che presto lo perderemo del tutto come indirizzo di studi. Sente sicuramente molto la competizione con le altre scuole più tecniche, ma anche con l’indirizzo delle Scienze Umane, che viene percepito come un liceo umanistico di stampo più moderno. Per tanti fattori, quindi, il liceo classico è in declino e questo mi dispiace, soprattutto perché alla base c’è un errore di valutazione. Mi spiego: vengono percepite come “vecchie” le materie che si insegnano al classico, ma in realtà il problema di fondo è, di nuovo, quello delle metodologie e degli strumenti. Un esempio lampante sono proprio tutti questi romanzi del filone mitologico che circolano ultimamente. È chiaro come questo argomento sia strettamente collegato a questo tipo di studi e, se hanno successo, è proprio perché piacciono ai ragazzi e la materia in sé li interessa e li appassiona. Quindi non metterei al centro di questo problema il greco o il latino. A mio parere, la colpa è di quegli insegnanti che non sempre hanno il desiderio di tenersi al passo con i tempi. Soprattutto il liceo classico, infatti, è diventato un po’ una roccaforte di professori di una certa età, che hanno una determinata impostazione e che utilizzano poco o nulla i mezzi digitali. Ovunque vada sento dire che al classico si fa ancora lezione in maniera molto tradizionale. Detto questo è chiaro che la percezione che passa all’esterno sia quella di una scuola vecchia dove si studiano materie altrettanto datate, quando in realtà potrebbero essere molto contemporanee e utili. Chiaramente sto generalizzando molto. Però, purtroppo, la percezione di fondo è proprio questa.

Prima ancora che come scrittore, ti sei fatto conoscere da una grande fetta di pubblico per il tuo ruolo di divulgatore di cultura sui social media. Credo che usare questi mezzi moderni e, passami il termine, frivoli, per permettere anche ai più giovani di avvicinarsi alla storia, alla letteratura o alla mitologia sia un’idea davvero geniale, oltre che molto utile. Come è nata e cosa ti ha spinto a concretizzarla?
In realtà è stato abbastanza casuale ed è nata dalla mia professione. È partito tutto da YouTube, nel senso che avevo realizzato delle semplici videolezioni da usare a scuola, sia per fornire del materiale di ripasso agli studenti, che come metodo alternativo di fare lezione. Ho iniziato a pubblicare i primi video su YouTube perché la reputavo la piattaforma più semplice sia per me, che per i miei studenti, per accedere a quel tipo di materiale. Quindi, a ben pensarci, quella scelta è stata dettata da una questione meramente patica. Poi, piano piano, questi video sono diventati sempre di più e ho deciso di estendermi anche su altri canali, avendo capito che la cosa stava diventando altro. Infatti, non si trattava più solo di videolezioni da usare in classe, ma notavo che tanti studenti e docenti da tutta Italia usavano a loro volta i miei contenuti per studiare e lavorare. Mi sono, quindi, reso conto che c’era del potenziale nei social media e che avrei potuto approfittare di quella facilità di condivisione per mettere a disposizione del materiale di un certo tipo. Da lì, poi, ho cercato di declinare lo stesso tipo di meccanismo anche su altri canali, iniziando da Instagram. Lì, chiaramente, non faccio videolezioni, ma racconto un po’ di più qualcosa sulla mia vita personale, sul mio lavoro come docente o sulla mia passione per la scrittura. Si sa che ogni social ha un suo linguaggio e per questo cerco di declinare gli argomenti che tratto su ogni canale in maniera diversa. Poi si è aggiunto anche TikTok, per il quale produco contenuti ancora diversi. Non possono essere video di intere lezioni, si tratta di contenuti divulgativi molto più semplici, rapidi e corti. In questo caso i video hanno un po’ lo scopo di avvicinare i ragazzi alla materia e di incuriosirli su alcuni temi che, altrimenti, sui social si vedono poco.

Da quanto mi racconti mi sembra di capire che sei un grandissimo appassionato del mondo classico. Da dove nasce questo tuo amore?
Beh, sicuramente dagli studi che ho fatto. In primis il liceo classico, ma solo fino a un certo punto, perché purtroppo non sono stato molto fortunato con il mio docente di latino e greco, diciamoci la verità. La vera passione per il mondo classico è scattata all’università, dove ho studiato lettere moderne e letteratura italiana. Lì mi sono reso conto che tutto ciò a cui mi approcciavo aveva a che fare insistentemente con la cultura greca e latina. È vero, già le conoscevo, ma ho comunque scelto di approfondirle in modo continuo attraverso la scelta di esami facoltativi di lingua e letteratura greca, anche se non facevano parte del mio corso di studi, per ampliare il mio percorso personale e professionale. Questo proprio perché notavo che, senza quella parte classica, non riuscivo a comprendere fino in fondo la letteratura italiana. Sentivo di avere bisogno di basi più solide. E quindi sì, potrei dire che è proprio all’università che questo amore, comunque già latente, si è palesato in maniera definitiva.

