
Fare interviste stanca! Incontro Halldóra Thoroddsen nella hall dell’hotel NH di fronte al Lingotto, sede del Salone Internazionale del Libro di Torino 2019. È visibilmente stanca, forse anche per il caldo, al quale lei, islandese, non è abituata. Dopo una sigaretta ed una bottiglietta d’acqua, ci sediamo al fresco dell’aria condizionata e proviamo a mettere in fila qualche riflessione sulla sua carriera, sulla sua lunga produzione da scrittrice e poetessa, sull’Islanda e sul mondo moderno.
Dalla tua biografia si legge che hai scritto poesie ed hai insegnato. È la prima volta che scrivi un romanzo: quanto è stato diverso dalle altre tue esperienze letterarie?
Bella domanda. Avevo in mente di scrivere questa storia come un poema, una lunga poesia, ma avrebbe preso troppo spazio per una poesia. Non avrei esaurito la narrazione perché la poesia ha una forma troppo compatta. Per questo ho deciso di dare a questa idea, quella del romanzo, la forma di un romanzo.
Alcuni pensano che abbia scritto un romanzo troppo breve, forse perché sotto l’influenza della mia vena poetica. Ma avevo bisogno di tenere tutto insieme, per cui alla fine ho scritto una storia breve che non credo si differenzi molto dalla mia poesia.
In effetti il racconto sembra piuttosto avere la forma di una raccolta di tante brevi poesie, come dei piccoli quadretti….
Si tratta di una serie di storie che intrecciano i pensieri della protagonista che ragiona fra la sua situazione al momento della narrazione e le sue riflessioni su cosa le sta accadendo, la sua seconda vita, quella che sta vivendo. La narrazione è strutturata con frasi breve e brevi sentenze.
Con il titolo Doppio vetro vuoi alludere ad una protezione o ad una separazione?
È la situazione della protagonista, isolata, lontano da quello che scorre fuori, ma con la possibilità di vedere tutto ciò che accade: i doppi vetri sono quelli che trovi in tutte le nostre abitazioni, e che ti permettono di guardare fuori, ma al contempo ti lasciano isolato e protetto. Questa è la condizione della protagonista.
Parliamo del contesto. Per noi l’Islanda è un’isola lontana e fredda, glaciale. Nel tuo racconto sei riuscita a mettere insieme le atmosfere quasi mitiche del nord Europa, con i sentimenti caldi ed umani della vita di tutti i giorni. Quanto ti è servita l’Islanda per ambientare la tua storia?
Vivere in Islanda significa ereditare una lunga tradizione di narrazioni orali secolari, che risalgono ai primi secoli dopo Cristo. Ma alla fine scrivi quello che senti, sei influenzato dal posto in cui vivi, non solo dalla sua storia e dalle sue tradizioni. Però la protagonista del romanzo è una persona reale, in carne ed ossa. Per questo l’Islanda alla fine sparisce nel racconto, è uno sfondo, non si impossessa del racconto. Certo la protagonista ha delle reminiscenze del paesaggio islandese, le foreste, il lago ghiacciato, la parte vecchia di Reykjavík, ma solo per quello che lei ha vissuto dell’Islanda. Del resto io stessa ho conosciuto l’anziana signora che poi è diventata la protagonista del mio romanzo, per questo si può dire che io ho provato a raccontare una storia reale con persone reali, i due personaggi sono reali, appartengono alla nostra società: sono due persone sole che mettono insieme la loro solitudine per uscirne fuori insieme.
Con la tua storia hai voluto dirci che per tutti c’è una seconda possibilità, quindi basta aspettare, oppure dobbiamo costruirci la nostra strada cogliendo le occasioni che ci si presentano?
Naturalmente noi abbiamo delle possibilità e viviamo quello che ci capita della vita. La protagonista soffre una situazione che subisce fino a quando non decide di voler cambiare vita. Lei non è completamente ferrata nelle questioni amorose, non ha esempi di amori felici, e si domanda se è opportuno quello che sta facendo. Ma decide di reagire, di darsi una scossa, di costruirsi il suo amore. E alla fine deve decidere di prendere parte al resto della vita.
I LIBRI DI HALLDÓRA THORODDSEN