
Ricamare sul fatto che incontro Elisa Fuksas sotto l’ombra incombente della celebre Nuvola progettata dal suo celebre papà sarebbe davvero banale, quindi non lo farò. Meno ovvie le ombre che attraversano i suoi occhi da gatta mentre ci facciamo una chiacchierata rilassata ai margini della presentazione del suo secondo romanzo, nell’ambito di Più Libri Più Liberi 2017. Tra una risata e l’altra, si parla di argomenti mica da poco.
Ti percepisci come una film-maker, come una scrittrice, come un’illustratrice, come tutto questo o nessuna di queste cose… Insomma, chi sei veramente?
Io non sono niente, questa è l’unica cosa vera. Poi ogni tanto prendo una forma: talvolta è un film, talvolta un libro, oppure un disegno… però faccio molta fatica a capire veramente dov’è il posto giusto per me. Ma in realtà forse dipende dalla storia: magari alcune storie le voglio scrivere, altre le voglio girare.
Durante la presentazione del tuo Michele, Anna e la termodinamica a Più Libri Più Liberi 2017 hai sfoggiato un approccio molto modesto, per non dire “apocalittico”: non so scrivere, non so disegnare, non so fare niente, sono solitaria, non ho avuto un’infanzia… È vera modestia o è solo un modo per nascondersi, una forma di timidezza?
No, non sono timida. Sono come mi racconto, un po’ una disadattata: sto sempre scomoda. È il mio modo di stare al mondo, stare scomoda: e non voglio neanche cambiarlo. Sarebbe una vita che non funzionerebbe per me. Diciamo che ho avuto molta fortuna nella vita, almeno in partenza. È stato anche faticoso per molti versi ma mi ha dato la possibilità di conoscere il mondo in un altro modo, e questo è un grande privilegio, lo riconosco. Non un privilegio della casa, ma un privilegio dello sguardo. Detto questo, ci sono in me delle incongruenze e sul serio, mi sembra di non saper fare nulla davvero bene.
Secondo te questo è un libro per ragazzi che assomiglia a un libro per adulti oppure un libro per adulti che assomiglia a un libro per ragazzi?
È decisamente un libro per adulti che assomiglia a un libro per ragazzi. Anche se decidere cosa è per ragazzi o no è difficile: io non ho figli e veramente non ho memoria della mia infanzia. I miei ricordi iniziano da quando è nata mia sorella, avevo 13 anni: del prima mi rimangono solo quattro fotografie, perché i miei genitori non amavano farmi foto.
Morte è veramente “una parola grossa”?
È enorme, è la cosa mi terrorizza di più ma è la cosa che corteggio di più. Perché in fondo è il grande evento della vita, è mostruoso da dire ma io la aspetto anche con una certa eccitazione, come fosse la sera della prima. In un certo senso viviamo per morire e ci rende tutti eroi la morte e questa cosa è impagabile, in qualche modo.
Ci spieghi questa cosa della quarta legge della termodinamica?
Si tratta di una legge inventata, ovviamente. Una legge universale che permette ai morti e ai vivi di scambiarsi il posto, a patto che l’equilibrio non cambi.
Anna porta questa maschera da animale, Michele invece è un cane umanizzato. Cosa è umano e cosa è animale? E ha senso questa divisione?
Osservando il mio cane ho capito che si tratta di un essere alieno, con una sua psicologia e un suo repertorio di scelte. È incredibile crescere un cane, trattarlo come un tuo pari, parlarci, ragionarci, persino litigarci, chiedergli consigli eppure riscontrare questa diversità e questo essere simili allo stesso tempo. Come se ci fosse un’energia che si distribuisce in modi diversi: ogni tanto ti incarni qui, ogni tanto ti incarni lì e però c’è un’intelligenza che muove tutto.
Michele, Anna e la termodinamica è (anche) un libro che parla di fantasmi. Tu credi ai fantasmi, in qualsiasi senso?
Io vivo in una casa antica piena di fantasmi e li vedo praticamente tutte le notti. Non è un problema questo per me, ci convivo. Mia nonna diceva che bisogna avere paura dei vivi e non dei morti e io l’ho sempre considerata un consiglio saggio. Bisogna aprirsi al mistero, anche perché una vita senza mistero che vita è?
Hai definito il tuo romanzo d’esordio La figlia di un libro “furbo”. Cosa intendi dire esattamente?
È un libro furbo perché lì per lì mi sembrava un libro sincero, invece no. Sembrava volessi raccontare la mia storia, ma non ho affatto raccontato la mia storia: che poi dai, ho sempre avuto dei dubbi perché in fondo non sono andata in guerra, non ho subito abusi quando ero piccola né da grande, perché avrei dovuto raccontare la mia storia? D’altra parte perché qualcun’altro dovrebbe farsi raccontare da te… alla fine mi sono ritrovata in una cosa che era un depotenziamento della mia vita e lì ho sbagliato, perché avrei dovuto andare fino in fondo e raccontare davvero un Natale della mia famiglia e non quello di una famiglia inventata. Sarebbe stato magari un libro poco o per niente necessario, ma sarebbe stato vero. In quel momento però non avevo ancora capito che devi scrivere anche le cose che qualcuno non vuol leggere, per esempio la tua famiglia. Ora sto scrivendo un romanzo che – sono sicura – le persone coinvolte non vorranno leggere. Qualche tempo fa ho deciso di battezzarmi, in realtà debbo ancora farlo ma attraverso un cardinale e un prete molto giovane sto facendo questa “sperimentazione di fede”, quindi un’esperienza di testi, di liturgia, di abitudine. Ovviamente rimanendo quella che sono: è semplicemente uno sguardo diverso sul mondo che include l’invisibile nel tuo quotidiano. Non è un problema di credere o non credere in Dio, soprattutto il Dio che magari volgarmente noi abbiamo conosciuto. Quello che cerco è il dio dell’invisibile, cioè quello che dà senso alle cose: il mistero, appunto. E io voglio avere un rapporto quotidiano con il mistero.