
Einaudi, come altre importanti case editrici italiane, da qualche anno fa organizza degli incontri online con i suoi autori riservati a blogger e giornalisti di testate web. Quando recentemente è stato il turno di Francesco Abate, per parlare del nuovo romanzo dedicato al personaggio di Clara Simon, in realtà stavo ancora leggendo il libro. Durante la chiacchierata e successivamente a lettura ultimata mi sono venute in mente cento cose che avrei voluto chiedergli, così, grazie ai social, alla mia abituale frequentazione dei festival letterari e a una naturale faccia tosta, mi sono approcciata a lui come fossimo vecchi amici e gli ho chiesto spudoratamente se sarebbe stato disponibile per un’intervista per Mangialibri. Francesco, gentilissimo, ha detto di sì. Ecco cosa ha risposto alle mie domande.
Documentandomi su di te ho scoperto che hai esordito diciamo “nella vita pubblica” come dj. Quindi partiamo leggeri: come si diventa giornalista e poi scrittore, sceneggiatore eccetera, partendo da una radio?
Era il 1978 e avevo solo quattordici anni quando iniziai in radio. Scrivevo già i mei romanzi a fumetti, western e fantascienza. Pessimo disegnatore, le storie erano scopiazzate. Mi affascinava la radio, era il tempo del boom delle radio libere, bussai a quella che era espressione del movimento studentesco, mi presero subito convinti dal mio entusiasmo e dalla buona musica che avevo nella valigetta. Poi sono diventato dj nei club invernali e nelle discoteche estive. Non ero un dj commerciale, proponevo le mie scalette improntate sulla black music. Avevo un vastissimo seguito e da lì capii che potevo proporre una mia narrazione personale che fosse musica o letteratura. Le mie due grandi passioni, anzi direi amori travolgenti. Sono stato sino ai trentanove anni Frisco… un buon dj, credo.
In quanto soggetto fragile – ricordiamo che sei qui grazie a un trapianto di fegato subito nel 2008, un’esperienza che hai raccontato più volte – come ti rapporti intimamente con la presenza fisica dei tuoi lettori, ma soprattutto quanto di questa tua parte del tuo percorso di vita hai trasferito, se lo hai fatto, nei tuoi personaggi e in particolare in Clara?
Faccio lunghi tour. Divertentissimi ed estenuanti. Da dj amo la condivisione dal vivo con i lettori rispetto ai quali mi rapporto da lettore e non da scrittore che sta un gradino più in alto, che mette una distanza fra palco e platea. Questo fa sì che, molto spesso, abbia creato con chi legge delle salde amicizie. Rita, una mia lettrice della prima ora, ha voluto che celebrassi il suo matrimonio. Un altro, che fossi il suo testimone di nozze. Da fragile prendo tutte le precauzioni che voi prendevate durante la pandemia che erano già il mio pane quotidiano dal 2008, anno del mio trapianto. Clara non ha nulla della mia fragilità. Molto della determinazione di mia moglie Grazia Pili, giornalista che partecipa attivamente alla scrittura di questa saga, e della mia editor, dal 2007, Rosella Postorino.
Clara in questo tuo Il misfatto della tonnara – che ritengo il migliore della serie - più che nei precedenti, è al servizio della verità, della giustizia, tanto quanto lo è Saporito (carabiniere e probabile amore della donna, ndr) ribadendo una volta di più con i comportamenti oltre che con le parole (“Signorina, dove presta servizio?” “Io non presto servizio per nessuno”, le hai fatto dire ne I delitti della salina), il suo carattere e la sua integrità. Hai spesso ribadito che l’ispirazione per il personaggio viene dalle donne della tua famiglia: ti capita mai, mentre scrivi, di coltivare la speranza che quei valori, quella forza e quell’integrità qualcuna la faccia propria leggendo?
Clara è sorella di tante donne della mia famiglia. Penso ad Anna Saporito (eh, sì!), la madre di mio padre, che visse le privazioni e gli orrori della guerra che si abbatté su Napoli. Il marito al fronte e lei sola con un bambino. Alla mia prozia Elvira Mereu, anarchica che da ragazza veniva incarcerata preventivamente ogni qualvolta in Sardegna all’inizio del Novecento giungeva una reale o un alto funzionario del regno. A mia madre, insegnante, femminista, volontaria nelle scuole popolari nelle periferie più disagiate. Missione che ha portato avanti sino a poco fa, oltre gli ottanta anni. Clara Simon può essere un esempio da seguire? Mi piacerebbe tanto.
