
Erika Fatland, antropologa svedese classe 1983, ci ha abituati alle scoperte gentili, ci ha introdotti con premura lungo i confini della Russia e ora sulle cime più alte del mondo. Partecipa all’edizione 2022 del Festival Letteratura di Mantova e la incontro proprio fuori dal suo hotel: il suo volto è rassicurante come la sua narrazione, o forse il contrario; la sua disponibilità cela un’elegante curiosità per chi ha di fronte. Ci sediamo in un bar vicino la Rotonda di San Lorenzo a parlare.
I tuoi libri raccontano la storia del mondo attraverso le storie che popolano il mondo. La prima domanda è legata non soltanto al titolo di un tuo libro, ma al filo conduttore che mi pare accomuni tutti i tuoi libri, il confine. Quanto sono veri e reali i confini tra i popoli e quanto è importante mantenerli? Sono davvero dei vincoli fisici o sono soltanto delle invenzioni dell’uomo? Per come ho letto il tuo libro, l’Himalaya per esempio non è tanto una frontiera, ma è un lungo percorso che unisce dei popoli dividendoli…
È una domanda davvero difficile, a cui è complicato rispondere. Ho sempre trovato i confini estremamente affascinanti: attraversare la frontiera di un Paese è una delle esperienze più affascinanti che si possono provare, perché il viaggio che devi compiere per attraversare un confine, per quanto possa essere breve, ti porta davanti ad un paesaggio che sembra lo stesso, ma in realtà tutto è differente. Lingua, riferimenti, soldi, alfabeto: tutto differente. E normalmente hai poco tempo per abituarti a quel cambiamento: quando sei fra i due confini sei come in un Limbo, e ti guardano con sospetto, perché stai entrando nel loro Paese, controllano le valigie, controllano il passaporto. Si tratta molto spesso di una procedura abbastanza lunga e ti rendi conto che anche se i confini sono artificiali, questi confini esistono. Oggi il mondo sembra diventare sempre più piccolo, perché soltanto pochi hanno i soldi ed i passaporti per poter viaggiare da un Paese ad un altro, mentre per altri, la maggior parte, diventa difficile attraversare i confini. Questo è quello che succede anche fra Paesi vicini, come quelli attraversati dall’Himalaya: prima che il Pakistan e l’India si dividessero, era facile per le carovane attraversare le montagne e andare dall’India alla Cina, oggi è tutto reso complicato dalla situazione geopolitica. Perciò i confini sono un’invenzione della politica.
Hai visitato l’Asia in lungo ed in largo: pensi che lì ci sia il nostro passato o il nostro futuro? o semplicemente è un presente che fatichiamo ad accettare?
Uh, un’altra domanda molto difficile. Provo a risponderti. Se diamo un peso ai dati demografici, è chiaro che India e Cina sono Paesi estremamente importanti, del resto l’India sta diventando, se non lo è già, il Paese più popolato nel mondo. Tuttavia di recente ho cominciato a lavorare ad un nuovo progetto, in Africa: ho lasciato la mia comfort zone per studiare delle terre che sono state sotto la dominazione portoghese nel continente africano, in particolare i territori e le ex colonie del Portogallo.
Verrebbe da dire che anche attraversando confini naturali come i Pirenei o le Alpi è possibile trovare differenze e peculiarità significative…
Ho viaggiato molto in Italia ed ho conosciuto realtà molto diverse fra di loro, con tratti distintivi identitari molto marcati, ma anche all’interno delle stesse città è possibile trovare stratificazioni di tradizioni molto diverse fra di loro. L’ho sperimentato a Bologna, dove mi sono imbattuta in tre-quattro piatti molto diversi fra di loro.
I tuoi libri sembrano ruotare intorno alla Russia, protagonista assente di molti di questi viaggi: qual è il rapporto della Russia con l’Asia?
Il tema è molto attuale. Molte persone si sono chieste in passato quali differenze ci sono fra l’Ucraina e l’Europa e la Russia. Ancora una volta la differenza è data dall’Asia: l’Ucraina è completamente circondata dall’Europa, mentre la Russia occupa per lo più il territorio asiatico, ma ha subìto la dominazione dei mongoli dall’XI-XIII secolo, questo è il motivo per cui i russi stessi faticano a sentirsi asiatici o europei, si definiscono russi e basta.
Hai iniziato la tua attività di ricerca interessandoti della Strage di Beslan: quanto è stato importante partire da lì? Cosa ti ha insegnato? Cosa avrebbe dovuto insegnarci di Vladimir Putin?
L’eccidio di Beslan che è costato la vita a centinaia di bambini ci ha mostrato il vero lato della leadership di Putin che non è un politico folle, ma cinico e brutale: ha costruito la sua autorità con una guerra sanguinosa in Cecenia, facendo saltare in aria le case dove la gente viveva pacificamente, con la scusa di combattere il terrorismo; è stata una guerra voluta e provocata, ma soprattutto controllata grazie ai media, una guerra con la quale Putin ha fatto crescere la sua popolarità. Se analizzi quei fatti hai la conferma che Putin è un leader brutale.
Conoscere gli altri popoli ci serve per crescere e migliorare o necessariamente per sopravvivere?
I miei libri sono un modo per fotografare una situazione in quel determinato momento: i cambiamenti a cui ci sta costringendo la globalizzazione sono continui e repentini. I miei libri sono un modo per preservare dalla cancellazione della comunicazione attuale, veloce e tecnologica, dei costumi e delle tradizioni che rischiano di perdersi: stiamo assistendo alla scomparsa di lingue e costumi di molti popoli. Quindi è un modo per ricordarci come quei popoli che ho incontrato vivevano, è un modo per scoprire, o piuttosto riscoprire, come vivevano quei popoli.