
Francesco Dimitri è un noto esperto di letteratura fantastica e magia. Ha pubblicato saggi come Comunismo magico, Manuale del cattivo, Neopaganesimo e Guida alle case più stregate del mondo. Quest’ultimo in particolare è considerato un piccolo cult, tanto che ne sta uscendo un’edizione spagnola. Ma con lui parliamo della sua vocazione di romanziere, che ne ha fatto in breve tempo una delle figure di riferimento del Fantastico italiano.
Come cambia il personaggio di (Peter) Pan dalla mitologia classica a James Matthew Barrie a Walt Disney e infine a Francesco Dimitri?
Pan è uno tra gli dèi più polimorfi che ci siano. In epoca classica era un dio di serie B, una creatura pastorale e selvaggia che faceva poco più che zufolare e rincorrere ninfe. I romantici lo promossero nella serie maggiore, trasformandolo in un grande dio della natura e accentuando ulteriormente i suoi aspetti di abbandono e di estasi. Ed è quest'immagine che Barrie riprese in Peter Pan: il suo è un personaggio inquietante e solare al tempo stesso, che richiama il dio classico e lo trasforma in un bambino a cavallo tra i mondi, non più umano, non ancora alieno. Il Peter Pan Disney, mi sembra, perde completamente l'aspetto divino. Resta inquietante, più di quanto forse gli adulti pensino, ma è un ragazzino a tutti gli effetti. Il 'mio' Pan è il contrario, è del tutto divino: la sua natura umana è solo una verniciatura superficiale. E' un dio, quindi è alieno, incomprensibile. E pericoloso. In sostanza, Pan ti fa divertire, ti porta oltre i limiti - e poi ti lascia là. Quest'ambiguità mi affascina.
Qual è il 'tuo' sguardo all'infanzia e all'adolescenza?
Infanzia e adolescenza sono periodi terribili. Sei solo in balìa di un mondo che è stato costruito da adulti, in balìa di leggi, regole e perfino metafisiche che non ti appartengono. Da bambino tu 'senti' il tuo amico invisibile, però gli adulti ti dicono che non è lì. E tu sai che c'è, ma se provi a parlarne, loro ti convincono del contrario. Il problema è che poi, in una forma o nell'altra, l'amico invisibile torna, l'Incanto si manifesta.. dalla repressione non è mai nato nulla di buono. Quando cresci, e i nove anni diventano quattordici, scopri che papà non è infallibile, che mamma a volte è stanca di cucinare per te, e scopri che per avere amici bisogna lavorarci su. Il mondo ti aggredisce e ti butta addosso i peggiori esempi delle peggiori esperienze che vivrai nel resto della tua vita: abbandono, solitudine, guru da talk-show e scrittori (ehm) che parlano di te. Tornare adolescente è uno dei miei incubi.
Perché Roma come location di una storia fantastica?
Perchè Roma è come l'inconscio freudiano, un accumulo infinito di strati di memorie. E' fantastica fin nel midollo: stradine di pietra sfociano in zone d'uffici, tutt'intorno c'è una campagna bellissima (che stiamo distruggendo, per inciso), casette scalcagnate nascondono lettori di tarocchi, e poi taxi, motorini e attori, cantanti di belle speranze e studenti. Non è una città granchè viva: troppo chiusa su se stessa, troppo affascinata dalla sua bellezza. Ma è una città onirica, in più di un senso. E poi Roma la conosco bene, ed è sempre buona norma per uno scrittore (non sono certo il primo a dirlo...) parlare di quello che sai.
Quanto contano le tue esperienze reali nell’ideazione di una storia fortemente venata di surrealtà come quella del tuo romanzo La ragazza dei miei sogni?
Domanda complessa. Non credo che esistano esperienze “reali” opposte a quelle “surreali”. Per un seguace del voudoun, la possessione da parte dei Loa è del tutto reale, mentre per uno psicologo è un fenomeno che ha a che fare con la mente e non con gli spiriti. Chi dei due ha ragione? Non mi interessa stabilirlo. Quindi rispondo rovesciando i termini: le mie esperienze surreali sono state molto importanti, in una storia venata di realtà.
Come hai costruito la trama de La ragazza dei miei sogni?
A mio parere, le trame non si costruiscono, si trovano. La mia l’ho trovata tra le strade di Roma. Detesto, senza mezzi termini, il presunto “realismo” di tante produzioni contemporanee. L’idea che “parlare di sé” significhi raccontare i cazzi propri è deleteria, sia per se stessi che per i lettori. Ho, quindi, cercato una storia divertente, attuale e, allo stesso tempo, universale e spaventosa. Ma, ripeto, l’ho trovata e semmai limata, non certo costruita.
