
Negli ultimi mesi si è fatto un gran parlare del siciliano Francesco Musolino e del suo romanzo d’esordio edito da Rizzoli. E se ne è fatto giustamente un gran parlare. Con una scrittura pulita e un impianto narrativo superlativo, Musolino racconta una storia al tempo stesso intima e universale. Messinese, giornalista culturale e insegnante di scrittura creativa, lo abbiamo raggiunto tramite social per fargli qualche domanda, ed ecco cosa ci ha detto.
Cominciamo dal principio. Sei un giornalista culturale e un insegnante di scrittura creativa. Letteratura e narrativa, insomma, sono parte della tua vita da tanto tempo. Come mai hai deciso di cimentarti in un progetto come un romanzo? Qual è stata la forza che ti ha spinto a scrivere qualcosa di tuo?
L’attimo prima è il racconto di un ragazzo che cade e fatica a rialzarsi. Il racconto di un cuore che si spezza e necessita tempo per ripararsi. Una storia che parte da un dolore personale e poi si trasforma, prende la giusta distanza e su quel pantano di emozioni, narro la storia di Lorenzo che rimane immobile mentre il mondo attorno a lui si muove freneticamente finché la vita tornerà a bussare alla sua porta. Decidere di scrivere un romanzo non è stata una decisione presa con leggerezza, volevo raccontare una storia di luce, non di tenebra e ho cercato una voce che parlasse al lettore anziché impartirgli lezioni. Solo nel momento in cui cadiamo e troviamo la forza di rialzarci, capiamo che siamo più forti di ciò che credevamo. In quel momento, tutto diventa finalmente possibile.
Il protagonista del tuo L’attimo prima, il giovane Lorenzo, deve fare i conti con un lutto molto pesante, quello del padre. Come mai hai scelto di narrare proprio ciò che accade a seguito della morte di un genitore? Tra le mutilazioni affettive credi che abbia un posto particolare?
Ci sono cesure sentimentali ed emotive che segnano il nostro cammino. Momenti che non torneranno, parole sospese e scelte che non potremo più compiere. Per Lorenzo la scomparsa del padre significa cancellare quel futuro certo che sembrava ineluttabile, a portata di mano. La scomparsa improvvisa di Leandro svuota le parole di significato e lo costringe in un infinito presente, uno spazio bianco e senza prospettiva. Al contempo, lo mette davanti ad una serie di dubbi e domande. Una su tutte: la morte di un genitore ci rende adulti ipso facto?
Certe entità, alle volte, parrebbero risultare più pressanti e pesanti quando da presenze si tramutano in assenze. Il dolore di una perdita, in questo caso della perdita subita da Lorenzo, risiede in ciò che la presenza ha lasciato dietro di sé o in ciò che l’assenza ha portato con sé?
Perdere qualcuno che si ama è un trauma. Le cicatrici che abbiamo sul cuore fanno male e temo che quel dolore non andrà mai via. Ma può essere lenito e quando torneremo a sfiorarle, un giorno, potremo persino aver voglia di sorridere ripensando a chi non c’è più. Dimenticare qualcosa, il tono della voce o la sfumatura degli occhi, credo sia inevitabile ma vivere in un tempo cristallizzato sarebbe una vera pena. Accettare l’assenza è un processo a lunga scadenza. La verità è che abbiamo bisogno del bene più prezioso, ci serve tempo per affrontare la notte sepolta dentro il nostro cuore.
Elena, sorella di Lorenzo, gioca un ruolo fondamentale nella risalita verso una nuova pace, verso il tentativo di un nuovo equilibrio, che Lorenzo si appresta a fare. Secondo te è vero, come ha detto una volta una grande scrittrice, che nessuno si salva da solo?
Credo che ciascuno possa e debba curare il proprio cuore come può. Hai ragione, Elena è fondamentale perché rovescia la prospettiva: chi l’ha detto che per ricordare chi abbiamo perso dobbiamo essere costretti a vivere con uno zaino pieno di ricordi e rimpianti? Elena spinge Lorenzo verso la vita, lo stana dalle sue false certezze, lo esorta a spaccarsi il cuore, se serve, pur di smetterla di vivere con le spalle rivolte all’avvenire. In fin dei conti, le cose sono fatte per finire. Ma per accettarlo serve una vita intera.
La terra di Lorenzo è la tua terra, la Sicilia. Hai quindi deciso di raccontare anche le tue origini, in un certo senso, perché?
Il fatto è che tutti credono di conoscere quest’isola ma non è così semplice. Le fiction e certa narrativa la raccontano come un luogo da cartolina in cui poter mangiare il gelato passeggiando eternamente sulla spiaggia di Mondello sotto il solleone. Ma la Sicilia è molto altro. Una terra anche aspra e selvaggia, bellissima e talvolta crudele. Soprattutto, la Sicilia è la mia terra e volenti o nolenti, viene sempre il momento in cui dobbiamo fare i conti con le nostre radici per capire davvero chi siamo.
Hai in programma di scrivere ancora, di tornare in libreria? Qualcosa già in cantiere?
Sì, c’è qualcosa in pentola. Arriverà il momento della scrittura vera e propria ma per adesso sono in quella magnifica fase in cui coccolo le idee e penso, senza fretta, a ciò che vorrei raccontare con un nuovo romanzo.