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Intervista a Fabian Negrin

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Nato in Argentina e laureato in grafica in Messico, Fabian Negrin si è trasferito in Italia nel 1989 e nel nostro Paese ha sviluppato la sua prolifica carriera di grafico, illustratore ed autore con cui ha ottenuto svariati riconoscimenti, tra cui il Premio Andersen come miglior illustratore. Da anni lavora principalmente nell’ambito dell’editoria per ragazzi. Lo abbiamo raggiunto allo stand Giunti durante la Bologna Children Book Fair 2023, e qui abbiamo scambiato quattro chiacchiere sul suo percorso artistico, sul suo ultimo libro pubblicato e sulla sua prossima pubblicazione.



Sbirciando nella tua biografia si nota il passaggio dal creare illustrazioni per accompagnare articoli giornalistici all’attuale lavoro di illustratore e scrittore di libri per bambini e ragazzi. Vuoi raccontarci qual è la molla che ti ha spinto al cambiamento e come è avvenuto il tuo incontro con il mondo della letteratura per l’infanzia?
L’avvio della mia carriera di illustratore, prima in Messico e poi in Italia, è stato proprio su riviste e giornali. È stata una scuola molto importante: lo spaziare tra temi e riviste completamente diversi mi ha permesso di imparare tante tecniche e di saltare dall’una all’altra senza problemi, anche perché nelle riviste nessuno chiede mai che un disegno sia uguale al precedente. Ero giovane e lavoravo molto velocemente perché le consegne di quotidiani e settimanali sono molto serrate. Costante la sensazione di non finito: il tempo era poco ed anche se mi sembrava di non aver completato un’illustrazione la dovevo consegnare lo stesso ed il giorno dopo era già in edicola. Ad un certo punto ho realizzato che di tutto quel lavoro non restava niente, era come buttare i disegni dalla finestra. Da quel momento ho privilegiato il lavoro di illustratore con le case editrici; il risultato è stato quello di rallentare (pensate che ora sono capace di dedicare un mese ad un’immagine) e di passare da un lavoro estensivo ad uno di profondità. Dopodiché il passaggio dalla sola illustrazione al dedicarsi anche alla scrittura è stata un’evoluzione naturale.

Ci sono illustratori che si distinguono per il loro tratto/stile caratteristico mentre tu hai come tratto distintivo proprio quello di cambiare segno e tecnica da libro a libro, in alcuni casi anche da pagina a pagina all’interno dello stesso libro. Come ci hai appena raccontato, sicuramente i tuoi trascorsi da illustratore per giornali e riviste ti hanno spinto in questa direzione, ma credo ci siano anche altre motivazioni... o sbaglio?
Io non ce la faccio a rimanere uguale. È il volere l’uomo e la gallina, non solo un’illustrazione bella ma anche dallo stile coerente a ciò che vuole rappresentare. Esempio emblematico di questa mia scelta l’approccio che ho utilizzato per Le amiche che vorresti e dove trovarle, una raccolta di ventidue ritratti (breve biografia + illustrazione) di eroine letterarie. Qui ciascuna protagonista femminile è ritratta attraverso uno stile molto diverso, coerente con i tratti del personaggio o con il periodo in cui ha vissuto: Bradamante con un acquerello che ricorda gli affreschi ariosteschi quattrocenteschi, Jo di Piccole donne con un bianco e nero più libero, Pippi Calzelunghe con uno stile che riprende Andy Warhol per similitudine con la sua modernità...

Ti capita mai di tornare ad aggiungere cose alle immagini che hai creato per un libro o “quando è finita è finita”?
È il disegno stesso che dice basta, non l’orologio; ad ogni immagine dedico il tempo che è necessario. Poi quando arrivo al termine del lavoro su un libro, ripercorro le immagini nel loro complesso e se noto che manca qualcosa o vedo qualcosa che può essere migliorato mi capita di ritoccare dei dettagli ma nella maggior parte dei casi quando dichiaro un disegno finito è finito... anche perché c’è tutto il tema della palette di colori che al termine del lavoro pulisco, quindi fare modifiche importanti diventa complicato.