C’è qualcosa in particolare che ti ha ispirato?
Diciamo che qualcosa ha ispirato la sua ricerca, sì. Intanto le esperienze di alcuni amici, e poi una considerazione più generale: viviamo in un’epoca di presunta libertà, eppure molti di noi si trovano incastrati in situazioni opprimenti. Amori senza speranza, rapporti personali banali, lavori noiosi. È possibile liberarsi? E a quale prezzo? Non sono partito da questo tema (non mi piacciono i romanzi a tema: se vuoi dimostrare qualcosa, scrivi un saggio), ma credo sia questa l’esigenza di fondo che muove il libro.
Fonti ben informate ci dicono che hai cambiato il finale del romanzo, quali orientamenti di gusto o opportunità narrative hanno fatto sì che ti risolvessi in tal senso?
Grazie a Paolo De Crescenzo, l’editore di Gargoyle books, ho “trovato” un nuovo finale, e la mia ragazza (quella vera) mi ha convinto che fosse quello giusto. È stato un cambiamento minimo, che però modifica il senso della storia: non c’è un motivo preciso, ma così “suona” molto meglio. Più di questo preferirei non dire.
Quali sono i tuoi modelli letterari?
Innanzitutto il mio specchio. Non perché sia molto vanitoso, ma perché credo che sia necessario squartare i propri modelli e rigettare le loro carni, per poi partire da se stessi. E anche perché gli specchi mi fanno paura: ho la sensazione che non siano superfici, ma porte. Se dovessi fare qualche nome, però, inizierei con Tolkien. Lessi Il Signore degli Anelli in quinta elementare, e decisi che Aragorn era troppo figo per non esistere davvero. È un libro che mi ha insegnato parecchio, nella vita e nella letteratura. Poi ovviamente Lovecraft, uno dei più grandi scrittori del XX secolo, anche se Harold Bloom non lo capirà mai. E Algernon Blackwood. Tra i viventi, quello che sento più affine è Clive Barker, anche se devo mangiare parecchio sale prima di diventare tanto bravo. Il mondo in un tappeto è semplicemente uno dei più bei libri degli ultimi cento anni, spaventoso, poetico, profondo. E anche fuori catalogo, in Italia, il che la dice lunga sullo stato della nostra editoria. Ma la lista è lunghissima. C’è Anne Rice, soprattutto nella saga delle streghe Mayfair. C’è John Fante, ironico e vitale. C’è Steinbeck, e devo aggiungere altro? C’è Neil Gaiman, non solo per i libri, ma anche per i fumetti. Parlando di fumetti: per me sono un’influenza fondamentale. Senza Frank Miller, senza Stan Lee, senza Alan Moore, senza Hugo Pratt, senza Bill Watterson, senza Jeff Smith, senza Tiziano Scarpa… senza un sacco di fumettisti, la mia vita sarebbe meno divertente. Infine, i giochi di ruolo. Mi sento molto influenzato dai giochi di ruolo, sia a livello di gioco giocato sia di lettura dei manuali. È un vero e proprio genere letterario, e prima o poi la critica se ne accorgerà. I giochi Unknown Armies e Maghi: il Risveglio sono due tra i migliori che abbia letto da qualche anno a questa parte.
Seguendo le tue interviste radiofoniche e televisive, spesso affermi anche con una certa fierezza l'importanza dell'onestà artigianale della scrittura. Puoi parlarne anche a noi di Mangialibri?
Molto volentieri. Io credo che la scrittura sia un'attività artigianale, non diversa da quella del falegname o del fabbro. Un bravo scrittore deve porsi l'obiettivo di fare un prodotto onesto, e cioè un libro che intrattenga, diverta, e al tempo stesso immerga in un mondo "altro". Se pretendi di fare Arte, Letteratura, e qualsiasi cosa con l'iniziale maiuscola, finisci per fare schifezze, pretenziose e vuote come una camera d'aria sgonfia. Se fai l'errore opposto, quello di trattare il lettore come un imbecille, gli rifili una patacca di seconda mano, un tavolo che traballa. Se cerchi l'equilibrio, puoi andare a letto tranquillo. Forse il tuo lavoro funziona, forse no, ma di sicuro non stai rubando soldi ai tuoi lettori.
I libri di Francesco Dimitri