Parlando proprio del mondo classico, il tuo libro Io sono Persefone riprende uno dei racconti forse più belli, ma anche più cruenti, della mitologia greca. A differenza di ciò che fanno in molti, però, non ti sei limitato a riraccontare qualcosa che già conoscevamo. Visto che siamo in tema, direi che hai agito un po’ come un demiurgo con la figura di Persefone: le hai donato quel soffio vitale che le ha permesso di parlare della sua storia con la sua voce. Fino a ora, infatti, avevamo conosciuto il mito solo dai punti di vista della madre, Demetra, o del marito, Ade. Cos’è che ti ha spinto a scegliere proprio questa storia in particolare e a volerla raccontare dal punto di vista di Core/Persefone?
Rispetto a tanti altri, reputo il mito di Persefone il più interessanti per diversi motivi. Principalmente perché è quello che tocca di più alcuni dei temi che ci sono molto cari e che, al contempo, sono molto profondi. La storia di Persefone ci permette, infatti, di riflettere sul rapporto che abbiamo con i nostri genitori; sulla tematica della crescita (di fatto, Core diventa Persefone e subisce dei cambiamenti nel suo percorso di crescita); sulla morte e sul rapporto dell’uomo con essa; sull’alternarsi delle stagioni e sull’idea che tutto sia circolare. In questa storia, quindi, erano presenti proprio quegli spunti che spesso cerco come lettore. Infatti, a me piace leggere di storie di crescita, che riflettano sul rapporto che abbiamo con la natura e con la morte o sulle nostre domande più esistenziali. Si trattava, a mio parere, di una storia perfetta per essere raccontata ed è per questo l’ho scelta. Tra l’altro, oltre a essere oggettivamente molto bella, è un archetipo di molte altre storie che sono state scritte nel corso dei millenni. Sono stati proprio i miei studenti a farmi notare che addirittura la favola de La Bella e la Bestia, in qualche modo, riproduce il mito di Persefone e Ade. È la storia che sta alla base della nostra civiltà e che poi viene riraccontata nei secoli in declinazioni sempre diverse. Di fatto si tratta del classico racconto della ragazza che, per crescere, subisce traumi e difficoltà derivanti da un uomo violento, elemento che torna ahimè spesso nelle narrazioni. Considerate queste tantissime sfaccettature, quindi, per me era un’occasione davvero ghiotta. Chiaramente, proprio dal momento che questo mito era già stato sviscerato nei secoli in innumerevoli modi, ho percepito la necessità di raccontare il tutto con una sensibilità contemporanea. E allora mi sono chiesto cosa avrei potuto aggiungere nel 2023 a questa storia, se non la sensibilità propria dell’uomo contemporaneo? Quindi ho cercato di raccontarla, innanzitutto, dal punto di vista della protagonista, perché oggi è importante mettere al centro la figura femminile e farla esprimere. Poi, ho cercato di narrarla facendo attenzione ad alcune tematiche. La storia di Persefone e Ade, banalizzando, è anche quella di una grande metafora di violenza su una ragazza, che potremmo definire come un vero e proprio stupro. La sensibilità contemporanea ci mette un po’ in guardia di fronte a questi temi, si evita di romanticizzarli. Cosa che, invece, succede in tante riscritture di questo mito, soprattutto statunitensi, in cui Persefone si innamora di Ade, terminando con una bella chiosa romantica in cui troviamo il re e la regina degli Inferi insieme felici e contenti. Questa versione, per me, non reggeva volendo dare davvero una lettura contemporanea della storia. Occorreva, a mio avviso, porre il focus sull’impossibilità di Persefone di scegliere quel rapporto. Romanticizzarlo avrebbe fatto perdere questa chiave. In tutto il mio libro, infatti, Persefone non ha rapporti con Ade: si confrontano, certamente, ma non hanno una vera e propria relazione. Per me era importante questo punto. Ed è per questo che, alla fine del libro, Persefone afferma che se mai dormirà con suo marito sarà solo per una sua scelta personale e non in seguito a un’imposizione violenta di Ade. Questo è, secondo me, il modo in cui noi oggi possiamo riscrivere queste storie: riadattandole il più possibile ai nostri temi caldi.

