
Ericavale Morello nasce nel 1983 a Torino, dove vive e lavora. Diplomata alla Scuola Internazionale di Comics di Torino, dopo la laurea in Architettura al Politecnico ottiene un Dottorato di ricerca in Portogallo sul disegno a mano libera in relazione alla progettazione architettonica. Insegna Arte e immagine alla scuola secondaria di I grado. L’abbiamo raggiunta per scambiare quattro chiacchiere alla Bologna Children’s Book Fair 2023, dove presentava il suo ultimo albo illustrato.
Laureata in architettura, diplomata alla Scuola Internazionale di Comics, insegnante di arte ed illustratrice di albi illustrati. Tante anime in un corpo solo... ce n’è una in particolare in cui ti senti più a tuo agio?
Mi sento a mio agio quando riesco a non incasellarmi in uno stile e in una figura definita, quindi devo dire che la fluidità delle mie mansioni e del mio lavoro-passione mi permette di fare tutto con molta serenità e dedizione. Certo non è scontato che in un ambiente lavorativo estremamente strutturato come quello della scuola una figura come la mia sia sempre compresa. Sicuramente ogni aspetto dei lavori che faccio arricchisce la mia creatività e la mia voglia di fare, ricercare e migliorare. Adoro i giorni in cui mi posso dedicare completamente ai miei progetti, alla sperimentazione di tecniche e alle mie storie, ma amo anche moltissimo interloquire con i ragazzini e appassionarli agli argomenti che più amo.
Com’è nata la tua passione per l’illustrazione? Ti ispiri a qualcuno in particolare? Quali sono i tuoi maestri di riferimento? E la tecnica con cui lavori?
La mia passione per l’illustrazione ha origini nella pittura. Sono cresciuta con un papà appassionato di arte pittorica che ha riempito la casa di quadri, non sempre di facile comprensione per un bambino. Il corridoio della modesta casa in affitto in cui ho vissuto fino ai 12 anni era sostanzialmente una piccola galleria d’arte in cui mi soffermavo parecchio tempo a immaginare storie nei quadri. Parallelamente mi è sempre piaciuto disegnare, tantissimo, soprattutto colorare: nei quaderni delle elementari, già in prima, la maestra era incredula e scriveva ogni volta “una lode per il colore” o “una lode per il disegno”. Durante gli studi in architettura ho sempre mantenuto la pratica del disegno manuale finalizzato alla progettazione e ho concluso il percorso con una tesi di dottorato sullo schizzo come disegno di progetto in collaborazione con la FAUP di Oporto. Finiti gli studi ho continuato a sentire l’urgenza di disegnare per raccontare storie, e ho cominciato a credere di poter diventare illustratrice. La mia illustrazione rimane comunque figlia della pratica pittorica. Ho cominciato però a prendere in mano albi illustrati di qualsiasi genere e a studiarli e a fare tantissima ricerca per trovarmi dei riferimenti. Mi ispiro a tutti i grandi maestri del passato, alcuni ancora vivi per fortuna: quello che amo di più in assoluto è Quentin Blake, i suoi libri e le sue illustrazioni mi hanno fatto decidere di voler diventare illustratrice. Ma quando lavoro e progetto una storia ho sempre in mente Sendak, Tove Jansson (anche lei pittrice e illustratrice), Richard Scarry, Beatrix Potter… e insieme anche Picasso, Klee, Van Gogh e Chagall (pittori-illustratori). La mia è una tecnica pittorica istintiva e fluida, mista: utilizzo la gouache (tempera) per le basi e poi i carboncini, le matite colorate, i pastelli secchi, a olio e a cera. Anche la pittura ad olio. Non sono una purista della tecnica, lavoro per sovrapposizioni e ci sono alcune parti delle illustrazioni che lascio leggere e libere, altre diventano materiche e sporche, è come una partitura musicale in cui ritmo e tempi cambiano di continuo. Potremmo dire illustrazioni jazz? Non uso la matita (grafite) ma disegno direttamente con il pennello per essere più libera e trovare le forme in modo istintivo.
Il tuo primo libro Storie di Illustrastorie, è un manuale illustrato realizzato in collaborazione con Francesca Tancini che raccoglie 36 “ritratti narrativi” inediti di grandi autori e illustratori per l’infanzia. Com’è nata l’idea di realizzarlo? E come è stato il lavoro a quattro mani?