Lunghi tratti della tua carriera sono condivisi con le fiabe; si spazia dall’illustrazione di raccolte complete di fiabe classiche alla riscrittura o reinterpretazione in chiave moderna delle fiabe della tradizione. Si tratta di un caso o dello sviluppo di un vero e proprio interesse personale? Non c’è niente da fare, per me le fiabe ed i miti sono le migliori storie che abbiamo! Quello delle fiabe è un materiale letterario di prim’ordine che mi dà una quantità tale di immagini che non ho problemi a sapere cosa devo disegnare o a fare cose eccentriche. Mi sono dedicato tanto alle fiabe, in effetti si può dire che quello delle fiabe è il mio territorio. Ho iniziato a lavorare molto sulle fiabe con Donzelli per cui ho illustrato vari volumi tra cui le raccolte dei fratelli Grimm e di Hans Christian Andersen; più recentemente, per Mondadori, ho illustrato una nuova versione di Giufà e la statua di gesso di Italo Calvino, pubblicata per celebrare i 100 anni dalla sua nascita.

Veniamo a Mitomalia, l’ultima raccolta pubblicata con Giunti che ti vede sia come curatore del testo che delle illustrazioni. In apertura dell’albo, un planisfero in cui sui continenti sono riportati i 25 miti che hai scelto di descrivere e di illustrare. Scorrendoli basta un attimo per accorgersi di conoscere solo alcune di queste storie, quelle parte del patrimonio della civiltà occidentale mentre tutte le altre ci portano lontano da ciò che ci è familiare. Vuoi raccontarci come sei arrivato a scegliere proprio questi miti e non altri?
Quello fatto con Mitomalia è un viaggio attorno al mondo che inizia in Nuova Zelanda e fa tutte le Americhe, l’Europa, l’Africa, l’Asia per finire in Australia. Da ovest ad est e da nord a sud... un viaggio attorno al mondo in 25 miti, alcuni più noti per noi europei ed altri non. Quello che abbiamo deciso fin dall’inizio con Beatrice Fini (direttore della divisione area ragazzi Giunti) è che doveva essere un libro dei miti del mondo... un grano di sabbia insomma visto che si potrebbero fare 3-4 libri solo sui miti Maori o Selk’nam, una delle ultime tribù estinte in Argentina. Alcuni miti sono stati scelti per un mio personale valore affettivo: io sono argentino e ricordo ancora che, quando avevo più o meno dieci anni, è morta una delle ultime donne Selk’nam (Angela Loij, maggio 1974) quindi per me i Selk’nam sono molto importanti anche se nell’economia mondiale sono pochissimi, praticamente estinti. Un loro mito non poteva mancare. Altri miti sono stati scelti per la loro bellezza: il Minotauro è il primo che ho disegnato e scritto, è uno dei miti più belli per me, quindi era chiaro che doveva esserci. Alcuni miti erano ineludibili, insomma: altri sono usciti leggendo tantissimi libri di ogni mitologia e sono stati selezionati in funzione della storia. Dire che ho voluto scegliere storie belle è ridondante, i miti sono storie che l’uomo ha tramandato in primis oralmente e poi con le prime forme di scrittura (penso a Gilgamesh sulle tavolette di argilla); hanno millenni di storia, per forza sono belle altrimenti l’uomo le avrebbe lasciate indietro, penso che tutte le storie noiose o non abbastanza belle siano andate perse o siano diventate un piccolo inciso in altri miti.

