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Intervista a Fouad Laroui

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Fouad Laroui è uno dei miei autori preferiti, il suo Une année chez les françaises mi ha conquistata da molto prima che fosse pubblicato in italiano. È un intellettuale molto colto, educato nel prestigioso liceo francese Lyautey in Marocco, laureato in Ingegneria in un altrettanto prestigiosa École parigina, ha un dottorato in Economia a Londra, vive ad Amsterdam dove insegna all’Università. Lo incontro grazie ai buoni uffici del suo editore italiano, Del Vecchio, nella cornice del Pisa Book Festival dove è venuto a presentare il suo ultimo romanzo. L’idea di sfoderare il mio sferragliante francese davanti a un uomo perfettamente fluente in cinque lingue, insignito de la Grande Médaille de la Francophonie de l’Académie Française, oltre che del Goncourt de la nouvelle, mi dà le palpitazioni, decido di proporgli domande in inglese alle quali può rispondere in francese. Finiamo per viaggiare costantemente tra le due lingue e imbastire una divertente conversazione in franglais.




Il Marocco è un Paese con una forte tradizione letteraria, anche perché, con la sua drammatica bellezza e le sue estreme contraddizioni, è perfetto per la Letteratura. Ma sembra che a parte Nagib Mahfuz e pochi altri, i migliori scrittori siano quelli fuori dal Paese. Pensi che sia dovuto alla censura o al fatto che la distanza fa acquisire una migliore prospettiva?
A dir la verità la censura al giorno d’oggi è veramente minima e ci sono alcuni ottimi scrittori in Marocco che scrivono in francese, arabo, persino in spagnolo, ma hai ragione sul fatto che gli autori più conosciuti sono quelli che vivono all’estero, in particolare in Europa, a Parigi in particolare. Parigi resta il centro culturale, letterario d’Europa ed in particolare per chi scrive in francese è molto difficile essere preso sul serio se non pubblica a Parigi. Quindi, innanzitutto c’è una ragione pratica. Si è scritto molto sull’importanza di Parigi per la legittimazione degli autori francofoni d’oltremare. Sul secondo punto hai pienamente ragione, hai colto la ragione che secondo me sta dietro il nostro successo: la distanza. Per uno scrittore la distanza dal proprio oggetto è fondamentale e la maggior parte degli scrittori marocchini scrivono sul Marocco. Per noi che siamo lontani il Marocco diventa un vero e proprio oggetto letterario. Si è meno “toccati” dalla realtà, siamo altrove, in genere in situazioni molto confortevoli e quindi possiamo considerare il Marocco una realtà letteraria, un oggetto letterario. Queste sono le ragioni che secondo me rispondono alla tua domanda.

