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Intervista a Flaviano Bianchini

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Un incontro con un vecchio amico tra i corridoi affollati del Pisa Book festival 2015 è stata l’occasione per farmi conoscere un libro strepitoso “di quelli che piacciono a te”, come mi ha suggerito lui con la sicurezza tipica di chi ti conosce da tempo. Leggerlo tutto d’un fiato è stato tutt’uno con volerne intervistare l’autore.




Ci sono poche righe di biografia sulla quarta di copertina del tuo Migrantes, appena sufficienti per intuire che non sei solo un giornalista o un appassionato attivista, ma che hai fatto della causa latinoamericana un mestiere. Ci racconti di cosa ti occupi e come sei arrivato ad occupartene?
Nel novembre del 2005 venni in contatto con un’attivista guatemalteca che si occupava dell’inquinamento e delle violazioni dei diritti umani provocate dalle industrie minerarie nel suo paese. La sua posizione era molto forte ma completamente carente di dati e prove. Così mi proposi di aiutarla. A dicembre mi laureai, a gennaio raccolsi 7.500€ e a febbraio partii per il Guatemala. Spesi poi l’anno successivo a raccogliere prove sull’inquinamento delle miniere in Guatemala, Honduras e El Salvador. Dopo poco più di un anno venni espulso dal Guatemala dopo aver vinto un processo contro una compagnia mineraria. Tornai in Italia a studiare e continuai con progetti simili in altri paesi. Tre anni fa ho poi fondato Source International, un’organizzazione che difende le comunità indigene di tutto il mondo contro gli abusi delle grandi industrie.

Hai affrontato un viaggio pericolosissimo , non solo hai rischiato di morire ma liberandoti del passaporto hai rischiato di farlo nel più totale anonimato, senza che nessuno sapesse cosa ti fosse successo. Mentre è facile capire perché i tuoi compagni di viaggio abbiano affrontato un rischio simile, non posso fare a meno di chiedermi perché lo abbia fatto tu. Non può essere stato solo per “scriverci un libro”…
E invece è proprio per scriverci un libro. Nessuno aveva mai raccontato quel viaggio prima di me. Migliaia di persone percorrono quei cammini ogni anno, ma nessuno lo aveva mai messo nero su bianco. Quando mi accorsi di questa cosa decisi che dovevo farlo io. Qualcuno doveva pur raccontare al mondo quella situazione. Io ero nelle condizioni di poterlo fare e l’ho fatto. In un certo senso “non potevo sottrarmi”.

Porzioni sempre più ampie di pianeta sono indisponibili o inospitali o insalubri per le persone che le abitano. Pensi che sia più verosimile immaginare di poter contenere le ondate di umanità in transito con muri, cavalli di frisia, frontiere o immaginare di poterle accogliere tutte, ridistribuendo razionalmente le nostre risorse come facevate voi sui treni?
Io credo che barriere, muri, pattugliamenti, frontiere siano tutti inutili. Quello che si sta tentando di fermare è un processo naturale che è stato costante per tutta la storia dell’umanità. L’essere umano è sempre migrato, si è sempre spostato. Due milioni di anni fa siamo scesi dagli alberi e ci siamo messi a camminare per spostarci su grandi distanze, per migrare. E abbiamo continuato a farlo per tutta la storia della civiltà. Il mediterraneo è stata la culla della civiltà moderna per il semplice fatto che decine di popoli diversi lo solcavano trasportando e connettendo geni e idee. E gli Stati Uniti, quello che viene considerato il Paese più moderno del pianeta nasce da una migrazione continua. Erano migranti Gesù di Nazareth e Maometto, Che Guevara e George Washington, Einstein e Hemingway, Abramo Lincoln e Victor Serge, Lenin e Maradona. È solo negli ultimi 50 anni che si è voluto mettere un freno ad un fenomeno che è nella natura umana. Potremmo costruire altri muri e altre barriere ma nessuno potrà mai veramente fermare un qualcosa che è completamente naturale.

Hai mai tentato di sapere cosa ne è stato delle persone che hai incontrato: Juan, Wilmar, Rueben, il signor Perez, il colombiano, il ragazzino ottimista?
Ho tentato, sì. Ma senza riuscirci. Una delle differenze principali tra la migrazione euroasiatica-africana e quella americana è che negli Stati Uniti non esiste nessun diritto di asilo e nessuna maniera di legalizzazione per i migranti (ad eccezione dei cubani che possono chiedere asilo). Quindi i migranti una volta che raggiungono gli USA sono costretti a nascondersi e, in qualche modo, a far perdere le loro tracce.

Quali pensi che siano le prospettive di sviluppo per il Messico? Hai fiducia nelle capacità delle nuove forze di governo di emanciparlo dalla servitù agli Stati Uniti o pensi che non vi sia un reale interesse ad uscire da un’area di influenza che porta nel Paese immense ricchezze anche se per pochi?
Anche se la maggior parte dei messicani non è d’accordo io credo che la maggior parte dei problemi del Messico derivino dal Messico stesso. Dare sempre la colpa al vicino ingombrante è un voler semplificare le cose. La corruzione, il narcotraffico, la criminalità, hanno origine nel rapporto Messico-USA ma sono sviluppati e cavalcati da bande criminali messicane. Credo che il cambiamento se ci sarà dovrà avvenire da dentro il Messico. Purtroppo però attualmente vedo pochi movimenti in grado di promuovere un vero cambiamento. Ho sperato (lo scrissi anche) che il massacro di Ayotzinapa potesse segnare un punto di svolta, una sorta di miccia per far scattare la ribellione al sistema (un po’ come fu per gli omicidi di Falcone e Borsellino in Sicilia) ma, dopo un iniziale impeto, anche quel movimento è piano piano scemato.

Il libro si chiude a una cabina telefonica di Tucson. Sono curiosa di sapere cosa hai fatto subito dopo essere arrivato lì: eri sporco, cencioso, senza documenti e senza soldi, come te la sei cavata nell’attesa che arrivasse il passaporto?
Il passaporto è arrivato meno di 24 ore dopo. Quelle 24 ore le ho passate in un parco pubblico. Poi ho finalmente ricevuto il passaporto e con esso la carta di credito. La maggior parte della gente a cui lo ho raccontato mi ha detto: “sei andato a farti una doccia!”. La mia risposta è “si vede che non hai mai avuto fame”. La prima cosa che ho fatto una volta recuperati i soldi è andare a mangiare.

I LIBRI DI FLAVIANO BIANCHINI