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Intervista a Giangilberto Monti

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Giangilberto Monti, figura quanto mai versatile, mastica da sempre teatro, musica, letteratura e cabaret. Già autore di dischi e di pubblicazioni letterarie tra il saggio e il romanzo, con il suo ultimo libro ha voluto celebrare il genio comico di Michel Gérard Joseph Colucci, ovvero Coluche.



Domanda secca: perché Coluche?
Per la commistione tra comicità e politica che ha cambiato il nostro Paese negli ultimi vent’anni, e non solo il nostro. M’interessava andare alle radici di questo fenomeno, che ha distorto i nostri modelli sociali. In altre parole, il giullare ha da sempre sbeffeggiato il re, ma se il giullare vuole diventare re, nulla è più chiaro per chi ascolta. La storiella comica diventa slogan politico, e viceversa. In Francia, Coluche ha anticipato il movimento che ha portato gli appassionati di Beppe Grillo al potere, e lo stesso Grillo ne ha sfruttato le parole d’ordine, riferite a un’antipolitica generalizzata e drammaticamente superficiale, dove l’incompetenza ha governato le scelte di un intero paese. In Francia se ne sono accorti prima, e prima di tutti lo stesso Coluche, che è stato uno straordinario talento nel suo mondo, spaziando tra musica, teatro, cinema e cabaret.

C’è un filo che da sempre lega il cabaret e la produzione musicale milanese e torinese alla Francia – penso a Nanni Svampa e a Gipo Farassino –, ti senti in qualche modo continuatore di questa tradizione?
In qualche modo ne sono rimasto ispirato, anche se il mio maestro scenico rimane Dario Fo, che non a caso ha sempre contaminato la musica con l’ironia. Il vero cabaret non può fare a meno della musica ma non mi ritengo di certo un comico. Sono un affabulatore musicale e col tempo ho affinato maggiormente l’interpretazione, ma rimango un chitarrista mediocre e un compositore casuale. Diciamo che sono un dilettante professionista.

A proposito di tradizione, quali sono a tuo parere i margini di discontinuità e di rottura rispetto al passato di un personaggio come Coluche?
Ha semplicemente svelato che il Re è nudo, l’ha fatto in una democrazia avanzata come quella francese - molto più antica e radicata della nostra - e ha convinto una parte dell’elettorato che, oltre ai partiti tradizionali, esistevano persone e movimenti con altre aspirazioni. In fondo è stata l’affermazione di un’utopia, anche se di breve periodo. Una sorta di continuazione del maggio ’68, in una società già multietnica e stanca del linguaggio di certa politica, la quale tuttavia ha reagito - a proprio modo, ovviamente - così come Coluche, che dopo essersi ritirato da quei giochi si è ripreso il suo ruolo, è uscito da una profonda crisi umana e artistica, e ha fatto in tempo a lasciarci straordinarie performance d’attore cinematografico.

Hai scritto di Boris Vian, di cantautori, di cabaret: qual è la scintilla che accende la tua voglia di raccontare?
La curiosità, una grande passione per le utopie e le storie dimenticate, le casualità della vita…

Veniamo all’annosa questione della traduzione dei testi: nel mio articolo ho esposto la mia preferenza riguardo un’eventuale traduzione letterale delle liriche di Renaud che tu hai invece adattato. Non concordi con me. Dicci il tuo punto di vista.
Quelle traduzioni sono versioni regolarmente depositate in SIAE e soggette a un contratto internazionale con l’Editore originale (Warner France), oltre che le prime ufficialmente approvate da Renaud Séchan nella nostra lingua. Dietro quelle rime c’è un lungo lavoro di traduzione che ha dovuto conservare la cantabilità e nello stesso tempo rispettare la poetica originale. Il che ne ha impedito la traduzione letterale o letteraria: sono appunto versioni atte alla loro interpretazione canora. Le avevo incise su disco con il titolo Canti Ribelli (2017) e le ho poi inserite nel radiodramma scritto per la Radio Svizzera Italiana Un concerto per Coluche, che ha poi ispirato il libro edito da Miraggi e che avete recensito.

Che lettore sei? Organico, organizzato, disordinato, onnivoro…
Direi più disordinato che organizzato… da ragazzo adoravo i fumetti, ma in Italia ne circolavano ben pochi, allora. Sono nato nel ’52 e ho dovuto aspettare “Frigidaire” e “Metal Hurlant”. In quanto ai libri, divago tra storia, fantascienza e giallistica… e poi ci sono le poesie, ovviamente.

Hai nel mirino un altro personaggio da raccontare?
Sono due, il primo è un criminologo svizzero, il secondo è mio nonno materno. Il primo libro è già finito, ed è una fiction che sembra vera; al secondo ci sto lavorando da anni. È una storia vera ambientata tra Italia e Francia, ma sembra un film. Speriamo che prima o poi interessino a qualcuno.

I LIBRI DI GIANGILBERTO MONTI