Ho avuto la fortuna di incontrare Francesca, grandissima esperta di storia dell’illustrazione, in occasione del concorso di illustrazione Notte di Fiaba, presso Riva del Garda nel 2019. Lei è ormai da diversi anni la presidente di Giuria (prese il posto del maestro Livio Sossi, proprio quell’anno) e io ricevetti una menzione speciale, con la possibilità di partecipare alla mostra allestita in occasione della premiazione. Ci trovammo subito molto bene e lei mi disse di aver molto apprezzato il mio lavoro, ricordo le sue parole: bravissima, vai avanti! Quando ci fu il lockdown per la pandemia di COVID-19 io cominciai a studiare maggiormente le vite dei più grandi illustratori della storia e, studiando le loro opere, cominciai a produrne dei ritratti particolari, accompagnati da una breve biografia. Ogni tanto ne pubblicavo qualcuno online: fu così che un giorno Francesca mi scrisse che le piacevano molto e mi propose di pensare ad un progetto comune in cui lei si sarebbe occupata di scrivere le biografie. Inutile dire che rimasi entusiasta della proposta e già nel mese di agosto cominciammo a produrre materiale che venne raccolto fino a dicembre quando decidemmo il nome di Storie di Illustrastorie e di pubblicare online il progetto: così nacque la pagina su Facebook e Instagram e fu subito un grandissimo successone. Il nostro desiderio era ovviamente quello di realizzare un libro e l’anno seguente arrivò anche il progetto cartaceo della cui grafica si occupò Massimo Pastore. Abbiamo lavorato benissimo, avevamo entrambe bisogno di questo progetto che abbiamo curato moltissimo sebbene non fosse una fonte di guadagno, ma amiamo così tanto quello che facciamo che ogni post era una festa e quando lei ha cominciato a propormi ritratti di illustrastorie meno noti ai più, quindi anche a me, ho avuto la possibilità di scoprire e studiare personaggi incredibili e indispensabili per la storia dell’illustrazione. Comunque la nostra “società” ancora esiste e abbiamo in mente di ampliare il progetto, ma non posso dire di più.
Alla Bologna Children Book Fair hai presentato il tuo secondo albo illustrato Vendesi casa d’artista in cui proponi un approccio a dir poco originale di raccontare l’arte attraverso i luoghi (concreti o immaginati) vissuti da 25 grandi artisti. Vuoi raccontarci come è nata l’idea alla base della sua realizzazione?
L’idea dell’agenzia immobiliare alla base di Vendesi casa d’artista risale al 2020. Nel settembre di quell’anno, mentre stavo lavorando a Storie di illustrastorie, ho pubblicato su Instagram il mio primo post di annuncio immobiliare. Stavo facendo il ritratto di Tove Jansson da cui mi è sorto spontaneo disegnare la casa dei Mumin e mentre disegnavo l’interno di questa casa mi sono fatta un po’ di viaggi e, a mo’ di scherzo, ne ho scritto l’annuncio di vendita inventandomi la descrizione gli ambienti; io scherzavo ma la gente mi ha lasciato risposte entusiaste come “me la compro io” etc etc. Così dopo qualche giorno ho tirato fuori l’annuncio della casa volante di Chagall (quello che ha fatto scattare la scintilla con l’editore) e della casa indipendente unifamiliare di Pollock. Con questi primi esperimenti ho realizzato che la cosa poteva essere molto divertente...per la casa di Pollock ad esempio il prezzo è trattabile per via delle macchie di colore ostiche da eliminare...insomma la descrizione degli immobili nasce dal voler ironizzare sul modo di fare arte dell’artista presentando da un lato i pregi (il prezzo è trattabile), dall’altro i problemi che rendono difficile il lavoro di vendita dell’agente immobiliare (la difficoltà del rimuovere le macchie di colore).
Il lavoro di ricerca sulle vere case di questi celebri artisti sarà stato sicuramente poderoso. Vuoi raccontarcelo? Sono tutte realmente esistenti le case di cui parli nel tuo albo?
