
Graeme Armstrong, nato e cresciuto a Glasgow, dopo aver trascorso parte della propria adolescenza in una gang di strada, si è laureato in Letteratura inglese all’università di Stirling e, dopo aver abbandonato quel mondo fatto di droghe e violenze, setti anni dopo ha iniziato a scrivere un memoir, inserito da “Times” nella top ten dei bestseller ed eletto dal “Guardian” miglior romanzo dell’anno. In occasione del festival Pordenonelegge 2021, Graeme si è collegato in video con i blogger invitati dalla sua casa editrice italiana, Guanda, dalla stanza di casa sua. Come un esatto riflesso del suo libro, risponde direttamente e con schiettezza, non lasciando nessuna domanda inesplorata o con una risposta poco esaustiva.
La gang è un romanzo molto potente sulla realtà dei giovani scozzesi e ha certamente una matrice dichiaratamente autobiografica. È stato difficile tradurre la tua esperienza in romanzo?
A mio parere, il genere della fiction è una modalità più facile per raccontare la propria esperienza, rispetto ad esempio ad un a autobiografia perché è come avere un filtro di sicurezza che ti aiuta meglio a descrivere quale è il tuo vissuto. La mia ispirazione è stata decisamente il romanzo Trainspotting, che ho letto a sedici anni.
In questo romanzo è davvero sconcertante il racconto della realtà delle gang giovanili. Secondo te, perché fra i giovani dilaga la violenza, soprattutto in Inghilterra?
La causa principale è stato il fatto che negli anni Ottanta il processo di industrializzazione ha determinato la perdita di molti posti di lavoro per i padri di famiglia. Questo ha rappresentato un terreno fertile per la nascita della violenza perché queste famiglie si sono trovate con una mancanza di opportunità e il lascito di questa situazione è stato un territorialismo molto marcato, culminato in questi scoppi di violenza. Nel 2005 qualcosina è cambiato con il fatto che Glasgow sia stata dichiarata Capitale della Cultura da parte dell’Unione Europea, ma comunque in quegli anni, 2004-2005 io facevo parte delle gang e il clima di violenza permaneva: addirittura, utilizzavamo coltelli che non sono armi da fuoco, ma sono armi che si trovano facilmente in casa, oggetti accessibili e pericolosi.
Questa violenza ha dei connotati sociali oppure è puro sfogo giovanile, una sorta di espressione, per così di dire, di esuberanza?
Direi che è un po’ di entrambi: questi ragazzi non hanno idea di quelle che possono essere le conseguenze e non capiscono l’aspetto psicologico e sociologico dei loro comportamenti, ma sono il prodotto dell’ambiente che li circonda. Pochi hanno studiato e hanno guardato indietro in retrospettiva e hanno capito l’aspetto sociologico di quello che è accaduto. Ma nel momento in cui si univano alle gang prevaleva il sentimento di fratellanza, la volontà di voler appartenere a una cerchia di persone che avrebbe difeso il singolo nel momento del bisogno, oltre, ovviamente, all’esaltazione e all’adrenalina.
Trattandosi di un libro di matrice autobiografica, come questo aspetto ha inciso sulla scelta del linguaggio?
Il libro è redatto in dialetto vernacolare scozzese, lingua parlata dalla classe operaia e rappresenta un ibrido tra l’inglese che dà la sintassi e il dialetto, che offre, invece, il vocabolario. In effetti, è molto difficile per un romanzo scritto in questa lingua riuscire ad essere pubblicato a Londra perché di solito si parla e si scrive nell’inglese della middle class; ma ho deliberatamente scelto di costruirlo come una specie di mosaico tra le due lingue perché ho ritenuto che servisse a rappresentare meglio quella parte di Scozia che volevo ritrarre. Tanti membri di queste gang non sanno leggere e l’inglese puro nemmeno lo capiscono. Quindi, scegliere questa soluzione è servito per avvicinarsi di più alle persone della gang, protagonisti di questo libro, e fare in modo che, un giorno leggendolo, potessero sentire il libro come una storia propria.
Tra i personaggi immagino ci siano amici o persone conosciute in quel periodo. Qualcuno ci si è riconosciuto? Hai avuto qualche feedback dal tuo passato?
Quando ho ricevuto le prime copie, ho pensato di distribuirle ai miei amici, ma non sarebbero stati in grado di leggerlo. Così ho preferito aspettare l’uscita dell’audiolibro che hanno scaricato ed ascoltato e alcuni si sono riconosciuti, dandomi un feedback positivo; anche se c’è da dire che non ho “buttato” i miei amici di sana pianta all’interno del romanzo, ma piuttosto ho ripreso alcune caratteristiche.
Invece, per quanto riguarda il protagonista? Sei veramente tu oppure è uno stereotipo in cui ti sei riflesso?
Sono assolutamente io, anche se è un personaggio romanzato per essere adeguato alla struttura del romanzo perché nella fiction ci sono sempre i buoni che vincono e i cattivi che perdono, mentre la vita è un pochino più complicata. Ma le perdite, i lutti che ha subito Azzy, tutte le varie azioni e i gesti fanno parte della mia esperienza reale.
Sembra che non ci siano eroi in questo libro, che questi ragazzi siano distaccati e non vogliano partecipare alla vita comune, pensando egoisticamente soltanto a loro stessi…
Sicuramente essere membro di una gang è una “scelta” incentrata sull’ego. Però, bisogna notare che i membri si uniscono alle gang all’età di quattordici anni che di per sé è un’età in cui i teenager non pensano molto agli altri. In ogni caso, sì è un mondo egoista, concentrato sulla violenza, fatto di ragazzini buttati in una realtà adulta dove non esiste famiglia, non esistono amici buoni, non esiste istruzione scolastica e passa tutto in secondo piano con un crescendo costante che culmina nella violenza e le relative inevitabili conseguenze.
Che sensazione ti ha lasciato scrivere un primo romanzo così di successo? Hai già qualcos’altro in cantiere?
La sensazione principale è di incredulità perché il mio romanzo è stato rifiutato ben 300 volte, nel senso che l’ho spedito a 300 editori senza ricevere alcun riscontro. Mia mamma stessa mi aveva detto di lasciare perdere, però rinunciare non è mai stata un’opzione per me. Ho sempre voluto andare avanti, quindi ora che ha avuto questo successo direi che prevale un forte senso di gratitudine. Sto già scrivendo il prossimo romanzo, ambientato nella cultura musicale dance dei rave degli anni Ottanta che, secondo me, ha svolto un ruolo fondamentale nel periodo in cui facevo parte della gang, ma cui non ho dato la giusta importanza in questo romanzo. Per questa ragione, ho voluto approfondirla in questo secondo lavoro che sto scrivendo.