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Intervista a Giorgio Ballario

Giorgio Ballario
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Da più di dieci anni Giorgio - giornalista torinese appassionato di cronaca nera e giudiziaria - lavora al quotidiano La Stampa. Un punto d'osservazione privilegiato sulle contraddizioni, i problemi, le miserie e persino gli orrori della quotidianità. Naturale quindi che il suo percorso professionale prima o poi sfociasse nella scrittura di romanzi, ma Ballario non si è accontentato di sfornare il 'solito' noir, no. Ha creato invece una saga poliziesca ambientata nell'Africa coloniale italiana degli anni '30 con ambientazione fascinosa e personaggi deliziosi. Non potevamo esimerci dal chiedergli perché e percome.

Perché hai scelto proprio l'Africa italiana per ambientare i tuoi gialli? Si trattava di una tua passione preesistente o hai voluto trovare uno sfondo storico poco sfruttato?
Un po’ per entrambi i motivi. Ho sempre avuto un’attrazione per l’Africa, specialmente per i trascorsi coloniali italiani: da bambino sentivo spesso parlare di parenti più o meno lontani che erano stati in Africa, sia per la guerra che per lavoro o in veste di missionari. Fra l’altro, dopo aver scritto i due romanzi “africani”, ho scoperto che un sacco di famiglie italiane hanno avuto esperienze analoghe e che l’Africa e il passato coloniale, sia pure sotto traccia, appartengono ancora alla memoria collettiva del nostro Paese. Poi ho anche fatto il ragionamento che si trattava di un periodo e un ambiente poco sfruttato, non solo dalla narrativa ma anche da cinema e tivù, e che pertanto sarebbe stata una scelta originale come cornice di un giallo.


Pare anche a te che la pagina del colonialismo italiano sia al centro di una gigantesca rimozione dal nostro immaginario collettivo? La stragrande maggioranza dei giovani italiani a malapena sa che c'è stata un'Africa italiana... Quali sono le ragioni di questa 'scarsa memoria'?
E’ assolutamente vero. La rimozione c’è stata e continua man mano che si spegne la memoria di coloro che in Africa ci hanno vissuto. E non parlo solo del periodo coloniale, che si è chiuso nel 1942, ma addirittura dei rapporti successivi alla fine della II guerra mondiale: ad esempio l’amministrazione fiduciaria italiana in Somalia, fino al 1960; oppure la presenza di migliaia di italiani in Eritrea fino ai primi anni Settanta e naturalmente la triste pagina della cacciata dei nostri connazionali dalla Libia dopo l’avvento al potere del colonnello Gheddafi. I motivi? Soprattutto politici. Dopo il ’45, per decenni, è calato il velo su tutto ciò che puzzava di fascismo. Compreso il colonialismo, che pure nasce alla fine dell’Ottocento su impulso dell’ex garibaldino Crispi ed ha per molti anni l’imprimatur di intellettuali socialisti come Pascoli, che cantò la conquista della Libia.
 

La saga del maggiore Morosini per una serie di ragioni ci pare adattissima a una riduzione televisiva. Se si mettesse in cantiere una fiction sul personaggio ti farebbe piacere? E che attore vedi bene nei panni del protagonista?
Sì mi farebbe enormemente piacere. Trovo ipocrita pensare che il cinema o la tivù possano “tradire” un romanzo: può accadere, naturalmente, ma è il prezzo da pagare per raggiungere centinaia di migliaia di persone, se non milioni, che probabilmente non leggerebbero mai il libro. Fiction e narrativa sono strumenti diversi che parlano linguaggi diversi, è inevitabile che si adatti un romanzo ai tempi e ai ritmi di cinema e tivù. Se mai si dovesse fare una riduzione televisiva ho in mente due nomi per interpretare Morosini: Pierfrancesco Favino, che secondo me è un grande attore; oppure, perché no, Beppe Fiorello. E’ un ottimo professionista, l’ho visto con l’uniforme dei Regi Carabinieri nello sceneggiato su Salvo D’Acquisto, proprio in alcune scene girate nelle colonie africane, e credo che sarebbe un buon maggiore Morosini.
 

Sei anche un lettore di gialli storici? E se sì, quali sono i tuoi personaggi preferiti nel genere?
Sì, mi piacciono perché permettono di tuffarsi in un mondo quasi sconosciuto, a patto naturalmente che la cornice storica sia accurata e magari non edulcorata dal punto di vista e dalla sensibilità di un autore del XXI secolo. Se devo fare i nomi di alcuni personaggi non posso che partire da fra’ Guglielmo da Baskerville de Il nome della rosa, che è stato uno dei primi gialli storici che ho letto. Di recente ho apprezzato la ricostruzione storica del medioevo fatta da Alfredo Colitto nel suo Cuore di ferro e da anni amo trascorrere il tempo in compagnia dell’inquisitore Eymerich di Valerio Evangelisti, anche se in questo caso non si tratta di romanzi gialli quanto piuttosto di un’originale commistione fra storia e fantascienza.


In quale altro periodo storico ti piacerebbe ambientare una saga gialla?
Il medioevo, un’altra epoca poco conosciuta e sulla quale pesano pregiudizi culturali ancora difficili da estirpare.


Hai in cantiere altre avventure del maggiore Morosini o ti dedicherai a qualcosa di diverso?
Ho in cantiere un terzo romanzo del ciclo coloniale, sempre con Morosini protagonista. Ho cominciato a scriverlo mesi fa poi mi sono interrotto, per vari motivi, e credo che per vederlo in libreria bisognerà aspettare la seconda metà del 2011. Però fra un paio di mesi, sempre con le Edizioni Angolo Manzoni, è in uscita un romanzo noir di ambientazione contemporanea, in cui farà la sua comparsa un nuovo personaggio che, spero, possa piacere quanto il maggiore Morosini. Il titolo del libro è Il volo della cicala e la storia si svolge fra Torino e l’isola di Creta.

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