
Divenuto l’anno scorso un vero e proprio caso letterario prima ancora di trovare un editore – la leggenda narra che Tommaso Labranca abbia letto il manoscritto di quello che sarebbe divenuto il romanzo d'esordio di Giuliano rimanendone talmente folgorato da parlarne sulla rivista “FilmTv”, suscitando una fortissima curiosità fino a che Marsilio non ha deciso di accaparrarselo -, Pavone esordisce in letteratura con la stessa dirompenza di certi calciatori predestinati. Abbiamo scambiato qualche idea con lui per Mangialibri.
Vivi a Milano da molti anni. Come mai hai pensato di scrivere una storia proprio su Taranto?
Probabilmente proprio perché vivo a Milano. Taranto è e resta la mia città, anche se ormai più di metà della mia vita l’ho trascorsa altrove. Credo che chiunque senta di appartenere per sempre al luogo in cui è cresciuto ed è andato a scuola. Vederla dal di fuori, poi, avendo cioè dei termini di paragone, mi ha fatto scoprire quanto Taranto fosse particolare, piena di contrasti, diversa da tutte le altre. E quanto poco sappia il resto d’Italia di questa città. Anche se poi ne L’eroe dei due mari, parlando di Taranto finisco per parlare di tutto lo Stivale. Insomma, come diceva Stendhal, “se vuoi raccontare il mondo, racconta il tuo paese”.
Il tuo romanzo per stile è molto lontano dall’ultimo di Argentina, Vicolo dell’acciaio. C’è però qualcosa che accomuna le vostre Taranto?
Premesso che Vicolo dell’acciaio è ancora nella pila sul mio comodino in attesa di essere letto (ma i precedenti romanzi di Argentina li ho letti) credo che al di là della differenza di stile ci accomuni lo sforzo di raccontare Taranto in modo autentico e dal di dentro, sentendocene parte e senza metterci sul piedistallo. E, nonostante la sua crudezza, vedo anche in Argentina il mio stesso dolente affetto per la città. Un affetto che però non ci impedisce di raccontarla anche in modo spietato, senza condiscendenza.
Parlare di calcio in letteratura come nel cinema è sempre molto complicato. Cosa ti ha spinto a scegliere questo sport come cardine per la tua storia?
Perché il calcio è il fenomeno di massa per antonomasia. Solleva pulsioni e passioni, e parla un linguaggio universale. Era il modo migliore, forse l’unico, per far interagire fra loro i miei personaggi (che sono tanti, e variegati), e per far sì che comunicassi ai lettori tutto quello che volevo dire (il momento del nostro paese, i rapporti fra nord e sud, le distorsioni dei media…). Ma anche, molto più semplicemente, perché a me il calcio piace da morire.
Il calcio però nel tuo libro è anche la metafora per raccontare una Taranto e più in generale un’Italia da Bagaglino. Non a caso a farla da padrone alla fine è l’usciere scansafatiche. O no?
Non so se l’usciere scansafatiche la faccia davvero da padrone. Piuttosto, credo che alla fine ogni personaggio, anche quelli apparentemente più negativi, abbia compiuto un percorso di crescita, imparando e insegnando qualcosa. Racconto Taranto e l’Italia di oggi, per giunta con un tono da commedia che a volte mi spinge verso la caricatura. Quindi è chiaro che di tipi e situazioni da Bagaglino se ne trovano in abbondanza. Ma c’è spazio anche per personaggi edificanti, e per un po’ di speranza.
Il tuo stile visivo è molto cinematografico. Ti piacerebbe vedere un giorno L’eroe dei due mari sul grande schermo?
Naturalmente sì. Credo che sia il sogno di chiunque scriva un romanzo. Quando la storia e i personaggi che erano nella tua testa finiscono fra le pagine di un libro, è come se prendessero vita, se iniziassero a esistere anche per gli altri e non solo per te. È una sensazione molto bella. E il passaggio dal libro al film è un ulteriore passo in questa direzione. È un sogno molto difficile da realizzare, ma qualche tentativo lo stiamo facendo. Chissà…
Desiati, D’Amicis, Carofiglio, Lagioia, Argentina, Di Monopoli, D’Attis. Mai come in questo periodo la nouvelle vague pugliese sta dando ottimi frutti letterari. Cosa pensi in proposito?
È difficile rispondere a questa domanda, perché i nomi che citi (e se ne potrebbero aggiungere altri) hanno poco in comune fra loro. Difficile quindi parlare di una “scuola pugliese” o qualcosa di simile. In una certa misura credo che c’entri la generale riscoperta della Puglia da un punto di vista turistico e culturale a cui si è assistito negli ultimi anni. Cinquant’anni fa Modugno doveva cantare le sue canzoni in siciliano perché in Italia non esisteva un “immaginario pugliese”. Oggi invece vengono tutti a girare i film in Puglia. E poi credo che la Puglia si presti alla narrazione letteraria, in quanto regione multiforme (“le Puglie”, si diceva una volta) e “ibrida” (qualcuno la definisce la più settentrionale delle regioni del sud).
Pensi già, a questo punto, a una nuova fatica letteraria?
Sto già “faticando” da un pezzo. Se voglio uscire col prossimo romanzo nel 2012, devo aver ultimato una prima stesura entro la prossima estate. È una commedia anche questa. Ambientata in Puglia ma non a Taranto, e nel passato. Di più, per ora, non voglio dire. E poi, romanzi a parte, altri miei libri sono usciti da poco o stanno per uscire. Rimanendo nell’ambito della narrativa, a novembre ho pubblicato, insieme a mia moglie Lucia Tilde Ingrosso, Milano in cronaca nera (Newton & Compton), una raccolta di racconti di fantasia ma ispirati a fatti realmente accaduti. Seguiranno altri lavori di saggistica e di “varia”.
Domani compri il giornale. In prima pagina: “Clamoroso. Eto’o al Taranto” o “Premio Strega a Pavone”?
E me lo chiedi anche?! E poi, se Eto’o va al Taranto, lo Strega mi spetta di diritto: chi non premierebbe un romanzo così profetico?