Uno dei temi costanti nei tuoi libri, a partire dallo splendido Un anno con i francesi, è l’importanza che l’istruzione ha avuto per la classe media nel Marocco post-coloniale. Tu sei uno dei bambini educati nel sistema scolastico francese. L’accesso a questo doppio binario, a questa cultura duale è stata per te una benedizione o una maledizione?
Hai ragione su una cosa: al giorno d’oggi i soli che possano permettersi un’istruzione nelle scuole francesi sono i figli della classe medio alta. Questo però non era vero ai miei tempi. Io venivo dal basso, io sono stato nelle scuole francesi negli anni Settanta e mio padre era un fattorino delle Poste, vivevamo in un quartiere popolare, e mio padre ha molto insistito perché frequentassimo quelle scuole che all’epoca erano totalmente gratuite. La situazione allora era molto diversa, io non sono un figlio della borghesia. Io, i miei fratelli e sorelle eravamo figli del popolo che hanno avuto accesso alla scuola francese che oggi è accessibile solo ai figli dell’alta borghesia, è un dato di fatto. Hai ragione sul fatto che l’istruzione francese crea il rischio di farti sentire in una bolla. Quando si studia sin da piccoli in francese, si completano gli studi in un liceo francese si rischia di vivere in una bolla francofona che ci potrebbe impedire di capire quello che succede nel Paese. Il pericolo esiste. Non si può però dire che sia un “complotto” dei francesi, che quando se ne sono andati nel 1955 hanno lasciato un ottimo sistema scolastico aperto e gratuito. Come ti dicevo il pericolo della bolla esiste, conosco molte persone che avendo frequentato scuole francesi non si sono mai prese la briga di studiare l’arabo, di conoscere la splendida letteratura araba né la lingua araba tradizionale né quella dialettale. Tanto peggio o tanto meglio per loro, non do giudizi morali. Dico solo che esiste anche una via che consiste nel prendere il meglio delle due culture, il che consente di interessarsi al Marocco profondo, al popolo marocchino nella sua interezza, non solo alla parte francofona. L’arabo dialettale è una lingua bellissima, molto ricca. C’è ad esempio una bellissima poesia in arabo dialettale che si intitola Malhoun che può essere apprezzata solo se cantata in quella lingua. La bolla a mio parere non è inevitabile, se ne può uscire a proprio piacimento per entrare nel Marocco reale. Ci si può arricchire da tutto quello che di buono porta un’educazione francese, europea e che per me è incarnato al massimo dal personaggio di Voltaire e dalla cultura Illuminista e illuminata, l’ironia, il dubbio, la lotta contro i fanatismi, sono cose molto importanti, delle quali ci si può arricchire restando autentici, appropriandoci anche della cultura del nostro Paese e creando così un felice connubio. È questo connubio che io mi sforzo di valorizzare nel mio lavoro. Ad esempio Sijilmassi è un personaggio molto filosofico e a partire dal concetto stesso di camminare, di rallentare, Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi è, per quanto mi spaventi la definizione, un romanzo filosofico, un romanzo che ruota attorno al sistema di pensiero del protagonista il quale secondo il parere di alcuni critici francesi, ha qualcosa del Candido di Voltaire.

Ne Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi ci sono alcuni elementi autobiografici: Adam lascia il suo lavoro per tornare a vivere alla velocità di suo padre e suo nonno, tu hai lasciato il tuo lavoro di Ingegnere nell’industria chimica per andare a vivere all’estero. Pensi che potresti mai tornare a vivere in Marocco?
Direi di sì. Il Marocco è uno splendido Pese in cui vivere. Bellissime città, incantevole campagna. C’è una grande diversità e per me questa è una cosa fondamentale. Una delle mie battaglie, è evidente dai miei libri, è conservare questa diversità. Ci sono persone molto tradizionaliste, altre molto moderne, c’è ogni sorta di genere musicale. In questo Marocco si può vivere e anche molto piacevolmente, se se ne hanno i mezzi. Potrei decisamente vivere in Marocco, a patto che resti aperto, che resti un luogo aperto a tutte le influenze, nel quale si possa leggere guardare o ascoltare quello che meglio ci aggrada. Non potrei più viverci se invece si chiudesse completamente, come è accaduto ad altri Paesi come l‘Afghanistan. Credo però che questo in Marocco non succederà mai, non cadrà mai nella piaga che ha rovinato altri Paesi, resterà un Paese aperto.

Leggendo Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi ho avuto l’impressione che Adam fosse la versione adulta di Mehdi, il bambino protagonista di Un anno con i francesi. Hai mai pensato a come sarebbe diventato Mehdi da adulto?
Accidenti! Sei la seconda persona a dirmi questa cosa e la prima è stato il mio editore francese, che è la persona che conosce meglio la mia opera. Abbiamo avuto una lunga discussione sull’argomento. Ho scritto molti libri tra i due che citi e creato molti personaggi maschili… In effetti, però, la vostra osservazione è vera soprattutto perché in Mehdi c’è molto di me stesso bambino e in Adam c’è molto di me da adulto, nel senso che ho trovato un equilibrio tra la mia istruzione francese e la mia cultura araba. L’ho trovato attraverso la filosofia, in pensatori come Averroè, Cartesio, Galileo e Spinoza c’è la perfetta sintesi della cultura araba e di quella europea, soprattutto grazie al fatto che operano una distinzione tra il dominio della religione e quello della Scienza, che anche secondo me sono ambiti che devono rimanere distinti. Questo fa di loro dei pensatori molto moderni ed è un’idea che esiste anche negli antichi pensatori arabi. Questa è la grande conquista di Adam, la scoperta che occupa oltre metà del libro e che ripercorre la mia scoperta della filosofia negli anni della costruzione del mio sistema di pensiero.

I LIBRI DI FOUAD LAROUI