Quando l’editore (Camelozampa ndr) si è innamorato della casa volante di Chagall e si è consolidata l’idea dell’albo, il lavoro di ricerca che avevo già iniziato ha avuto un nuovo slancio e da lì è iniziato un serio approfondimento perché l’idea voleva essere quella di variare un po’ le tipologie di immobili, non presentare solamente unità abitative indipendenti. Quasi tutte le case d’artista inserite nell’albo sono reali, oggi musei visitabili, e infatti nell’indice ne abbiamo inserito gli indirizzi. Ci sono alcune eccezioni come la casa volante di Chagall, la fattoria vicino a Duivendrecht di Mondrian (ispirata ad un suo dipinto), la casetta al mare con scialuppa di Hokusai, il covone di Van Gogh (che in realtà una casa visitabile ce l’avrebbe ma a me piaceva il covone perché era un monolocale particolare, più divertente). La cosa bella della ricerca che ho svolto è che mi si è aperto un mondo che non conoscevo assolutamente; ho così scoperto che esistono veri e propri tour delle case d’artista e che di case d’artista degne di nota ce ne sarebbero da riempire almeno uno se non altri due volumi. Tante le case che ho lasciato fuori ma mi sarebbe piaciuto inserire come il castello di Toulouse Lautrec, la casa di Rubens in Belgio, la casa di Monet a Giverny (i risguardi del libro sono le piastrelle della sua cucina!), la casa di Degas in America... Il fatto di lavorare a questo libro è stata anche la “scusa” per visitare quest’estate alcune di queste case (quella di Vincent Van Gogh ad Arles in Provenza e quella di Salvador Dalì a Port Lligat).
Vendesi casa d’artista è dedicato “A Rebecca e Cecilia, che mi hanno fornito le chiavi giuste”. Vuoi raccontarci chi sono ed i retroscena di questa dedica?
Rebecca e Cecilia sono le mie bambine, gemelle di otto anni. Una mattina stavamo facendo colazione e questo libro era già ben avviato ma mi arrovellavo su come risolvere la questione dell’indice... Alla base del libro c’è l’idea del gioco per cui, per ogni artista, si ha un indizio (le iniziali di nome e cognome e la data di nascita) e la descrizione del suo immobile che con il suo dire e non dire fa intuire chi sia l’artista ma non dà la soluzione; si pensava di svelare le soluzioni alla fine, in una sorta di indice con un disegno un po’ semplice ma comunque particolare, non banale, accompagnato dal nome dell’artista e da una sua breve biografia. Ero a corto di idee e quella della chiave è arrivata proprio dalle bimbe che quella mattina mi hanno portato un mazzo di chiavi di vario genere - alcune vere, altre finte e decorate con fantasie floreali o brillantini - che avevano raccolto per casa; me le hanno mostrate dicendo “Mamma guarda che belle le nostre chiavi” e da lì ho detto “Chissà che porte aprono” e così è arrivata l’idea delle chiavi che ho poi proposto a Camelozampa. Mi sono messa lì un pomeriggio e per ogni artista ho creato diverse versioni di chiavi, che in questi giorni sono esposte alla mostra Vendesi casa presso Anonima Impressori (Bologna); è stato molto divertente trasformare il linguaggio di ogni artista in una chiave che li richiamasse.
Il passaggio dalla sola illustrazione ad occuparsi anche della parte testuale è stato difficile o una sorta di evoluzione naturale?
Occuparmi della parte testuale è stato naturale ma è inutile negare che sono stata guidata e supportata dagli editori e dal grafico Massimo Pastore: devo ammettere che i testi erano leggermente più lunghi ma - grazie al fatto che mi hanno dato un limite di battute da rispettare - a essere protagonista, come è giusto che sia, è l’immagine. Gli editori mi hanno lasciato estrema libertà, sono stata assecondata in tutte le mie freddure e pazzie, zero censura, mi hanno offerto una mano per accorciare i testi ma non sono intervenuti direttamente perché non volevano togliere frasi a cui io tenessi particolarmente... Molto importante anche il lavoro del grafico che ha scongiurato il rischio di avere solo un insieme di immagini ed invece è riuscito a dare al tutto l’aspetto di veri annunci. Abbiamo dovuto eliminare tantissime case perché io sarei voluta andare avanti ad oltranza, è stato il buon senso degli editori a dare all’albo la sua giusta dimensione.
