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Intervista a Denise Pardo

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Il SalTo – Salone Internazionale del libro di Torino – per i lettori è senza dubbio un’occasione unica, ma anche per gli addetti ai lavori (oltre ad essere spesso una sfacchinata) è un momento speciale. Ci si incontra si prendono accordi, ci si conosce dopo mesi in cui ci si è solo scambiati mail e, last but not least, si incontrano gli autori dei tanti libri che amiamo. Questa volta, i reciproci impegni di Denise Pardo e miei non ci hanno permesso di incontrarci di persona a Torino, ma nel giro di 48 ore ha risposto alle domande che le ho posto via mail (la ringraziamo per la sollecitudine la gentilezza). È nata nel 1954 in Egitto, al Cairo, città che la sua famiglia ha dovuto abbandonare a causa delle vicende storiche che hanno reso gli stranieri – per decenni cuore economico e sociale della città - persone poco gradite. A Roma è cresciuta diventando una giornalista, per molti anni ha scritto su “L’Espresso”. Nel mentre, ha pubblicato diversi libri.



Un romanzo che sembra un’autobiografia, una biografia della tua famiglia romanzata quel tanto da diventare accattivante, o ancora la vita di una famiglia qualunque così piena di storia e vicende, completamente inventata da renderla perfetta per trarne un romanzo?
La casa sul Nilo è una biografia romanzata della mia famiglia, tutti i personaggi sono veri o verosimili, i nomi non sono inventati magari soltanto scambiati. Non è stato facile descrivere e far rivivere i miei genitori e mia nonna, ogni frase che attribuivo loro mi poneva di fronte a una domanda: «Avrebbero detto questo, sarebbero contenti di come li sto descrivendo?». Ma la vita al Cairo era davvero quella che ho descritto.

Nel libro, per bocca di vari personaggi, spieghi a grandi linee quelle che sono state le motivazioni di un cambiamento così radicale come quello di paesi come l’Egitto, la Turchia, la Persia. Sono “spiegazioni” storiche pure o ricostruzioni sulla base del vissuto della tua famiglia? Storia con la S maiuscola o con la s minuscola?
La Storia con la S maiuscola si mescola sempre con la storia quotidiana. Il clima in Egitto era quello di un Paese tollerante e multiculturale, accogliente, che ha poi pagato le ragioni di una politica desiderosa di spazzare via tutto il buono portato dagli occidentali. L'ascesa di Nasser coincide con la fine del colonialismo e il suo progetto di riformare il suo Paese era un progetto ambizioso e giusto. Nonostante la cacciata degli stranieri la nazionalizzazione dei loro beni e la riforma agraria che poi è riuscito ad attuare, l'Egitto di Nasser non ha colmato più di tanto le terribili disuguaglianze del tempo di Farouq. E la Storia con la esse maiuscola ha pesantemente condizionato la storia della mia famiglia e di tante famiglie come la mia.

Dalle “spiegazioni” a cui accennavo prima si evince in qualche modo che un certo tipo di società è crollata per la poca lungimiranza della classe dirigente, la completa indifferenza della borghesia (e di chi con la borghesia lavorava) nei confronti della povertà dei ceti più bassi, che ha alimentato il malcontento. Come ti spieghi la presa del potere - se così possiamo definirla - dei capi religiosi? È una vecchia storia che si è ripetuta anche altrove?
Ma in Egitto, che è sempre rimasto un Paese laico, i capi religiosi non hanno mai conquistato il comando e il governo. C’è sempre stata una guida autoritaria e soprattutto militare com’era Nasser, capo dei Liberi Ufficiali. I fratelli Musulmani sono stati i primi a essere dichiarati fuorilegge da Farouk e poi messi completamente a terra da Nasser. Per esempio l’Egitto fin dall'inizio del Novecento ha avuto un potentissimo movimento femminista.

In un’intervista del novembre 2022 a “D – la Repubblica” hai dichiarato: “La diversità non era un valore, perché non esisteva, c’erano accettazione, affiliazione, amicizia”. Oggi secondo te è cambiato qualcosa nell’animo delle persone o viceversa nella società attorno a loro?
Quando ho deciso di scrivere il libro quello che volevo raccontare era che c'era stato un tempo e un luogo in cui l’integrazione era riuscita. Il popolo egiziano è pacifico, affettuoso e poco incline all'odio. Naturalmente la politica, la censura, la paura e la povertà possono cambiare o soffocare la natura delle persone.

A uno dei personaggi più affascinanti del romanzo (parlo di Hafez) una figura difficilmente inquadrabile, spietato e leale al tempo stesso, hai dato il nome di uno degli artisti che vanno per la maggiore in Egitto. Una casualità o un modo per rendere omaggio a un Paese che evidentemente ti è rimasto nel cuore? Fra l’altro, un personaggio reale o completamente inventato?
Mio padre aveva un grande amico che si chiamava Hafez e che ha continuato a vedere perché veniva a trovarci a Roma. Era un bel signore molto elegante, con i capelli argentati come le cravatte che portava. Non avevo idea che fosse anche il nome di un artista famoso in Egitto.

La voce narrante è l’unica che non ha un nome a differenza di tutti gli altri? Una scelta particolare, ce la spieghi?
La voce narrante sono io, per questo non ho nome se non il mio. I nomi sono tutti veri, quelli dei miei genitori e quelli dei loro amici. Ho dovuto cambiare all’ultimo minuto il nome del socio italiano di mio padre però, perché la sua società ancora oggi ha lo stesso nome di allora.

La questione ebraica è molto più antica rispetto alla Seconda guerra mondiale. Che spiegazione ti dai di questo ostracismo così antico?
Mi sembra che la questione ebraica sia nata con il mondo.

I LIBRI DI DENISE PARDO