
Salone Internazionale del Libro di Torino 2010. A parlarmi di Giusella e di quello che scrive è l’ufficio stampa della casa editrice che ha pubblicato il suo primo libro, Avagliano, nonché una mia cara amica. Tra il brusio e i rumori di ogni fiera le espressioni che mi restano impresse sono “premiata da giovani studenti”, “storia d’amore… che non ha solo l’ingrediente amore”, “è già un caso su facebook”. OK, lo ammetto: a convincere la sottoscritta ad interessarsi ad un libro così ci vuole veramente poco. Avrei voluto tanto che l’intervista fosse “a tu per tu”, ma già via mail la cordialità e la spontaneità di Giusella De Maria sono talmente evidenti che è come sentirsela parlare davanti.
Niente giurie elitarie per il Premio Nanà che hai ricevuto. La sua giuria è infatti composta da giovani studenti italiani che vivono sia nel Belpaese sia all’estero. Che cosa ha significato per te vincerlo?
Una conferma, la prova che tutto ciò in cui avevo sempre creduto fermamente non era “follia sperar”. Ho sempre avuto fiducia nel talento e nel fatto che se desideri fermamente qualcosa e caparbiamente ti ostini per ottenerla, se hai le carte giuste ce la fai. Credo che il premio Nanà sia lodevole per la sua democraticità e trasparenza, essere eletta vincitrice da una vasta giuria di studenti è stata una gioia come poche nella mia vita, il fatto che avessero amato la storia che io avevo scritto almeno quanto io avessi amato scriverla…e che avessi vinto proprio io! Avevo un pubblico che mi apprezzava già prima che il mio libro fosse pubblicato!
Entriamo adesso nel tuo romanzo Suona per me. Diana, la tua protagonista femminile, dapprima è un’adolescente con sogni nel cassetto e un’insofferenza nel confronti della vita di provincia. Poi la ritroviamo in una seconda parte che è una donna realizzata… a metà. Come hai costruito questo personaggio?
Beh, non l’ho costruito, esiste. O perlomeno gran parte di lei esiste. Sono io. A 16 anni, quando ho cominciato a buttar giù questa storia dopo un viaggio in Francia, ero esattamente la Diana della “parte prima” della storia. Stesso sentimentalismo, stessa fuga dalla mia solita vita, un paio di sogni da realizzare, e tanta fiducia nella ricerca di un grande amore, leggevo troppi libri… La Diana matura è ciò a cui sto tentando ancora di arrivare… ma i pasticci in cui si caccia sono tipici di me, della me di sempre… la componente autobiografia è stata essenziale direi. Ma la fantasia ha fatto il resto.
Altro ruolo forte nel tuo libro lo svolge la musica in generale, e nello specifico la classica. Se vogliamo ha anche un ruolo terapeutico. Che ruolo ha avuto per te la musica in adolescenza? E oggi?
La musica è stata per me un sublimatore della mia esistenza. Ricordo che da piccole mio padre ci faceva ascoltare Čajkovskij e a noi sembrava naturale… poi i Pink Floyd, Vasco, Vivaldi: c’era sempre musica in casa mia, e ogni evento che ricordi, ogni capitolo della mia vita potrei associarlo ad un brano musicale; per esempio, “The Wall” dei Pink Floyd mi ricorda l’89, quando il gruppo venne a suonare allo stadio della mia città, noi abitavamo praticamente di fronte, e mi addormentai con quella musica che rimbombava per il quartiere e che mio padre ascoltava sempre col suo giradischi. Ho anche preso lezioni di piano da ragazzina. La radio, poi, segue mia madre ovunque vada. Al mattino appena sveglia l’ accende e canticchia, sempre più spesso ormai pranziamo con la tv spenta e la radio accesa. Credo che la musica abbia un che di prodigioso, lenisce dolori, arricchisce le giornate, nobilita gli spiriti e ci fa sentire di vivere una vita speciale. Non riesco a scrivere col mio ritmo narrativo se non ho una musica in sottofondo o non canticchio qualcosa nella mia testa, a volte non me ne accorgo neppure.