Oltre che autrice ed illustratrice sei anche insegnante di Arte quindi la domanda sorge spontanea: Vendesi casa d’artista è una trasposizione del tuo modo di insegnare o la realizzazione su carta di una modalità di insegnamento che in classe è difficile adottare? A scuola si riesce ad essere così fuori dagli schemi?
In classe cerco di essere fuori dagli schemi perché per i ragazzi delle medie seguire il libro è noioso, non è accattivante perché trovano la teoria difficile. Per imparare i ragazzi devono avere le mani in pasta quindi quando possibile propongo loro attività pratiche a cui poi collego la teoria o viceversa parto dalla teoria per passare alla pratica. Cerco poi di assecondare il loro interesse per gli aneddoti e di quelli ce ne sono tantissimi che è bello raccontare, i ragazzi ricordano proprio quelli e me li scrivono sempre nelle verifiche. Alcuni li ho scoperti proprio nella ricerca per questo libro e nel libro sono citati. Ad esempio, sapevi che Caravaggio bucava i tetti per avere il fascio luminoso come voleva lui? A riprova di ciò, c’è un atto notarile con cui viene sfrattato da un appartamento in Vicolo del divino amore 19 (Roma) in cui la proprietaria Prudenzia Bruni si lamenta del danno al tetto, oltre che del fatto che non pagava l’affitto! Oppure sapevi che Munch ha vissuto in una casetta semplice, in un paese sul fiordo norvegese, con la compagna ballerina dai capelli rossi oggetto della maggior parte dei suoi dipinti femminili? E che proprio mentre vivevano insieme in questa casa c’è stata una lite che è finita con uno sparo da parte di lei che gli è costato il dito medio della mano sinistra? Da lì il fatto che l’immobile è sotto sequestro e quindi per il rogito bisogna aspettare un po’ di tempo... Io ho giocato, mi sono divertita ma nel mantenere un registro ironico ho utilizzato fatti veri; ho scelto questo approccio perché con la mia esperienza personale ho effettivamente visto che si può giocare ed ironizzare, dando allo stesso tempo informazioni reali di tipo teorico-pratico sull’arte e che queste vengono recepite efficacemente.
Vendesi casa d’artista è un albo di cui grandi e bambini possono godere in autonomia ma può anche essere un prezioso strumento per gli insegnanti per proporre percorsi didattici originali. Hai già qualche idea al riguardo?
Ho raccontato ai miei studenti che sarei venuta alla Bologna Children Book Fair per presentare questo libro perché sarei stata assente una settimana; ho anche anticipato loro l’argomento spiegando che secondo me la storia dell’arte può essere spiegata anche con argomenti che apparentemente sembrano centrare poco. Alcuni di loro si sono mostrati interessati quindi credo proverò a usarlo in classe ma soprattutto spero che proveranno ad usarlo alcuni colleghi. Sono convinta che la storia dell’arte possa essere insegnata anche alle medie, non solo alle superiori come si faceva una volta, soprattutto se si usano gli aneddoti e le cose buffe come ad esempio la merda d’artista. Per quanto riguarda l’ipotesi di proporre questo libro alla fascia di età della scuola primaria, lo vedo fattibile e mi immagino dei laboratori in cui si propongano delle aste, ad esempio facendo vedere ai bambini dei dipinti iconici che possono avere già depositato nel loro immaginario con le attività proposte a scuola. Oppure proporre una sorta di gioco delle chiavi che, partendo dall’indice, preveda di andare indietro a cercare nel libro la corrispondenza con le case per similitudine di stile. Pretendere che alla loro età capiscano l’annuncio ed i suoi concetti ironici è un po’ tanto...
Dopo questo albo che è un inno alla bellezza ed all’ironia hai già qualche altro progetto in cantiere? Vuoi raccontarcelo?
Grazie per questa definizione! Sì sì, in realtà ho già quattro progetti pronti in cerca di “casa” editrice, considerando però la possibilità di apportare le modifiche o variazioni necessarie da discutere con l’eventuale editore. Sto già lavorando ad un altro grande progetto mio che vedrà la luce nel 2025 e diverse storie nuove, alcune mie, altre di diversi autori: devo dire che il lavoro non mancherà e avrò molto da divertirmi.