
C’è un’allure che avvolge tutto quello che ha a che fare con la casa editrice Iperborea che va oltre la qualità indiscussa delle sue pubblicazioni (con il loro particolarissimo formato), del loro incessante lavoro di comunicazione. Qualcosa che ha più che ha che fare con l’essenza stessa di una casa editrice che riesce a trasformare tutto quello che tocca in pura bellezza e a offrire questa bellezza, intatta, ai suoi lettori o agli addetti ai lavori. Pertanto, quando sotto una pioggia battente e senza tregua mi avvio a piedi verso l’hotel torinese dove è stata fissata la mia intervista con Esther Kinsky il mio animo è grato per queste piccole e importanti soddisfazioni che scrivere per Mangialibri spesso mi concede e perché intervistare gli autori di Iperborea, per me, è sempre una esperienza sublime. Esther mi aspetta nell’ampia, asciutta ed elegante hall dell’hotel, arredata con auto d’epoca e divanetti dalle sfumature vivaci, e anche se ha l’aspetto della persona introversa e riservata mi accoglie con un gran sorriso. Io ricambio il sorriso e abbraccio Francesca dell’ufficio stampa. In quell’abbraccio c’è tutto l’affetto e la gratitudine per il regalo di questa intervista esclusiva che ora posso regalare a mia volta ai lettori.
Esther, come hai scelto i sette protagonisti del tuo Rombo?
In realtà sono liberamente ispirati alle tante persone che ho conosciuto e incontrato durante le mie ricerche, i miei sopralluoghi e nel momento stesso che ho deciso di scrivere questo libro. Non esistono realmente tutti, ma ognuno ha qualcosa di reale a suo modo e che riporta o ricorda qualcuno che esiste o è esistito sul serio o che mi è stato riportato anche attraverso conversazioni di altre persone. I sette protagonisti vengono da un processo creativo, ma lo stesso processo è frutto di studi e chiacchierate reali, concretissime.
Il tuo libro in alcune pagine mi ha ricordato le pellicole di Peter Weir, nelle quali la natura è viva, quasi un altro personaggio in grado di pensare, agire, decidere. E in alcune pagine è come se tu, quasi, le volessi dare la colpa di tutto, mentre gli scienziati e gli studiosi di tutto il mondo proprio in questo momento storico non fanno altro che puntare il dito sull’uomo e sul suo operato, causa degli sconvolgimenti naturali. Tu cosa ne pensi?
È più fatalismo quello che ho cercato di esprimere, in realtà. Io non credo che la natura sia in grado di prendere decisioni o di comportarsi in un modo anziché in un altro. La natura fa il suo corso, nel bene o nel male. Dal canto loro, gli stessi abitanti dei quei posti, dei luoghi di cui io parlo, possono fare ancora meno. Sanno di vivere in un territorio che può essere soggetto a terremoti e che i terremoti non si possono prevedere in alcun modo e dunque sì, nel mio libro c’è tanta natura ma non ha colpe, come non hanno colpe gli uomini che quella natura la abitano. C’è più rassegnazione che colpa in quello che descrivo.
Il tuo è anche un libro di “memoria”. La memoria delle persone che hanno vissuto il terribile terremoto del 1976 e la memoria di chi scrive. Come hai fatto a coniugare le due cose? Quale è stato il punto di congiunzione tra queste persone e te, se ne esiste uno?
Io sono straniera, sono arrivata in Friuli e ho cercato di farmelo raccontare da chi ci ha sempre vissuto, da chi ci è nato e quindi, soprattutto, ho cercato un modo che mi permettesse di avvicinarmi agli abitanti e farmi raccontare da loro la loro terra. Forse l’unico punto di congiunzione vero tra me e loro è stato quando ho scoperto in una antica chiesa le iscrizioni dei pellegrini che erano passati da quel luogo e che avevano lasciato la loro firma e il loro nome perché volevano essere ricordati. Io penso che tutti vogliano essere ricordati, a ognuno di noi piacerebbe essere ricordato. Per questo ho inserito la descrizione di questa mia scoperta nel libro, così da creare un punto di congiunzione tra le varie “memorie” che appartengono tutte al medesimo territorio.
La tua è una prosa molto classica, una prosa che fa pensare ai romanzi ottocenteschi, pieni di descrizioni. E quindi ti chiedo: quali sono stati i libri o gli scrittori che ti hanno ispirata di più?
La verità è che i libri non mi hanno mai ispirato. Certo, ci sono stati autori che ho preferito ma se dovessi pensare a me come “recipiente” allora dico senza dubbio che sono stati più i film e le impressioni visive a plasmare il mio stile. Ad esempio le immagini che raccolgo durante le mie lunghe camminate o le mie escursioni poi mi sono di grande ispirazione quando mi metto a scrivere. E quindi il mio stile e la mia scrittura sono, sostanzialmente, frutto di quello che guardo e che mi rimane impresso più che di quello che leggo o di chi leggo.
Se dovessi dare un solo colore a Rombo che colore sceglieresti e perché?
Indubbiamente sceglierei il colore della pietra. Tutto il libro parla di pietre, dalle lapidi del cimitero a quelle delle antiche chiese, fino a quello delle case sventrate e delle macerie lasciate dal terremoto.