Il tuo libro su Facebook ha una pagina ad hoc sulla quale ogni giorni ricevi commenti di giovani lettori e non solo… come vedi oggi questo popolare social network?
È la vetrina del secolo, direi. Ti permette di raggiungere in un click migliaia di persone, di comunicare con loro, far sapere ciò che hai da raccontare. I miei lettori mi sommergono di mail e messaggi su facebook, mi raccontano di loro, mi contattano con affetto se non mi faccio sentire per un po’… è chiaro che è pur sempre un campo limitato. Non tutti sono su facebook e molte delle mie lettrici/lettori di gloriosa età non usano nemmeno il pc! Ad ogni modo credo che uno scrittore debba parlare ai propri lettori e non restare nell’anonimato, è chiaro che in questo modo ci si mette in gioco totalmente, ma ne vale davvero la pena, tutto l’affetto e il sostegno che comunicano ogni giorno danno ad una mano pigra come la mia l’impulso a riprendere la penna.
Con quali letture sei cresciuta? Quanta influenza hanno avuto queste letture sul tuo lavoro di scrittrice?
Il primo libro che ho letto da bambina fu Il giardino segreto di Burnett, che m’incantò. Ho sempre letto molto, ma per un periodo limitato, oggi non leggo quasi più; sono laureata in Lettere moderne perciò conosco e ho letto qualsiasi autore da Dante al Novecento, italiani e stranieri. Ho un debole per i naturalisti francesi, devo ammettere. E per gli umoristi inglesi, e gli epigrammi di Marziale, poeta latino. C’è qualcosa che li accomuna e che ammiro tremendamente in loro, uno spudorato realismo. Potrei farti un elenco di altri autori, come Pirandello, il Calvino di Marcovaldo, il Dostoevskij del Giocatore. Ma c’è uno scrittore che ho nel cuore e che mi ha fatto sognare da ragazzina come nessun altro al mondo: Richard Bach. Da lui ho attinto lo spunto per la veste autobiografica dei miei scritti, il racconto in prima persona. Di recente mi aveva incuriosito la Fallaci e l’ho trovata avvincente, di una passione e una ricchezza di vita imbarazzanti. Ho una casa piena di libri che strabordano minacciosi da scaffali e mensole. Quando ho smesso di leggere ho cominciato a scrivere. Credo che le mie letture mi abbiano influenzato poco, più i loro ideali mi hanno toccata e soprattutto mi hanno guidata i libri che non mi erano piaciuti affatto, sapevo cosa e come non avrei voluto scrivere io. Di recente ho preso un libro dalla libreria che non ero riuscita a terminare tempo fa, Il giardino dei Finzi Contini di Bassani, ma ho dovuto smettere, soffrivo troppo… ecco, credo che per leggere un capolavoro del genere occorre soffrire almeno la metà di quanto abbia sofferto l’autore per scrivere di certi orrori. Ma in questo momento non posso permettermi di soffrire, e quindi non scriverò il mio capolavoro realistico ideologico passionario, per ora. E i miei lettori continueranno a sognare e sorridere e dimenticare ogni incombenza. La letteratura può essere un sacco di cose, tranne squallore e mediocrità.
Un’ultima domanda: se tu dovessi dare ai lettori incuriositi che ancora non ti hanno letto una metafora del tuo libro, quale useresti?
C’erano due titoli che avrei voluto dare a questa storia, ero indecisa tra due frasi che compaiono nel romanzo, una è Suona per me, e l’altra è proprio una metafora, Come le rondini, le rondini che migrano verso il sole e fuggono le tenebre. I protagonisti fuggono le tenebre delle loro esistenze per l’intera vicenda. E il romanzo in sé, credo, sia un po’ un “salire a bordo” di un viaggio fatto di suoni melodie, ponti da fiaba, e dolcezza infinita, lontani dalle buie difficoltà di tutti i giorni, dai problemi quotidiani, è un tuffo in un sogno, pieno di vita e passione e magia. E realtà.
I libri di Giusella De Maria