
Per introdurre brevemente Francesco Troccoli, abbiamo bisogno di tre cose (passaggi): il primo romanzo, nato da un suo racconto, dal titolo Ferro Sette e dall’ampio respiro delle saghe fantascientifiche; il lavoro di speaker, che permette a Troccoli di veicolare (e studiare) le parole attraverso il suono della voce (se fate una passeggiata sul suo blog, potete ascoltare la sua lettura, tra le altre, del Barone Rampante); una ‘direzione delle cose’ che a un certo punto cambia forma, e lo porta da una multinazionale farmaceutica alla scrittura. C’è, intorno a queste tre cose, la fantascienza con le sue potenzialità, da abitare e da portare al lettore, ovunque egli sia. Virtualmente, quindi, lo incontriamo, e lasciamo che siano lui e il protagonista del libro Tobruk Ramarren (entrambi possessori di un’identità facebook, come verremo a sapere), a tracciare i loro (paralleli) percorsi di vita.
Partiamo dalla tua voce. “Ma raccontami, piuttosto, parlami del tuo viaggio”, dice lo speziale Laureel a Tobruk Ramarren, in un passaggio particolarmente riuscito del tuo primo romanzo. Tobruk si siede e racconta ai bambini superstiti di Ferro Sette la sua storia. Nel tuo blog di riferimento, fantascienzaedintorni.blogspot.it, proponi spesso degli audio-frammenti in cui leggi alcune righe di libri anche non tuoi, ‘raccontando’, così, con la tua voce. Sembra che la dimensione orale nella narrazione sia molto significativa per te (oltre a rappresentare una componente non trascurabile per uno scrittore, vedi, per esempio, le letture a voce alta durante le presentazioni)...
È esattamente così. Da lettore, ancora prima che come autore, sento l’esigenza di perdermi in quelle storie nelle quali la voce narrante (non a caso si chiama così) è così intensa e coinvolgente che riesce e farsi letteralmente udire. L’occhio scorre sulle parole scritte e subito la mente le trasforma in una pur silenziosa simulazione di suono. Se questo avviene, il mondo intorno scompare a favore di quello immaginario. La sospensione dell’incredulità richiesta alla fantascienza ne beneficia poi in modo particolare. In merito a me, è vero, il nesso fra la mia attività di autore e quella di speaker risiede proprio nell’importanza della narrazione orale, che non può prescindere dal pensiero che ogni volta che c’è un narratore che racconta, c’è anche qualcuno che lo ascolta; si tratta insomma di una manifestazione palese di rapporto fra (almeno) due individui, mentre la lettura silenziosa, fatta con la mente, è, come la scrittura, un esercizio di profonda solitudine. E poi, avere una voce solida come narratore serve a fortificare anche la voce interiore che scrive, e viceversa, in un rimando continuo e affascinante.
Raccontaci, adesso, del tuo viaggio. Dalla ‘pila di Urania sul comodino paterno’ al contatto con Armando Curcio Editore.
Si è trattato, esattamente come in un bel romanzo di fantascienza, di un vero e proprio salto nel tempo. Un viaggio, cioè, di fatto molto lungo che a me pare sia avvenuto nel giro di poco, pochissimo tempo. Ricordo bene quelle pile di volumetti apparentemente così strambi all’inizio, e la prima volta che ne aprii uno (il titolo era L’ombra di Banqo), con il testo distribuito su due colonne per pagina. Ricordo le immagini delle copertine, così suggestive, a volte un po’ inquietanti. Era la fantascienza degli anni ’70 e ’80, quella che poi, trent’anni dopo, ho cercato di emulare in qualche modo come autore, sebbene rivisitandola in chiave moderna. Forse è per questo, per venire all’editore, che ho trovato maggiore interesse presso un generalista quale Curcio che presso gli editori specializzati, che oggi mi sembrano più interessati a pubblicare fantascienza in chiave techno-thriller e simili, che come lettore apprezzo ma non è fra le mie corde di autore.
Ferro Sette nasce da un tuo precedente racconto, Il Cacciatore, scritto nel 2008. Cosa ti ha spinto ad ampliare il testo in direzione del romanzo?
Difficilmente, a distanza di tempo, continuo ad apprezzare le cose che scrivo. Fra i pochissimi racconti che riscriverei esattamente nella loro stesura originale, c’è in effetti Il Cacciatore. Per questa ragione, mi ritrovai a rileggerlo nel 2009, e mi resi così conto che quella storia offriva dozzine di spunti ulteriori. Di conseguenza, lasciando sostanzialmente inalterati i primi due dei tre capitoli di cui il racconto si compone, scrissi un nuovo terzo capitolo, e poi altri tre. All’inizio del settimo capitolo mi resi conto che, pur non avendolo mai deciso consapevolmente, stavo scrivendo un romanzo. Nel passaggio dal racconto al romanzo presero via via corpo nuovi personaggi, sui quali la narrazione fa leva nella sua attuale stesura, fra cui i più importanti sono senza dubbio quelli femminili. Potrei dire in una battuta che lo sviluppo dalla narrazione breve a quella lunga è avvenuto intensificando la frequentazione del mondo femminile.
