
La deliziosa Giulia ha iniziato la sua carriera di attrice all’età di sedici anni come protagonista femminile del film “Come te nessuno mai”, di Gabriele Muccino. Da allora ha continuato a lavorare interpretando vari ruoli, sia al cinema che in televisione (vedi alle voci “Sotto il sole della toscana”, “Mari del sud”, “Noi due”, “Come tu mi vuoi”, “Iago”). Ma ha sempre avuto il pallino della scrittura, sia per il grande schermo sia per gli scaffali delle librerie. E quando è arrivato il momento del suo esordio letterario, non ci siamo fatti sfuggire l'occasione e l'abbiamo incontrata in un affollatissimo e gigantesco centro commerciale romano. Un filo di trucco, look minimale, educazione d'altri tempi, quel filo di irresistibile timidezza che non ti aspetti. Come lei nessuno mai.
Il passaggio dal mondo del Cinema a quello dei libri è stato traumatico? E cosa ti piace del ruolo dell'attrice e di quello della scrittrice?
No, questo passaggio non lo definirei traumatico. Oltre che recitare, sono già vari anni che mi cimento nella scrittura di copioni e soggetti cinematografici, per cui nel momento in cui mi hanno proposto di scrivere un libro, l’ho sentito come qualcosa nelle mie corde. Inoltre, proprio il passaggio dalla scrittura di copioni a quella di un libro, mi ha agevolato molto nella prima fase in cui ho strutturato la storia del mio romanzo E se fosse possibile? rifacendomi ai classici parametri che si utilizzano per una sceneggiatura (la divisione in tre atti, il climax e così via). Più che un passaggio traumatico quindi, lo definirei un passaggio in cui ho attinto molto dagli strumenti che avevo acquisito nel mondo cinematografico, e anche quando dovevo descrivere delle situazioni e degli eventi, nella mia testa erano già delle “scene”. Una cosa che mi piace del ruolo di attrice e che ho ritrovato anche in quello di scrittrice, è l’immedesimazione nei personaggi, che entrambi i lavori richiedono. Nell’interpretare un ruolo scritto da altri, cerco di capire cosa l’autore volesse esprimere con quel personaggio e quindi mi preoccupo soprattutto di comprendere i pensieri dell’altro, le emozioni che lo spingevano a scrivere, e a riportare quei sentimenti nella mia interpretazione. E’ un lavoro in cui mi lascio dirigere e sento di essere uno strumento espressivo al servizio del regista o sceneggiatore che dir si voglia. Scrivendo un libro, invece, se da un lato la storia e i personaggi sono creati interamente da te, dall’altra si può dire che questi vivano anche di vita propria. Qui l’immedesimazione assume un altro ruolo, ovvero quello di seguire i propri personaggi, di capire, una volta stabilitone il carattere, cosa faranno e come si sentiranno se posti in determinate situazioni.
Quanto hai preso dalla tua esperienza di vita per costruire E se fosse possibile?, il tuo romanzo d'esordio?
Dalla mia esperienza di vita non ho preso molto e tengo a precisare che non si tratta assolutamente di una storia autobiografica. Quando mi hanno chiesto di scrivere un libro per ragazzi mi sono chiesta: “Ma una ragazzina che oggi si guarda attorno, cosa pensa del mondo?”. Da qui allora ho iniziato a mettere assieme vari episodi capitati a persone che ho incontrato nel tempo e mischiandoli ovviamente anche ad elementi di fantasia. Così ho costruito la storia. Ci sono anche numerosi dettagli sparsi in tutto il libro che mi appartengono, come i professori che Silvia incontra nella nuova scuola o i suoi gusti in materia culinaria. Al di là di questo però, direi che la cosa che più mi rispecchia in questo libro è la visione delle cose che ha la protagonista.
Sia il tuo debutto cinematografico (il mitico "Come te nessuno mai") sia il tuo debutto letterario sono ambientati in una scuola: cos'è, una forma di scaramanzia?
No, direi che si tratta più di una coincidenza, ma se dovesse portare fortuna, in futuro potrei riconsiderare il fatto di farne un elemento scaramantico! In realtà nel libro la scuola è presente perché penso sia, nel bene o nel male, un elemento fondamentale e imprescindibile della vita di un adolescente. E’ il luogo in cui un ragazzo vive la maggior parte della sua vita sociale e in cui incontra gli amici, il luogo in cui spesso si definiscono i ruoli e in cui devi iniziare a capire come cavartela senza i tuoi genitori, magari anche con una professoressa tirannica. Raccontare la scuola quindi è stato qualcosa di naturale che è venuto da sé.
La storia di Emma ti aiuta anche a far conoscere anche ai lettori teenager gli orrori delle leggi razziali e della persecuzione degli ebrei in Italia...
Sì, sicuramente. In realtà l’intenzione non era “didattica” ma al contempo penso che raccontare un evento storico che in genere si studia sui libri, in una forma in cui invece è possibile l’identificazione e l’empatia con un personaggio, sia molto più utile per far avvicinare dei ragazzi alla nostra storia. Il mio interesse per questo periodo storico però è nato da altro. Trovo che esistano dei sottili meccanismi che accomunano ciò che è avvenuto in passato nella storia, con ciò che magari un ragazzo può sentire giorno per giorno all’interno di un gruppo: l’emarginazione, l’esclusione da determinate dinamiche e così via. Insomma, dei fenomeni che crea la “massa” e in cui non è sempre semplice stare. Inoltre, altro elemento “storico” che mi interessava, è il fatto che sia Silvia che Emma sono due ragazze “fuori dalle righe” rispetto all’epoca che vivono. Silvia è immersa in un modo dove non sente di avere punti di riferimento solidi, tanto più quando tutto va veloce e sembra essere capovolto. Emma invece è una ragazza estremamente vera e spontanea che crede che il giusto e lo sbagliato prescindano dalle convenzioni e dalle leggi del suo tempo. Sono entrambe originali e alla ricerca della propria strada per farcela e quando Silvia troverà il diario di Emma, la forza che sentirà venire dall’amica, sarà un aiuto fondamentale.
Si dà per scontato che il tuo libro sia rivolto a un pubblico giovanissimo, ma non trovi che leggerlo potrebbe aiutare i genitori a capire meglio i loro figli e il loro modo di pensare/vivere/sognare?
E’ un romanzo dalla forma leggera ed ironica, ma al fondo penso siano trattati temi che ognuno nella propria vita può sentire come importanti. Inizialmente, sia per il tipo di progetto con la casa editrice, sia perché il racconto si incentra attorno alle vicende di una ragazza di diciassette anni e al suo sguardo sul mondo, il pubblico di riferimento era quello dei ragazzi. Andando avanti nella scrittura però mi sono resa conto che sì, potrebbe sicuramente essere un romanzo piacevole anche per un adulto, per dei genitori o per dei nonni, qualcosa che li aiuti ad avvicinarsi ulteriormente al mondo dei propri figli e nipoti.
Se dal romanzo venisse tratto un film - come secondo noi è probabile - chi vedresti nel ruolo di Silvia?
Innanzitutto grazie per l’augurio! Sarebbe una cosa che mi piacerebbe molto. Per il personaggio di Silvia cercherei una ragazza esordiente, di diciassette anni, carina ma non appariscente e con uno sguardo intelligente. Una come Alice Teghil, la protagonista di “Caterina va in città”, il film di Virzì.
I libri di Giulia Steigerwalt