Mentre Clara e il carabiniere Saporito indagano, su “l’Unione” viene pubblicato a puntate – suppongo per la prima volta in Italia – un romanzo di sir Arthur Conan Doyle. Davvero il quotidiano sardo lo ha pubblicato o è una licenza letteraria? In che rapporti sei con i grandi maestri del passato, hai preso ispirazione da qualcuno?
Sì, verissimo. Ovviamente su licenza letteraria. Questo significa due cose: che “L’Unione Sarda” era nel giro dell’alta editoria, i sardi e le sarde avevano fin dall’inizio del Novecento e ben prima una profonda cultura letteraria. E un’avida curiosità culturale. Sono gli anni in cui Grazia Deledda ha già scritto alcuni dei suoi romanzi fondanti, Antonio Gramsci si prepara a far ingresso al liceo Dettori, quello in cui ha studiato Clara Simon.
Nel romanzo a un certo punto racconti una scena davvero toccante che non sveliamo. Chi ha già letto il romanzo avrà tratto le sue conclusioni, la domanda è: mentre la immaginavi e la scrivevi, c’era un sottofondo di speranza che una simile situazione (rapportata ai giorni nostri) sarebbe possibile per quello che rappresenta? A meno che il richiamo a un’integrazione davvero completa non sia stato solo un pio desiderio che io ho voluto leggerci…
Mi sono commosso scrivendo quella scena. Rappresenta la rivalsa. Un tòpos letterario. I nostri protagonisti soffrono, soffrono, subiscono violenze, ingiustizie e poi… Ho pensato anche a me, a tutta la sofferenza che la malattia mi ha dato dall’età di due anni e poi… Poi la vita è tornata, claudicante e spesso in salita, come sono le nostre esistenze, ma vita.
adesso una domanda più semplice e decisamente non inedita. Ami di più scrivere questo tipo di romanzo che ti permette di andare indietro nel tempo, o quelli diciamo umoristici, tipo Torpedone trapiantati, Mia madre e altre catastrofi o i “pugni nello stomaco” letterari come Mi fido di te?
Sto scrivendo una commedia per il teatro, spero molto divertente, con il mio storico amico e attore Massimiliano Medda, una star in Sardegna. Un comico e un drammaturgo di rara sensibilità. Vorremo far crepare dalle risate gli spettatori e le spettatrici su un tema serio. Il testo parte da un capitolo del mio romanzo Getsemani, che uscì nel 2006 per Frassinelli. Questo per dire che la mia vena umoristica è sempre palpitante. Ho sempre tante storie in mente, avrei bisogno di più vite per scriverle tutte. Anche quelle che arrivano come pugni nello stomaco come Chiedo scusa, il romanzo che racconta dall’infanzia al trapianto una vita con la malattia accanto.
tempo fa hai detto che ti piacerebbe molto vedere Clara Simon in televisione. Si è aperta qualche possibilità in questo senso? Chiaro che non sia un progetto facilissimo, ma sarebbe proprio bello…
C’è stato un primo e interessatissimo approccio. Una prima fase di contrattualizzazione, poi la quiete. Spero ritorni presto il fervore e quindi la voglia di portare Clara Simon in tv. Nel frattempo mi butto in un bellissimo e impegnativo tour di presentazioni de Il misfatto della tonnara, che tanto per chiarirci anche per me è il titolo migliore della trilogia. Ed è un giudizio di uno che è molto severo con i suoi scritti, penso infatti che solo pochi della mia decina di romanzi superi la sufficienza e solo due mi vedono soddisfatto a pieno, tanto da farmi dire che ho fatto tutto quello che potevo fare e non sono mica usciti malaccio. Che poi non vuol dire che siano oggettivamente belli. Come scrittore, chino il capo e accetto tutte le mie debolezze. Come dj, no. Ero fra i migliori. Come cronista di cronaca nera, idem. Ah ah.