Ultimamente stiamo assistendo a un vero e proprio boom di retelling di miti greci. Secondo te, per quale motivo le storie classiche stanno invadendo così prepotentemente le librerie e cos’è che le avvicina al mondo moderno? O, altrimenti, cosa accomuna i lettori moderni al mondo classico?
Credo che questo boom sia principalmente dovuto al fatto che si tratta di storie obiettivamente molto belle. Se ci pensiamo, continuano a essere raccontate da millenni proprio perché non muoiono mai. Noi ci sorprendiamo di questa rinascita del mitologico, ma in realtà spesso nei secoli si è assistito al ritorno della mitologia classica in letteratura. Probabilmente il motivo è che i miti riescono a farci sognare ed entrare in un mondo diverso dal nostro che è comunque esistito. Parte del fascino è, forse, dovuto anche all’ambientazione quasi esotica e al mistero delle divinità pagane che queste storie evocano. Questo è un fattore davvero affascinante per un lettore contemporaneo che cerca evasione, come risulta evidente se consideriamo che i generi più letti al momento sono il fantasy, la fantascienza e, più in generale, tutto ciò che ci permette di evadere dalla realtà. Dobbiamo prendere atto che, ora come ora, ci troviamo in questa fase della letteratura. E, quindi, anche il retelling mitologico ci permette di allontanarci dalla nostra quotidianità, facendoci immergere in un mondo che è, comunque, già affascinante di per sé.

Tornando alla scuola, vorrei farti una domanda più personale: da professore, cosa si prova nel condividere le tue passioni con gli studenti? E qual è il tuo metodo per cercare di far avvicinare anche loro alle materie che tanto ami?
Credo fermamente che la prima cosa sia, appunto, avere passione. Un docente deve amare profondamente ciò che insegna. Mi accorgo che tante volte i professori tendono a concentrarsi troppo sull’aspetto burocratico della scuola piuttosto che sui contenuti reali. Invece è necessario essere degli appassionati delle materie che si insegnano, perché è proprio questa passione che noi trasmettiamo ai ragazzi. Gli adolescenti sono sempre in cerca di modelli di persone appassionate e, quando vedono il trasporto in qualcun altro, chiunque esso sia, ne rimangono affascinati, perché loro stessi sono alla ricerca delle proprie passioni. Secondo me il gioco sta proprio nel dimostrare la passione che ci anima. E a quel punto lo studente non può che seguirla e ricambiarla, perché capisce che, sottraendosi a questo gioco, potrebbe perdersi qualcosa di davvero bello. È un meccanismo quasi mimetico che cerco di utilizzare molto in classe. E devo dire che dà grande soddisfazione, perché a tanti ragazzi arriva e di colpo iniziano a interessarsi a materie che prima, magari, consideravano poco attrattive. È proprio in questi momenti, quindi, che si sente di avere la capacità, come docente, di poter fare la differenza. Ed è questo il motivo per cui ho scelto questo lavoro e continuo a sceglierlo giorno dopo giorno. Perché è emozionante.

C’è un episodio in particolare che ti è capitato durante una lezione e che ti ha fatto emozionare o divertire particolarmente?
Mi emozionano sempre molto i momenti in cui do ai ragazzi la possibilità di parlare un po’ di loro stessi. Dal momento che insegno italiano posso farlo tanto, perché è una materia in cui si scrive, in cui ci si può lasciare andare ed esplorare un po’ la propria interiorità, sia tramite la letteratura che la scrittura. Ci sono dei momenti in cui questo avviene sia tra una lezione e l’altra, che durante una vera e propria. Accade, infatti, che dedichiamo una lezione intera alla scrittura in sé, al racconto di come si sta, di cosa si prova. Questi momenti sono sempre molto emozionanti, perché i ragazzi non aspettano altro. Sembra che non vedano l’ora di potersi finalmente raccontare, complici sicuramente l’età (si vuole sempre essere un po’ protagonisti durante l’adolescenza, no?) ma anche il reale desiderio di essere ascoltati davvero, cosa che non sempre accade in famiglia o nel proprio gruppo di conoscenze. Gli stessi docenti troppo spesso vengono percepiti dai ragazzi come figure fredde, lontane. Perciò, quando dai loro la possibilità di aprirsi, sembrano quasi buttarti addosso tutta la loro interiorità senza alcun filtro. Sono momenti che mi regalano sempre tante emozioni e che contribuiscono a creare un rapporto educativo davvero forte. Ogni tanto ricerco con forza momenti del genere in classe, proprio perché li ritengo davvero importanti.

Bene, in ultimo vorrei chiederti se hai già in cantiere un nuovo romanzo e se, eventualmente, puoi spoilerarci il tema…
Allora, non posso spoilerare l’argomento altrimenti Rizzoli mi taglia la testa, me lo hanno detto chiaramente. No, dai, scherzo! In ogni caso, ti dico che a settembre 2023 uscirà il mio nuovo romanzo. Però, in realtà, quest’anno mi attendono due pubblicazioni, perché anche ad aprile uscirà un’altra cosa. In questo caso si tratta di un testo di cui non posso dire molto, ma intanto ti anticipo che non si tratta di un romanzo…

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