Futuro remoto. L’uomo è diventato produzione allo stato puro. Lavora, combatte, stringe e distrugge alleanze. Si è però dimenticato di una parte di sé vitale, per il recupero della quale si sta organizzando la ribellione, in una miniera di Harris IV. Ci puoi dire quali sono state le suggestioni (letterarie e non) più importanti, durante la creazione del cosmo che circonda Ferro Sette?
La suggestione più potente è stata e resta il “Ciclo dell’Ecumene” di Ursula K. Le Guin. Il protagonista di ciascuno dei romanzi che lo compongono è sistematicamente un individuo solo, costretto a contare esclusivamente sulle proprie forze, che scopre che la gran parte delle sue certezze sono infondate, tanto nel pianeta che lo accoglie quanto dentro di sé. La necessità di fare della propria solitudine l’habitat per la ricerca di nuove possibilità d’incontro e di scoperta guida tutti i romanzi della saga, e nel mio piccolo spero di aver fatto lo stesso in Ferro Sette. Importanti sono stati anche R. Heinlein, F. Herbert e, su un piano molto più ludico, Richard K. Morgan. Ad ogni modo, ho sentito l’esigenza di spedire una copia di Ferro Sette a Ursula K. Le Guin, che avendo insegnato letteratura italiana è in grado di leggere la nostra lingua. Qualche giorno fa mi ha risposto ringraziandomi e promettendo che lo leggerà. Inutile che dica che ne sarei felicissimo.
Più del cinismo e della disillusione di Tobruk Ramarren, è convincente il suo essere umanamente contraddittorio. A metà strada tra l’Eletto e l’eroe per caso. È ironicamente a disagio con il suo posto nella Storia, o sbaglio?
Non sbagli affatto. Tobruk Ramarren è un essere umano come chiunque altro. Ha più difetti che pregi, e alcuni di questi difetti sono esecrabili. La sua dote migliore è forse la capacità di “rubare” il meglio degli altri, malgrado se stesso e malgrado il tentativo di resistere alla propria evoluzione in chiave positiva, che è alimentato da una cultura rozza e opprimente. Lo scontro continuo fra le sue (vere o false) certezze e le rivelazioni che riceve via via ne fa un individuo perennemente a disagio con il proprio posto nella storia (sua individuale e collettiva). Ma è in questa crisi protratta che si nasconde la chiave per il suo stesso superamento. In fondo, è quanto accade a chiunque sia obbligato ad affrontare una profonda trasformazione della propria esistenza.
Ti interessi a vari generi letterari, però la fantascienza sembra avere un posto centrale nel tuo lavoro. Quali sono le possibilità più ‘abitabili’, per te, all’interno di questo genere?
La fantascienza, come ebbe a dire in un’intervista a me rilasciata la statunitense Audrey Niffenegger (autrice di “La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo”) “può fare tutto quel che fa la letteratura, e anche qualcosa in più”. Il genere non è, a mio avviso, una porzione limitata e limitante della narrativa, ma al contrario ne rappresenta una declinazione che non perde, ma semmai amplifica, tutte le possibilità della narrazione di marca generalista, fino a raggiungere una vera e propria onnipotenza. In altre parole, se decidi di scrivere fantascienza (o fantastico in generale) puoi fare tutto quel che vuoi, fino a definire addirittura nuove leggi fisiche che regolano l’Universo. Una simile libertà è immensamente affascinante ma è altrettanto pericolosa, e a mio parere va perciò usata, da parte dell’autore, con un profondo senso di responsabilità e rispetto per il lettore.
Come sta la fantascienza italiana? C’è qualche autore contemporaneo che segnaleresti volentieri?
Alberto Cola, Maico Morellini, Luca Masali, Lanfranco Fabriani, che non hanno certo bisogno del mio avallo, sono quelli che ho più recentemente letto e apprezzato. Una menzione speciale spetta a Tullio Avoledo, che a mio parere ha il merito di voler portare la fantascienza anche a chi non è un lettore di fantascienza, che è per inciso la sola ricetta per restituire al genere il seguito di massa che anche in Italia le spetta di diritto.
Dove possiamo venire ad ascoltare il racconto di Ferro Sette, prossimamente?
Il 2 settembre 2012 ad Ancona durante il Festival Adriatico Mediterraneo. In autunno certamente di nuovo a Roma, e poi si vedrà.
E dove, invece, incontreremo nuovamente Tobruk Ramarren?
Nel romanzo successivo della saga, che, se Ferro Sette andrà bene, vedrà la luce nell’autunno del 2013 sempre per i tipi di Armando Curcio Editore. Il che non significa, ci tengo a dirlo, che Ferro Sette non sia un romanzo completamente autosufficiente, visto che venne scritto senza pensare a un seguito. Aggiungo infine che in realtà, strano a dirsi, il caro Tobruk è anche in Facebook. So che accetta richieste di amicizia.
I libri di Francesco Troccoli