La struttura del libro è molto ben definita: a parte alcune eccezioni, la pagina di sinistra contiene il testo, quella di destra l’illustrazione. Quanto è stato difficile condensare un intero mito in un’unica immagine? Quali sono gli elementi del mito che ti hanno maggiormente stimolato nel creare l’immagine rappresentativa?
Come schema grafico quello di Mitomalia è la continuazione de l’Alfabetiere delle fiabe, con le fiabe in uno i miti nell’altro ma lo schema di impaginazione è lo stesso ovvero quasi sempre solo un’immagine a racconto. Per il mito Inuit l’immagine che ho creato è una sorta di riassunto che include tutti i personaggi, l’ambientazione, il paesaggio e parte dell’azione (il corvo che con uno stratagemma riesce a portare il sole agli Inuit)... insomma un’immagine in cui troviamo tutti gli elementi del mito. Stessa cosa per le fatiche di Ercole: nella doppia pagina ho voluto includere un simbolo per ciascuna delle dodici fatiche. Per altri miti l’immagine rappresenta una scena molto potente che magari corrisponde ad un piccolo tratto di testo; ad esempio per illustrare il mito dei piedi neri ho scelto il personaggio principale che lotta contro sette cicogne. Alcune immagini sono più metaforiche, per dire Orfeo canta delle rose, metafora del canto meraviglioso e Sàngo con i piedi sui due continenti Africa e America è metafora della tratta degli schiavi. Ci sono immagini che rappresentano una particolarità (ad esempio ne Il volo di Icaro vediamo la prima piuma che si stacca dalle ali), altre che rendono visibile agli occhi cose che si apprezzano normalmente solo con altri sensi (nel mito di Eco e Narciso troviamo una personificazione dell’eco della voce) ed altre ancora che cercano di cogliere la realtà così come è ancora oggi (nel mito del Dio dalla testa di elefante ho cercato di rappresentare l’India che ho visto con i miei occhi, anche se col senno di poi avrei potuto aggiungere un elemento più contemporaneo come i motorini). Anche in questo libro, a seconda dei casi, ho scelto di utilizzare tecniche e stili diversi: ne L’anello dei Nibelunghi c’è il puntinismo, nel mito Tuareg (Stelle sulla sabbia) mi sono divertito lavorando con l’aerografo che butta piccole goccioline sull’immagine rendendo bene il notturno, ne Le fatiche di Ercole ho rubato il soffitto di Giotto della cappella degli Scrovegni e creato un’immagine che ricorda i soffitti delle ville seicentesche. Tutte immagini senza tempo in ogni caso, esattamente come i miti.

E la copertina di un libro invece, come si sceglie?
La copertina di Mitomalia è stata scelta alla fine. Inizialmente doveva essere l’immagine che è poi andata nella quarta di copertina (un narratore ed un gruppo di ragazzini in cerchio attorno al fuoco), un’immagine più didascalica, forse più per bambini... l’immagine scelta alla fine è quella del mito giapponese sicuramente attraente per via della bellezza dei due personaggi ed è più crossover.

Da autore e illustratore com’è vedere la prima copia del proprio libro stampato?
Tante volte l’arrivo della prima copia del libro è straniante non perché sia diverso da come lo si è fatto ma perché magari lo si è immaginato un po’ in un altro modo. Sembrerà una sviolinata ma sia con Alfabetiere delle fiabe che con Mitomalia non è stato così, entrambi erano uguali a come li avevo immaginati, perfetti, con una cura editoriale straordinaria.

Vuoi anticiparci se sei già al lavoro su un’altra opera?
Sì, lo sono. Con Giunti sto lavorando al romanzo di Bambi. Scritto da Felix Salten, quest’anno compie cent’anni, e non solo è molto meno conosciuto del cartone animato di Walt Disney ma è anche piuttosto diverso sebbene entrambi siano a mio parere due capolavori: il film Disney a me piace moltissimo ma il romanzo - che non è una semplice narrazione per l’infanzia (tratta un trauma universale, la morte della mamma) - è straordinario. Me ne sono reso conto leggendone una versione illustrata degli anni ’50 che fa parte della mia collezione di libri di vecchi illustratori e quindi l’ho proposto all’editore Giunti. Il libro - la cui uscita è prevista per Natale - avrà un formato simile a quello de Le amiche che vorresti e dove trovarle e conterrà sia una sessantina di schizzi fatti a pastello ad olio per dare un’impressione di freschezza che ritratti molto più finiti dei diversi personaggi: Bambi (piccolo, adulto e vecchio), la volpe, lo scoiattolo…

I LIBRI DI FABIAN NEGRIN